Per chi non ha avuto la fortuna di aver letto l’antologia dell'autore, la prova non era agibile
di Giorgio De Rienzo
Chissà quale peregrina idea è nata nella mente di chi ha scelto questo brano, pressoché incomprensibile in sé della «prefazione» a La ricerca delle radici di Primo Levi: un’antologia personale di letture compilata a comando per l’editore Einaudi nel 1981. Si tratta di un’antologia disordinata in cui entrano testi delle «radici» culturali di Levi (qualche testo ebraico), quelli della sua formazione scientifica (oltre a trattati di chimica, Darwin e Russel), quelli infine della sua passione per la fantascienza. Il resto è una selezione anche un po’ banale di letture comuni: da Swift a Conrad, da Rabelais a Melville, da Eliot a Mann. Rarissime le sorprese.
Piuttosto val la pena di segnalare la pochezza delle letture tradizionali. C’è Omero, solo fra i greci, Lucrezio unico dei latini. Poi Marco Polo e si salta a Parini. L’Ottocento è tutto risolto in Porta e Belli, il Novecento in D’Arrigo e Rigoni Stern. Inutile tentare un’analisi delle preferenze, inutile giocare d’immaginazione per superare l’imbarazzo dato dall’antologia per la propria assoluta casualità. Un’osservazione è d’obbligo: c’è un’esigua biblioteca alle spalle di Levi, una pigrizia culturale che pare ostentata, forse per provocazione, contro la nostra letteratura troppo cartacea. Premesso ciò, passiamo alla traccia per l’analisi del testo.
Non conoscendo i brani dell’antologia sarà stato ben difficile per gli studenti stabilire le «conseguenze degli "input ibridi" e dell’"ibridismo"». Il «tempo soggettivo» che diventa più lungo è per Levi un tempo retrospettivo: una banalità sconcertante. Come banale è il concetto del leggere come «una fata morgana nella direzione della sapienza»: anche chi legge per divertimento compie un’operazione di conoscenza e quindi di sapienza. L’atteggiamento poi di Levi nei confronti della «carta stampata» è molto ambiguo: poco di ciò che ha letto si travasa in ciò che scrive. O uno studente ha avuto la fortuna di aver letto l’antologia di Levi (una delle sue opere meno interessanti) oppure per lui il tema non era agibile, né tanto meno collegabile alle opere più note dello scrittore. L’unica scappatoia per il maturando, viene dalla possibilità di formulare un’antologia personale delle proprie letture. E’ l’unica alternativa per un tema davvero scombinato. Ma mi pare davvero poco.
Piuttosto val la pena di segnalare la pochezza delle letture tradizionali. C’è Omero, solo fra i greci, Lucrezio unico dei latini. Poi Marco Polo e si salta a Parini. L’Ottocento è tutto risolto in Porta e Belli, il Novecento in D’Arrigo e Rigoni Stern. Inutile tentare un’analisi delle preferenze, inutile giocare d’immaginazione per superare l’imbarazzo dato dall’antologia per la propria assoluta casualità. Un’osservazione è d’obbligo: c’è un’esigua biblioteca alle spalle di Levi, una pigrizia culturale che pare ostentata, forse per provocazione, contro la nostra letteratura troppo cartacea. Premesso ciò, passiamo alla traccia per l’analisi del testo.
Non conoscendo i brani dell’antologia sarà stato ben difficile per gli studenti stabilire le «conseguenze degli "input ibridi" e dell’"ibridismo"». Il «tempo soggettivo» che diventa più lungo è per Levi un tempo retrospettivo: una banalità sconcertante. Come banale è il concetto del leggere come «una fata morgana nella direzione della sapienza»: anche chi legge per divertimento compie un’operazione di conoscenza e quindi di sapienza. L’atteggiamento poi di Levi nei confronti della «carta stampata» è molto ambiguo: poco di ciò che ha letto si travasa in ciò che scrive. O uno studente ha avuto la fortuna di aver letto l’antologia di Levi (una delle sue opere meno interessanti) oppure per lui il tema non era agibile, né tanto meno collegabile alle opere più note dello scrittore. L’unica scappatoia per il maturando, viene dalla possibilità di formulare un’antologia personale delle proprie letture. E’ l’unica alternativa per un tema davvero scombinato. Ma mi pare davvero poco.
«Corriere della Sera» del 22 giugno 2010
Non sono per nulla d'accordo. A me il brano è piaciuto anche tagliato in questo modo. le domande sono semplici e formulate sul testo e non sul contesto, quindi non era necessario conoscere la Prefazione per intero.
RispondiEliminaSalve, ho letto l'articolo subito dopo aver svolto la prova e devo dire che, già dalla prima frase, mi sono molto preoccupata.
RispondiEliminaMi sembra assurdo che ci debbano essere persone che il giorno stesso delle prove si preoccupino di dire quanto siano impossibili, soprattutto considerando il fatto che tutti stiamo le ore su internet, dunque è impossibile che qualche povero maturando non si sia imbattuto sul suo articolo senza doversi mangiare le mani per aver svolto l'analisi di un testo "incomprensibile".
Fortunatamente si era sbagliato.
Io non ho mai studiato Levi, ho letto "Se questo è un uomo" da sola ed ho cercato qualche notizia, nel corso degli anni, per semplice curiosità, ed è andata molto bene.
Traccia interessante, testo non semplice ma comprensibile e alternativo e con varie possibilità di approfondimento.
Maturità significa anche rischiare e mettersi alla prova, no?
Diletta C.Firenze.