07 maggio 2010

Virgilio & Socrate sotto le Torri gemelle

Il latinista Oniga
di Luigi Dell'Aglio
«La società dei consumi ha bisogno di individui ignoranti, isolati e insoddisfatti, quindi facilmente manipolabili dagli apparati di potere della scienza e della tecnica. Perciò i classici sono guardati con sospetto: insegnano a ragionare con la propria testa. Tutto questo avviene in nome del primato dell’economia sull’etica». Parla Renato Oniga, uno dei maggiori latinisti italiani, ordinario di lingua e letteratura latina all’università di Udine. Con i suoi libri (come Contro la post-religione. Per un nuovo umanesimo cristiano, Fede&Cultura) stigmatizza la «dilagante propaganda antiumanistica e anticristiana». A Venezia, al convegno «Paideia-Humanitas: i classici per la scuola dell’Europa», ha affermato che «bisogna riproporre in forme rinnovate lo spirito del Rinascimento e dell’Umanesimo, universalmente riconosciuto come uno dei punti più alti toccati dalla civiltà italiana». Oniga sta elaborando il metodo neo-comparativo per confrontare la struttura linguistica dell’idioma di Virgilio con quella delle lingue moderne e per sviluppare l’utilità del latino adattandolo ai tempi attuali.

Professore, il distacco conflittuale tra conoscenza scientifica e conoscenza umanistica ha arrecato danni alla cultura negli ultimi due secoli. Da qualche anno si tenta (per esempio nelle università cattoliche) di riannodare il dialogo tra scienza, filosofia e teologia. Ma ora, nonostante sia diffuso il desiderio di rilanciare un ponte fra le «due culture», una parte degli scienziati dissotterra l’ascia di guerra. Lo scientismo attacca l’umanesimo?
«Si tratta di un fenomeno sorprendente. All’interno dell’università, tutti avvertono l’esigenza di saldare le istanze della scienza con quelle dell’umanesimo. Perfino nell’area tecnologica si è consapevoli che le applicazioni debbano rivolgersi sempre a favore dell’uomo, e mai contro. Fuori dal mondo accademico, invece, nelle librerie e nelle edicole, perfino nei supermercati e negli autogrill, una certa saggistica esibisce una petulante polemica anti-umanistica, la nuova teologia di una scienza che pretende di farsi chiesa».

Storicamente l’umanesimo è una grande tradizione che mira a costruire un mondo basato sulla ragione, sulla libertà, sul genio e sui sentimenti dell’uomo e a difenderne la dignità e il valore. L’attacco contro l’umanesimo sembra un’impresa antistorica. E allora perché viene sferrato?
«Il teologo John Haught ha ipotizzato che si tratti di una reazione all’attentato alle Torri Gemelle. Lo sdegno contro un crimine orrendo, ammantato da motivazioni religiose, avrebbe indotto a pensare che si debba farla finita con l’umanesimo e con le religioni, sempre in guerra tra loro, per abbracciare la religione universale e pacifica della scienza. Ma la scienza è stata così "pacifica" da convivere perfino con il nazismo... Per sua natura è moralmente neutra. Solo l’umanesimo e la religione possono indurci ad affermare che la vita umana è il bene più prezioso. Probabilmente, le motivazioni dell’attacco contro l’umanesimo sono assai meno nobili».

Di che cosa si tratta? Perché cresce la pressione diretta a ridurre lo spazio del sapere umanistico nelle scuole? Nessuno può negare la funzione educativa dei classici.
«Soprattutto la scuola media superiore si trova oggi sotto pressione; è a rischio il suo tradizionale ruolo di formazione globale della persona. Lo spazio della cultura classica è ridotto al minimo. Le nozioni classiche e cristiane di cultura disinteressata, coscienza storico-critica, valori letterari e artistici, appaiono un residuo del passato, cose inutili se non pericolose. La società dei consumi ci vuole acriticamente obbedienti, anzi succubi. I classici permettono invece di smascherare le ideologie, come lo scientismo».

Ma come nasce l’uomo di scienza? L’insegnamento delle discipline umanistiche (della filosofia, in particolare) quanto contribuisce alla sua formazione? Oggi questo tipo di educazione integrale (scienze umane e scienze «dure») non viene più assicurato?
«Nell’insegnamento universitario, la specializzazione è necessaria. L’università dovrebbe condurre gli studenti ai livelli più avanzati della conoscenza e della ricerca scientifica. La formazione di base dovrebbe essere già avvenuta nei cicli precedenti dell’istruzione. Purtroppo, questa formazione scolastica sta venendo a mancare; un numero crescente di giovani arriva all’università senza avere mai studiato seriamente il latino o la filosofia. Non sappiamo come colmare le lacune, c’è anche il rischio che si vada verso una licealizzazione dell’università, che sarebbe deleteria».

Se la formazione degli scienziati è carente sotto il profilo umanistico, il ricercatore non rischia di diventare portatore di una scienza anti-umanistica (o addirittura «anti-umana»)?
«Sì, è a rischio la stessa qualità della ricerca scientifica. Vorrei citare il libro di Giorgio Israel che non è né umanista né cristiano ma le cui analisi mi sento di condividere: Chi sono i nemici della scienza? (Lindau). L’analisi dimostra come in passato la scuola umanistica non abbia mai impedito che l’Italia producesse scienziati di prim’ordine. Al contrario, il trionfo dello scientismo ci ha condotti al fallimento, proprio nel settore scientifico. Sono gli stessi scienziati a riconoscere che, senza una più ampia prospettiva umanistica, la scienza finisce per ridursi a quella che Israel chiama "malascienza": una concezione mitica e magica, che non produce più vere scoperte, ma solo propaganda sterile e auto-compiaciuta».

L’umanesimo contiene le radici della cultura occidentale. Ma l’Europa sembra indifferente all’attacco ai classici.
«Giustamente Benedetto XVI ha denunciato il pericolo di un’Europa che ormai odia sé stessa. Io colgo in questo clima la più evidente degenerazione di una certa idea di modernità. Chi rifiuta l’antichità, dopo qualche tempo viene travolto dalla sua stessa critica; tutto finisce per autodistruggersi. Come ha detto lo storico François Furet, stupisce la capacità infinita dell’Occidente di avere figli che detestano la società in cui sono nati, ma non sanno prospettare alternative. L’intellettuale responsabile dovrebbe fare semplicemente il proprio mestiere: trasmettere alle nuove generazioni quello che è il loro patrimonio culturale, dove si trova il peggio ma anche il meglio di ciò che l’umanità abbia mai saputo creare. Mi capita spesso di cogliere negli studenti, appena scoprono certi capolavori classici, un sincero entusiasmo, ma anche una meraviglia per il fatto che nessuno gliene abbia mai parlato prima. Le alternative alla miseria della cultura dominante ci sono, basta cercarle nei classici».
«Avvenire» del 7 maggio 2010

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