04 maggio 2010

Stanchi riti e pessime battute nel concerto del primo maggio

di Aldo Grasso
Il concerto del primo maggio, davanti a molte migliaia di persone, è iniziato con una imbarazzante gag di Sabrina Impacciatore (è entrata in scena con un paio di baffi: «A forza di stare con tre autori maschi, che fanno subito caserma, mi sono fatta crescere i baffi e mi son cresciute anche altre cose») ed è finito peggio, con il professor Claudio Lolli che inneggiava alla vittoria del primo maggio 1975, quando i comunisti vietnamiti sconfissero il gigante imperialista americano. Lolli lo ha detto con parole sue, e pareva solo un po' patetico, ma Sabrina dovrebbe incominciare a cambiare gli autori. Ha ancora senso il concertone che ogni anno si tiene a Roma promosso da Cgil, Cisl e Uil? Per il sindacato, intendo. Per il suo modo di rapportarsi con la gente? Per il rito inaridito della festa dei lavoratori? Lo slogan di quest' anno era «Il colore delle parole», frase ispirata a una poesia di Eduardo De Filippo interpretata da Massimo Ranieri (molto meglio quando ha sdoganato «Perdere l' amore»). E sul colore delle parole, gli autori della Impacciatore si sono sbizzarriti. Le hanno fatto dire frasi come «Il rosso come il colore della passione, del conto in banca, della Ferrari e dei pomodori di Rosarno»; il verde come il colore dei tanti misteri di questo Paese; il bianco rappresenta invece «Michael Jackson perché così voleva diventare un grande artista»; il nero infine è il colore «di Obama e del lavoro nero». Poi le hanno fatto recitare una scenetta tremenda ispirata a «Palombella rossa». Sì, certo c' erano Vinicio Capossela, Carmen Consoli, i Baustelle, Edoardo Bennato, Samuele Bersani, Simone Cristicchi che ha cantato «Bella ciao» contro tutti i revisionisti ma nemmeno l' audience tv ha mostrato di gradire più di tanto: sono stati poco più di un milione gli spettatori che hanno seguito su Raitre la diretta, un risultato lontano dall' exploit che il concerto ottenne lo scorso anno con Vasco Rossi. Il cast costa, e di questi tempi il sindacato forse farebbe meglio a inventarsi nuove forme di comunicazione per colmare il suo deficit di consenso, soprattutto con i giovani precari.
«Corriere della Sera» del 3 maggio 2010

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