04 maggio 2010

Prigioniero e militante

Dal suo carcere in Florida Conrad Black denuncia il business dei diritti umani: Amnesty International e Human Rights Watch
s. i. a.
Una delle conseguenze più inaspettate della grande vittoria democratica e capitalista nella Guerra fredda è stato il successo di cui ha goduto la già screditata sinistra trincerandosi nelle retrovie dopo la disfatta subita in prima linea. La sinistra economica di Stiglitz-Krugman, ricolma di premi Nobel, come i suoi paladini politici, da Jimmy Carter ad Al Gore e Barack Obama, ha danzato fino allo sfinimento su quelle che credeva essere le tombe del thatcherismo e della reaganomics. Il movimento dei verdi, che è stata una confederazione bucolica e informale di amanti delle foreste, di oppositori dei test nucleari come Greenpeace e di simpatici eccentrici con pedule ai piedi, caschetto coloniale in testa, reti da farfalle in mano e binocolo al collo, è diventato il baluardo della sinistra. Come nel caso della guerriglia comunista delle Farc colombiane, travolta dalla piena di signori della guerra armati, questi vecchi militanti in lotta per aria e acqua pulite e per la protezione di meravigliose farfalle sono stati travolti dai sostenitori della deindustralizzazione, della rinuncia all’automobile e di una determinazione churchilliana di fronte a un’incontrollata flatulenza bovina. Gli autentici ambientalisti sono stati una ridotta perfetta per lo sconfitto esercito di soldati scontenti, radicali e ottusi che, come il malconcio relitto della Grande Armée di Napoleone a Smolensk nel 1812, si sono tuffati in questo incongruente ecosistema politico. Ora che i famigerati “fatti scientifici” di Al Gore si sono dimostrati null’altro che una massa di escrementi così fetidi da poter danneggiare anch’essi lo strato di ozono, e che si è provato che i livelli dei mari e la temperatura globale non si stanno alzando, che i ghiacciai non si stanno sciogliendo e che in buona parte i dati più allarmistici sono errati, la sinistra si è messa a cercare un nuovo terreno sul quale esercitare il proprio monopolio sugli eventi e la loro interpretazione. Sebbene le sue concezioni strategiche ed economiche siano state smentite, la sinistra del mercato sociale ha imparato l’arte del camaleonte. Naturalmente l’Unione Sovietica non era una vera minaccia, e la vittoria ottenuta in un’inutile Guerra fredda è stata soltanto una vittoria di Pirro, del tutto illusoria. Il mondo accademico ha accolto e protetto gli sconfitti e malridotti guerrieri di questa sinistra e si sono intonati appassionati requiem nelle consuete cattedrali dei media di ispirazione liberal. Ma probabilmente il più perentorio Te Deum è stato suonato dalle organizzazioni per i diritti umani. Human Rights Watch è stata fondata dal celebre editore e campione dei diritti Robert Bernstein, ancora oggi molto attivo ma ormai da lungo tempo fuori da questa organizzazione. E quando la fanteria della sinistra è stata messa in fuga, Human Rights Watch è diventata una sorta di clinica per i soldati più traumatizzati, che, assistiti dal balsamo delle sovvenzioni di George Soros, l’hanno trasformata in una delle tante istituzioni anti-israeliane. Human Rights Watch (HRW) è stata creata per contrapporsi alla britannica Amnesty International (AI), e le è stata data una veste di stile prettamente americano. Mentre AI si fondava sul sostegno economico di un’ampia base di membri, HRW è sovvenzionata da un ristretto numero di grandi finanziatori. Mentre AI operava da uffici modesti ed esprimeva proteste di basso profilo, HRW ha sede in eleganti uffici di Manhattan e produce decine di rapporti su carta patinata. AI è sempre stata circondata da sospetti, ed è stata guidata per molti anni dal dichiarato terrorista del Sinn Fein e vincitore del premio Lenin (nonché, naturalmente, del premio Nobel) Seán MacBride. Le opinioni di AI sono state oscurate dal suo implicito assioma secondo cui si potevano prendere provvedimenti apparentemente ingiusti per favorire la sconfitta della ingiustizia istituzionalizzata, cosa che può essere vera, ma è anche il percorso tradizionale per il totalitarismo e il terrorismo. Così, quando la direttrice del programma di AI per la parità sessuale, Gita Sahgal, si è lamentata del fatto che Amnesty avesse un atteggiamento compiacente verso l’islam radicale, è stata sospesa, e HRW ha gongolato di felicità. Salman Rushdie e altri intellettuali hanno criticato il trattamento riservato alla signora Sahgal. Il campo di battaglia tra AI e HRW è mutato, passando dalla difesa degli oppressi a uno scontro spietato di ginnica ipocrisia. Nel 2006 il responsabile per la parità sessuale ha accusato l’avvocato per i diritti britannici Peter Tatchell di “islamofobia, razzismo e colonialismo” perché aveva criticato l’esecuzione sommaria, in Iran, di un vasto numero di omosessuali per il solo fatto del loro orientamento sessuale. Ma questa protesta, ha replicato HRW, non era che un “luogo comune occidentale” e non doveva interessare coloro la cui raison d’être erano i diritti umani. Quando Bernstein ha attaccato la sua vecchia organizzazione accusandola di ignorare le società repressive pur di colpire le democrazie (soprattutto Israele), e i suoi successori hanno replicato (sul New York Times, naturalmente) che il fondatore stava cercando di rendere le democrazie immuni da ogni responsabilità, l’esperto militare di HRW è esploso come fuoco d’artificio. Marc Garlasco era già un personaggio discusso per avere dichiarato che Israele aveva ucciso 7 civili arabi a Gaza nel 2006 ed avere poi ammesso, sul Jerusalem Post, di essersi sbagliato (era Hamas ad essere responsabile). Allo Spiegel Garlasco ha raccontato di avere ordinato, nella guerra del 2003, in qualità di funzionario civile del Pentagono, un attacco aereo su Bassora che causò la morte di 17 civili. A questa confessione ne sono seguite molte altre, nelle quali rivelava di avere ordinato almeno cinquanta attacchi aerei che avevano causato la morte di centinaia di persone, ma senza colpire nessuno degli obiettivi assegnati, e che quest’esperienza lo aveva spinto a entrare in HRW. Poi si è venuto a sapere che Garlasco era un collezionista di cimeli nazisti e sul suo sito internet (con lo pseudonimo di “Flak88”) si divertiva a dire che se i suoi colleghi di HRW avessero scoperto questa sua passione avrebbe “potuto perdere il lavoro”. Scriveva su siti come Wehrmacht-Awards.com, da cui è tratta questa citazione: “La giacca di pelle delle SS mi fa gelare il sangue: è fighissima”. Per un po’ di tempo HRW ha amorevolmente difeso Garlasco come un importante collezionista, cercando di addossare la colpa degli attacchi all’intolleranza degli ebrei. Allo stesso tempo trovava una certa difficoltà nel difendere se stessa dall’accusa di avere organizzato cene per la raccolta di finanziamenti in Arabia Saudita denunciando Israele in termini graditi al governo saudita, uno dei regimi più primitivi del mondo sui diritti. Quando però un blogger ha chiesto se la passione di Garlasco per i cimeli nazisti fosse connessa con l’israelofobia, HRW ha “sospeso” Garlasco, pur garantendogli lo stipendio. I media, che prima avevano un atteggiamento di indulgenza, hanno rivelato che uno dei più importanti esperti di medio oriente di HRW è tra i fondatori della pubblicazione internet anti israeliana “The Electronic Intifada” e che il vicedirettore del settore operativo per il medio oriente di HRW, Joe Stork, è stato un noto commentatore anti israeliano, che aveva approvato l’assassinio degli atleti israeliani a Monaco nel 1972. In questo brodo che non risparmia nessuno, avrebbe molto più senso che i leader del business dei diritti umani, vista la loro animosità contro Israele, diventassero l’obiettivo delle organizzazioni per la cattura dei nazisti, che si stanno ora dedicando alla ricerca di persone come John Demjanjuk. Inseguito per trent’anni, ma senza successo, da Israele, e accusato di avere fatto il guardiano a Treblinka, ora Demjanjuk, novantenne disteso su una barella, è processato dalla Germania con l’accusa di essere stato guardiano a Sobibor. In Elie Wiesel e nei suoi colleghi, Human Rights Watch e Amnesty International troverebbero avversari formidabili.

Conrad Black, storico canadese e giornalista, membro della Camera dei Lord britannica. E’ stato il terzo maggior magnate dei media al mondo.
Dal 2007 è detenuto nel carcere federale di Coleman, in Florida, numero di matricola 18330424.
The National Review (traduzione di Aldo Piccato)

«Il Foglio» del 28 aprile 2010

Nessun commento:

Posta un commento