04 maggio 2010

La favola dell’inquinamento

Secondo l’Istat l’aria in Italia è più pulita di vent’anni fa, ma nessuno lo dice
di Roberto Volpi
Il difetto di certe rilevazioni statistiche è che non sempre sono periodiche, così non sai bene quando aspettarti i risultati, né quali dati saranno resi disponibili. A volte, poi, altre rilevazioni sono addirittura una tantum, cosicché vattelappesca quando ti ricapiterà di avere certe informazioni di tipo quantitativo. E però è strano che, pur in mezzo a queste difficoltà, i dati negativi in un modo o nell’altro trovino sempre la strada di apparire sui mezzi di informazione con tutto il dovuto rilievo, e pure con il rilievo che non meriterebbero, e quelli positivi nisba, mai neppure un viottolo. Cosicché, per dire dell’inquinamento dell’aria, ci hanno pressoché ammazzato in tutti questi anni a furia di ricordarci l’aumento dell’anidride carbonica (CO2). Ma qualcuno è mai riuscito a sapere, da giornali e riviste, televisioni e radio, se nel plumbeo cielo dell’inquinamento non si aprisse per caso un qualche fuggevole spiraglio che facesse meglio sperare? Mi riferisco all’Italia, chiaro, perché tra i dati di questo tipo nel mondo è meglio non addentrarsi neppure – le sabbie mobili danno una maggiore affidabilità. Ma proprio relativamente all’Italia sono uscite, a metà del 2008, due pubblicazioni Istat tanto dettagliate, precise e meritevoli quanto assolutamente ignorate. E vedremo una possibile spiegazione di questo silenzio. Le pubblicazioni sono: “Le emissioni atmosferiche delle attività produttive e delle famiglie. Anni 1990- 2005” e “Le emissioni di otto metalli pesanti delle attività produttive e delle famiglie. Anni 1990-2005”. La prima pubblicazione è di gran lunga quella che riveste il maggiore interesse, in quanto prende in considerazione i dieci più importanti inquinanti dell’atmosfera, responsabili rispettivamente: dell’effetto serra (anidride carbonica, protossido di azoto e metano), delle piogge acide e dell’acidificazione del suolo (ossidi di azoto, ossidi di zolfo e ammoniaca) e della formazione dell’ozono troposferico (composti organici volatili non metanici, monossido di carbonio, polveri sottili e piombo). Il lungo periodo di sedici anni preso in esame compensa in qualche modo la non soddisfacente attualità, in quanto consente di evidenziare tendenze temporali sufficientemente chiare e consolidate, in base alle quali sarebbe perfino possibile avanzare qualche non così azzardata previsione (ma io me ne asterrò prudenzialmente). Bene, di questi dieci inquinanti soltanto tre sono aumentati tra il 1990 e il 2005: l’anidride carbonica e il protossido di azoto, che vanno a incrementare i gas serra, e l’ammoniaca, che ha effetti sull’acidificazione. Ben sette, diversamente, sono diminuiti: il metano, gli ossidi di azoto, gli ossidi di zolfo, i composti organici volatili non metanici, le polveri sottili, il piombo. Ma, a parte questa disparità già evidente tra miglioramenti da una parte e peggioramenti dall’altra, la cosa si fa ancora più interessante se traguardata alla luce, appunto, dei disastrosi livelli di inquinamento ambientale tanto denunciati (e annunciati). E dunque. Sì, è vero, l’effetto serra dovuto ai tre inquinanti di cui abbiamo detto (di cui due in crescita e uno in calo) è aumentato del 13-14 per cento nei sedici anni considerati. Ma a fronte stanno le piogge acide/acidificazione del suolo (due degli inquinanti responsabili in forte calo, uno in debole aumento), ridotti a circa la metà, e la produzione di ozono troposferico (i quattro inquinanti responsabili sono tutti diminuiti sensibilmente), anch’essa pressoché dimezzata. Ora, ci vuol poco a capire da questi dati che complessivamente parlando la qualità dell’aria è migliorata ovvero che, in parole povere, il famigerato inquinamento è diminuito e non aumentato come si vuole far credere portando a testimonianza il solo valore dell’anidride carbonica, ma senza spendere una parola sugli inquinanti che hanno subito nello stesso tempo, in proporzione, ben più cospicue contrazioni: il piombo che è nell’aria oggi, per fare l’esempio più clamoroso, è un millesimo (avete capito bene, un millesimo) di quello che circolava libero quando il cielo era sempre più blu, nel 1990. Annota l’Istat in un’altra pubblicazione ancora, datata agosto 2009 (“Indicatori ambientali urbani. Anno 2008”) che è “migliorata la qualità dell’aria”. Che gli sconfinamenti delle polveri sottili, rilevati dalle centraline urbane, oltre i limiti consentiti sono diminuiti del 16,8 per cento nel 2008 rispetto al 2007. A qualcuno è mai arrivata agli orecchi quest’altra notizia? Figurarsi, si aprono i giornali (poi ci si lamenta che le vendite precipitano), si ascoltano telegiornali e trasmissioni specializzate e sembra che la marcia verso il peggio prosegua gagliarda, passo dopo passo, inarrestabile. Gli epidemiologi che non fanno che rammentarci un inquinamento che ripagherebbe l’uomo della sua insensibilità, puntualmente contabilizzando tanto di malattie e di morti a esso imputabili, dovrebbero per una volta andarsi a leggere, sempre in “Le emissioni atmosferiche delle attività produttive e delle famiglie. Anni 1990- 2005”, le affermazioni del nostro Istituto Centrale di Statistica che, dopo averci ricordato che “le attività produttive hanno generato l’80 per cento delle emissioni di inquinanti “a effetto serra”, il 90 per cento delle emissioni che sono all’origine del fenomeno dell’“acidificazione” e più del 60 per cento delle emissioni di gas responsabili della formazione dell’ozono troposferico”, conclude con queste semplici e non equivocabili parole: “nel periodo 1990-2005 il ruolo delle attività produttive nella generazione delle emissioni atmosferiche si è ridotto per quanto concerne tutti gli inquinanti presi in esame, a eccezione dell’SOx e del Pb (ovvero degli ossidi di zolfo e del piombo)”. Insomma, non c’è trippa per gatti, viene da dire. Cioè, non ce ne sarebbe, a meno che non si giochi a nascondino coi dati, come invece si fa, scegliendo di dar conto soltanto di quelli che portano acqua a una determinata tesi e tacendo con rara ostinazione su tutti gli altri – ovvero, come si è visto, sulla stragrande maggioranza dei dati. Questa è in effetti la forma di gran lunga più praticata di contraffazione statistica della realtà. Qui non c’è fumo statistico, no, non ci sono dati inventati, aggiustati, decontestualizzati, interpretati ad usum delphini. C’è semplicemente una scelta: quella di tacere sistematicamente una parte della realtà, non dando conto di dati che ci raccontano l’altra parte, quella scomoda, che si preferisce ignorare perché troppo in contrasto con le tesi precostituite che vanno per la maggiore e che, detto brutalmente, danno da mangiare. Come quando, parlando di diagnosi precoce, se ne vantano di continuo i successi, salvo non parlar mai dei formidabili fenomeni, a essa indissolubilmente associati, e tanto più corposi quanto più la diagnosi è precoce, dei falsi positivi e falsi negativi (errori) e della sovradiagnosi (la diagnosi di quel che non c’è, con tanto di connessi interventi). Certo, capisco che sia dura. Perché, insomma, come glielo vai a dire all’affezionato lettore, allo spettatore fidelizzato del telegiornale delle otto, quale che sia, che non c’è pressoché niente che quadri con tutto quello che da quei pulpiti è stato predicato in un decennio, il primo del Duemila, a proposito di inquinamento inarrestabile con contorno di nefasti effetti? Se almeno ci fosse qualche altra indagine sulla materia cui appigliarsi, ufficiale s’intende, perché di quelle “à la carte” è pieno il mondo e anche l’Italia, ma non puoi mica sempre citare Pinco Pallino, devi pure appoggiarti qualche volta su dati che non possano essere messi in discussione dal primo che passa, o comunque largamente attendibili e meglio ancora se ufficiali che di più non si può. E invece, nemmeno a cercare col lanternino. L’Istat per la verità un’altra indagine l’ha pure fatta, e si intitola “Le emissioni di otto metalli pesanti delle attività produttive e delle famiglie. Anni 1990-2005”. Si tratta di un’indagine che ha proprio lo scopo di integrare i dati rilevati con l’altra, quella di cui abbiamo parlato, relativa alle “emissioni atmosferiche delle attività produttive e delle famiglie”, che copre lo stesso intervallo temporale. Non soddisfatto di aver fotografato le emissioni nell’atmosfera dei dieci maggiori inquinanti riconosciuti, il nostro Istituto di Statistica ha indagato quelle altre relative agli otto metalli pesanti più presenti nell’aria e pericolosi. Risultato: di otto, due soltanto (arsenico e selenio) hanno fatto registrare un aumento di emissioni tra il 1990 e il 2005, mentre per gli altri sei le relative emissioni sono risultate in contrazione: cadmio, cromo, rame, mercurio, nichel e zinco. Le due indagini hanno dunque fornito risultati in totale sintonia, speculari, sovrapponibili e, dunque, da leggersi e interpretarsi gli uni alla luce degli altri. Comunque lo si giri, e qualunque componente dell’“affaire” inquinamento si vada a cercare, ecco la morale, il risultato non cambia. Ed è un risultato da punteggio rugbistico tra una squadra forte e una compagine deboluccia: disinquinamento batte inquinamento 13 (sette inquinanti più sei metalli pesanti in riduzione) a 5 (tre inquinanti più due metalli pesanti in aumento). Un risultato che fa a pugni con tutto quello che siamo abituati a sentir discendere a mo’ di litania dai cieli dell’informazione. C’è anche un ultimo punto, autentica ciliegina sulla torta. Perché i buoni, nella fattispecie, quelli che si sono bene adoperati su questo fronte dell’inquinamento, sono rappresentati dalle attività produttive. Mentre i cattivi sono proprio loro, le famiglie. Sono le attività produttive ad avere giocato un ruolo positivo nella contrazione delle emissioni atmosferiche, non le famiglie che invece ne hanno avuto uno esattamente opposto. “Al contrario (delle attività produttive), nel 2005 la quota delle emissioni delle famiglie risulta superiore al dato del 1990 per la maggior parte degli inquinanti” – così, icasticamente, annota ancora l’Istat. E, a proposito di quest’ultima affermazione, sembra proprio di essere su “Scherzi a parte”, tanto è plateale il rovesciamento del senso comune. Tra il 1990 e il 2005 c’è stato un sensibile miglioramento della qualità dell’aria, grazie alle attività produttive, alle imprese. E nonostante i danni che hanno combinato le famiglie con riscaldamento, condizionamento e trasporti privati. Chi andasse in giro a sostenere, di fronte a un qualsivoglia pubblico: (a) che la situazione relativa all’inquinamento è alquanto migliorata negli ultimi due decenni e (b) in virtù del buon comportamento delle attività produttive che ha più che compensato quello invece dissipativo e sconsiderato delle famiglie, verrebbe sbertucciato a non finire o, cosa ancor più probabile, scambiato per uno con qualche rotella fuori posto al quale raccomandare, nel suo preciso interesse, di tenere la bocca chiusa il più possibile. E’ vero che queste verità sono testimoniate da una messe di dati, per di più ufficiali. Ma è ancora più vero che sono state seppellite per anni e anni sotto una coltre di petizioni di principio e di ragionamenti circolari che ha occupato ogni spazio mediatico. Riportarle alla luce è un’impresa ben più disperata di quella di ripescare Atlantide in qualche fossa oceanica. Quelle verità, ed è questa la verità più vera, contano quanto il due di picche, dal momento che si è deciso che a fare notizia è l’inquinamento, è l’effetto serra, sono le piogge acide, è l’ozono. In aumento, certo, tutto indiscutibilmente in aumento. Sono forse domande da farsi?
«Il Foglio» del 29 gennaio 2010

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