07 maggio 2010

Agenzie di rating: ecco chi muove i mercati

La valutazione dei titoli di Stati e società private è in mano a un oligopolio controllato da grandi fondi comuni e gruppi editoriali
di Giorgio Ferrari
Sono solo tre, Moody’s, Standard & Poor e Fitch, ma negli anni si sono spar­tite il 96% del reame del rating: insieme distribuiscono pagel­le, danno voti sulla solvibilità dei debiti sovrani, innalzano o declassano nazioni a seconda che quelle 'A' abbiano o non abbiano il segno più, per non parlare della fatidica 'B', anti­camera della bocciatura di un titolo che potrebbe non risor­gere più, fino all’abisso del junk bond , l’obbligazione spazzatu­ra. Il loro giudizio sembra in­sindacabile, la loro influenza è somma, la loro potenza quasi inscalfibile.
Ma chi sono e da dove vengo­no queste tre sorelle che arbi­trano i destini e le fortune di mezzo mondo?
Cominciamo a dire che le tre a­genzie non sono enti morali né associazioni a scopo benefico, bensì si tratta di società priva­te a scopo di lucro. La prima, quella di James Moody, nasce nel 1909 come guida alle oltre duecento com­pagnie ferro­viarie america­ne: ne passa al setaccio i bilan­ci, ne studia gli investimenti e dà loro un voto basato sull’affidabilità. Un bae­deker utilissimo, immediata­mente imitato sette anni dopo dalla Standard Company (che in seguito si fonderà con la Poor’s) e poco più tardi dalla Fit­ch.
Dopo la crisi del ’29 il rating sul­le obbligazioni diventa obbli­gatorio: le banche cioè posso­no acquistare solo obbligazio­ni certificate dalle tre agenzie. È l’inizio di un’ascesa che non si è mai più arrestata: da decenni, chiunque voglia piazzare sul mercato un’obbligazione per autofinanziarsi (un’azienda, u­na banca, una compagnia di as­sicurazione, un fondo comune, uno Stato) deve cercare di strap­pare un voto positivo alle tre a­genzie; senza quel voto, è so­stanzialmente impossibile rac­cogliere denaro sul mercato.
Il loro verdetto ha effetti imme­diati, a volte pesantisissimi: quando Moody’s o Fitch, o Standard & Poor abbassano il rating di aziende o soggetti pubblici particolarmente inde­bitati (come è stato il caso del­la Grecia, o del Portogallo) si ha un istantaneo rialzo degli inte­ressi applicati ai prestiti in cor­so e un conseguente aumento degli oneri finanziari. A volte il debitore è indotto perfino a ce­dere beni di sua proprietà a qualsiasi prezzo pur di evitare un peggioramento del rating, così come sotto una certa soglia di rischio le banche ed altri sog­getti sono obbligati a liberarsi di certe obbligazioni, anche a co­sto di svenderle. Enorme, come si può capire, è il potere arbitra­le di queste agenzie.
La domanda a questo punto è lecita: chi è proprietario e chi pa­ga le agenzie di rating ? Il loro ca­pitale azionario è in mano a fon­di di investimento o emanazio­ni di banche d’affari, ma a re­munerarle – tenetevi forte – so­no gli stessi soggetti (aziende, banche, fondi, Stati) che aspira­no a immettere obbligazioni sul mercato finanziario. Un po’ co­me se pagassimo la commissio­ne d’esame che deve giudicarci. Al di là del palese conflitto di in­teressi – che potrebbe restare nella migliore delle ipotesi nel campo della pura teoria – vi è l’effetto 'bolla', cui le tre agen­zie sembrano a loro volta sog­gette: quando le Borse vanno a gonfie vele, quando tutti com­prano e si indebitano, le tre a­genzie tendono a regalare voti alti a tutti; quan­do la tendenza si inverte, declas­sano senza pietà.
Ma accade an­che il contrario, ovvero il sospet­to ritardo nel­l’abbassare il ra­ting, o peggio la manifesta com­plicità – su questo sta indagan­do il Senato americano – nel da­re pagelle eccellenti a titoli spaz­zatura truffando gli investitori a beneficio delle banche d’affari.
Ma l’effetto forse più letale che un verdetto negativo da parte di queste agenzie può produrre è quello che si riverbera sui cam­bi. È bastato nei giorni scorsi un declassamento del debito pub­blico spagnolo per far flettere l’euro e un successivo martella­mento sui debiti greco e porto­ghese per spingerlo sotto la so­glia di 1,27, il livello più basso degli ultimi due anni. Facile im­maginare che in questo braccio di ferro fra dollaro ed euro le a­genzie di rating abbiano (o per lo meno possano avere) un ruo­lo decisivo. Ma con quale tra­sparenza? Con quali intenzioni? E soprattutto con quali control­li? Possiamo credere che società che hanno come azionista il fi­nanziere Warren Buffett siano neutrali nei confronti dell’euro? O di fondi concorrenti? O di gruppi bancari non americani? A Bruxelles circola l’ipotesi (in parte caldeggiata dal cancellie­re Merkel) di dotarsi di un’agen­zia di rating europea per sot­trarsi dall’abbraccio mortale delle tre sorelle. Ma sarebbe es­sa stessa al riparo dalle pressio­ni degli Stati membri?
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TUTTO BENE SE C’È LA «A»
Standard & Poor’s e Fitch giudicano la capacità di pagare i debiti di un ente secondo una scala di giudizi praticamente identica, mentre i 'voti' di Moody’s sono differenti. Per tutte le tre maggiori agenzie di rating, comunque, il voto migliore è la tripla A (che è AAA per S&P e Aaa per Moody’s). La tripla A garantisce la massima sicurezza del capitale. La perdita della terza A è l’inizio dellA discesa: nella scala di S&P i gradini successivi alla tripla A sono AA+, AA, AA-, nel caso di Moody’s invece si passa all’Aa1, Aa2, Aa3. Fino a questo livello si può parlare di rating alto, la capacità di un ente di ripagare il suo debito è considerata più che buona. La perdita della seconda A è il gradino successivo, ma rating a una sola A si possono comunque considerare di livello medio-alto: nella scala di S&P i voti a una sola A sono A+, A, A-, in quella di Moody’s A1, A2, A3.

SCIVOLARE NELLA «SPAZZATURA»
Persa l’ultima A si passa ai giudizi a tripla B, nella scala di S&P e Fitch, e a quelli Baa, per Moody’s. Nell’ordine S&P prevede BBB+, BBB, BBB-, Moody’s Baa1, Baa2, Baa3. Sono rating medio-bassi, ma sono un gradino decisivo: fnio alla tripla B (o alla B con doppia a) si parla di 'investment grade', cioè di credito sul quale si possa investire con una certa sicurezza di ottenere un rimborso. Dopo questa soglia inizia invece la classificazione 'speculativa', quella chiamata anche 'junk', cioè spazzatura. La Grecia è finita al livello più alto della classificazione 'spazzatura'. I voti B procedono poi secondo la stessa scala della A: S&P passa dalle tre B al BB+ e così a scendere fino al B-; Moody’s scende al Ba1 fino al B3. La B singola, per entrambi, è sinonimo di credito altamente speculativo. Pochissimi debiti sovrani hanno classificazioni così basse (hanno B- solo Giamaica, Argentina e Grenada).

DEBITORI SENZA SPERANZE
Dopo la B singola si apre l’area degli investimenti ad altissimo rischio. Ad oggi nessun debito sovrano ha giudizi di questo tipo. Il Caa di Moody’s e il CCC di S&P si assegnano a debitori vulnerabili che sarebbero in grado di pagare i propri debiti soltanto se si verificassero precise situazioni finanziarie e di mercato. Si parla di 'rischio considerevole', in questi casi. Sotto il livello CCC-, per S&P, c’è solo la D: il credito non ha possibilità di essere rimborsato. Moody’s invece chiude la sua scala di voti con la singola C, mentre Fitch soltanto a questo livello si differenzia da S&P: dopo la tripla C c’è tutta la scala delle D, che comunque serve solo a definire se la capacità di rimborsare il debito è molto scarsa (nel migliore dei casi) o più semplicemente nulla (la D singola).
«Avvenire» del 7 maggio 2010

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