06 maggio 2010

I successi sconosciuti delle staminali «all’italiana»

A Modena l’annuale forum delle équipe che nel nostro Paese lavorano alla sperimentazione e allo sviluppo di nuove terapie a base di cellule adulte Una vetrina di giovani ricercatori che consolidano un’autentica eccellenza, alla quale però i mass media non sembrano sapersi interessare
di Enrico Negrotti
Le staminali mesenchimali si stanno rivelando sempre più una risorsa per molteplici applicazioni nella medicina rigenerativa, e non solo. E gli studiosi italiani sono in prima fila, come confermato dal secondo meeting di First (Forum of italian researchers on mesenchymal and stromal stem cell) svoltosi nei giorni scorsi a Modena, dove si sono alternati relatori affermati (e internazionali) con giovani ricercatori italiani che hanno avuto la possibilità di presentare le loro ricerche più recenti. Fondato lo scorso anno da Lorenza Lazzari e Rosaria Giordano (Cell Factory del Policlinico di Milano) e da Massimo Dominici (Università di Modena e Reggio Emilia), First ha confermato la propria vitalità facendo registrare oltre cento partecipanti da tutta Italia e prefigurando già un terzo incontro il prossimo anno, sempre più aperto ai giovani ricercatori e all’Europa. Impreziosito dalla presenza di scienziati stranieri, quali Edwin Horwitz (Università di Pennsylvania, Stati Uniti) e Bruno Peault (rientrato da poco in Europa, all’Università di Edimburgo dopo un periodo in California), l’incontro di First a Modena ha spaziato su vari campi di applicazione, dalle proprietà immunologiche per controllare il rigetto dopo il trapianto a quelle di rigenerazione del tessuto epatico, dalla possibilità di trasformare le cellule mesenchimali in vettori di molecole antitumorali all’utilizzo delle staminali su supporti biocompatibili per il trattamento della malattia parodontale (piorrea).
Le cellule staminali mesenchimali, scoperta più recente rispetto a quelle emopoietiche, cioè quelle che producono le cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) sono all’origine dei tessuti solidi: fegato, reni, cartilagini, ecc. Di particolare interesse è risultato il lavoro presentato da Marina Morigi (Istituto Mario Negri di Bergamo) che ha illustrato come le cellule staminali mesenchimali da midollo osseo abbiano mostrato – in vitro e poi sull’animale – la capacità di favorire la rigenerazione del tessuto renale danneggiato: un trial clinico sull’uomo è già stato approvato. Sta ora per partire un progetto, in collaborazione con la Cell Factory del Policlinico di Milano, per utilizzare le staminali mesenchimali tratte dal cordone ombelicale, che nei test preclinici si sono dimostrate le più efficaci nel favorire la riparazione. «Si tratta di un campo che apre prospettive utili anche nei pazienti oncologici – commenta Massimo Dominici – perché capita che il danno renale causato dai chemioterapici obblighi a sospendere le terapie contro i tumori». Inoltre si sta dimostrando la capacità delle staminali mesenchimali non solo di riparare tessuti danneggiati, ma anche di produrre molecole che stimolano i tessuti a rigenerarsi. Tra i giovani, ha presentato i risultati di un test appena pubblicato su «Cancer Research» la ricercatrice Rita Bussolari (Università di Modena): nei topi sono state utilizzate le cellule staminali mesenchimali (tratte da tessuto adiposo e trasformate geneticamente) come veicolo di molecole antitumorali: «Si tratta – commenta Massimo Dominici, coautore del lavoro – del primo esempio di terapia genica antitumorale con mesenchimali tratte dal tessuto adiposo».
A dimostrare l’interesse che il settore delle cellule staminali continuano a suscitare stanno le parole di saluto delle autorità intervenute al secondo appuntamento di First. Il rettore dell’Università di Modena, Aldo Tomasi, ha ricordato che il maggiore investimento dell’ateneo è stato riservato a una Cell Factory (con collaborazione con l’Azienda ospedaliera Policlinico e il Servizio sanitario regionale), mentre il direttore generale dell’Azienda ospedaliera, Stefano Cencetti, ha sottolineato che la Regione Emilia-Romagna ha investito 10 milioni in tre anni per la medicina rigenerativa (e il finanziamento verrà ripetuto nel prossimo triennio). Infine la preside della facoltà di Medicina Gabriella Aggazzotti, nell’apprezzare la platea di giovani ricercatori presenti, ha sottolineato come questa ricerca sulle staminali mesenchimali eviti i problemi etici sollevati dall’uso degli embrioni.
Delle proprietà immunomodulanti delle cellule staminali mesenchimali ha parlato Rita Maccario, responsabile del Laboratorio di immunologia dei trapianti del Policlinico San Matteo di Pavia, mentre la giovane ricercatrice Agnese Salvadè (Laboratorio «Verri» dell’ospedale San Gerardo di Monza) ha illustrato l’andamento della sperimentazione con cellule staminali fatte crescere su supporti biocompatibili (scaffold) per riparare la mancanza di osso dovuto alla malattia parodontale: su sette pazienti arruolati nello studio, sono già stati trapiantati i primi cinque con risultati, per quanto preliminari, che si sono dimostrati soddisfacenti dal punto di vista clinico.
Serena Baglio (Istituto Rizzoli di Bologna) ha illustrato una metodica innovativa per verificare se le cellule mesenchimali sono abili a trasformarsi in tessuto osseo, mentre Sabino Ciavarella (Università di Bari) mostrato le potenzialità delle mesenchimali da cordone ombelicale per la cura delle patologie ossee del mieloma.
«Avvenire» del 6 maggio 2010

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