06 maggio 2010

Cari ragazzi, è meglio non leggere

Esce in questi giorni da Einaudi Stile libero un cofanetto (euro 19,00) che contiene un video intitolato "Totem. L' ultima tournée" di Alessandro Baricco, Roberto Tarasco e Gabriele Vacis e un libro, firmato dai tre autori: "Balene e sogni", sottotitolo: "Leggere e ascoltare. L' esperienza di Totem". Il film di Lucia Moisio è prodotto da Valter Buccino per Harold & Motion Pictures. Dal libro anticipiamo qui alcuni brani di Baricco
di Alessandro Baricco
Non ho alcun dubbio che il piacere di leggere, il piacere del libro, perfino la cultura del libro, tutto questo sia fortissimamente legato a una sconfitta. A un ferita e a una sconfitta. Sui libri, non ho dubbi. Su musica, teatro, cinema, può essere più problematico. Leggere è sempre la rivalsa di qualcuno che dalla vita è stato offeso, ferito. Mi sembra un intelligentissimo modo di perdere, leggere libri. Collegato a una specie di rinuncia a combattere sul campo. Comunque me la rigiro, continuo a pensare che alla fine sia così. Non so se questo ha a che fare con la «umanità offesa» di cui scriveva Adorno. So che la umanità dei libri è perlopiù una umanità sofferta. C'è una tendenza a essere ingoiati da questa vertigine. Ed è veramente pericoloso. Quello che pensavano del romanzo nell' Ottocento le persone di buon senso, e cioè che era pericoloso, è vero: ed è bene che sia visto così proprio all'origine dell'oggetto romanzo. L'avevano capito subito. I medici che sconsigliavano alle mogli la lettura dei romanzi, nella purezza del momento aurorale di quell'oggetto - il romanzo - capivano una cosa che a noi oggi sembra ridicola. Ma era vera allora e rimane qualcosa che ha a che vedere anche oggi con l'esperienza del leggere. Per essere molto pratico, io li vedo questi sedicenni in giro, che hanno letto tutti i miei libri, oppure molto Kafka o molto Dostoevskij. Li vedo. E quando mi chiedono che cosa devono fare, solo una cosa mi viene in mente di dirgli: andate a giocare al pallone, buttate via i libri, girate. Tagliatevi i capelli. Fatevi i capelli verdi. Fate qualcosa. Cercate di stare nel, nel. Non fuori. Nel. Dopodiché tornate ai libri, per carità, ma non fatevi ingoiare.
Se penso ai ragazzi di oggi, a ciò che leggono o non leggono, e se dalla nostra esperienza di Totem possa venirne una qualche minima luce su questo, mi vengono in mente alcune cose. Prima di tutto ci vuole una grande disponibilità da parte nostra a capire che la geografia del senso di questi ragazzi sarà oggettivamente diversa dalla nostra. E non per un processo di «volgarizzazione» o «degrado» di ciò che è nobile. Assolutamente. Sarà nobile come la nostra, ma sarà diversa. E non si può pretendere che i Quartetti di Beethoven coprano, nella geografia dell' intelligenza di questi ragazzi, la stessa parte che hanno coperto nella geografia dell' intelligenza nostra. E non per un processo di degrado, appunto. No. Semplicemente perché la geografia cambia. Se noi, ogni volta che si perde un pezzo della geografia che ci ha generato, ci mettiamo a pensare che questa è una perdita secca del mondo, se noi dovessimo essere così idioti da pensare questo in maniera aprioristica e dogmatica, non si aprirà mai un dialogo con questi ragazzi. Noi dobbiamo capire che la loro geografia sarà altrettanto nobile della nostra, e perfino potrebbe essere più nobile, e che non avrà alcuni capisaldi della nostra. Dove da noi c'era un porto, o un fiume che faceva quell'ansa, da loro non c'è niente. Hanno raso al suolo tutto e c'è un grande parcheggio. E noi dovremmo avere la grande, immensa intelligenza di non sdegnarci perché c'è un parcheggio dove c'era un fiume, ma di capire tutta la geografia. E di pensare - quasi come un articolo di fede - che la nostra geografia sarà nobile come la nostra. Perché di fatto è così. Perché alla fine, negli ultimi Quartetti, Beethoven che cosa criticava? Era mondo in movimento. Poi, la forma in cui il mondo si mette in movimento, non sta a noi sceglierla. L'unica cosa che noi dovremmo odiare, è l'immobilità. Perché quella è la morte, è la dittatura, è il mondo in pausa. Ma se il mondo comincia a vibrare, bisogna poi, di volta in volta, capire la forma di questa vibrazione. Ma non potrà essere sempre la stessa.
Il problema della lettura alla fine è questo. Se noi partiamo dal presupposto che ogni ragazzo che non legge è una perdita secca della civiltà, partiamo da un presupposto sbagliato. Stupido. Perché non è affatto detto che, tra centocinquant'anni, la lettura sia il modo, la forma più adatta a creare il senso, a cogliere la vitalità del reale. Ma questo vuol dire che non si può far nulla, che noi non possiamo far nulla, per trasmettere a un ragazzo giovane il senso di ciò che per noi è nobile? Niente affatto. Possiamo evitare i dogmi. Niente è grande se tu non riesci a spiegare il perché. Se i Quartetti di Beethoven sono grandi perché sono i Quartetti di Beethoven, e tu non parti da zero, non li sai spiegare, quella grandezza è finita. Diventa solo un'imposizione, alla quale giustamente un ragazzo si ribella. I ragazzi che si ribellano alla lettura unicamente perché gli viene data come un valore inspiegato, perché è meglio che giocare alla Playstation, ma qualcuno gliel' ha mai spiegato perché è meglio, in maniera convincente? A parte che si tratta evidentemente di una questione aperta - non sappiamo ancora bene che cosa succede in quel nuovo mondo di mondi visivi, sensibilità, velocità diverse dalle nostre - ecco, quei ragazzi vivono questa come una aggressione ai loro valori. Il libro contro il videogioco, da quel momento in poi davvero contrapposti. Allora o sei in grado di spiegarglielo, oppure stai facendo un tipo di gesto che li allontanerà. La sfida è, invece, che a uno che sta giocando con la Playstation tu racconti il Cyrano, e lui d'improvviso ti stia ad ascoltare. Ma non posso dirgli: vai a teatro! Magari a vedere un Cyrano di Bergerac dottissimo - e noiosissimo. Così ce li giochiamo tutti, uno dopo l' altro! Questo ci spetta fare. Ci aiuterà anche a capire che cosa è ancora vivo e che cosa è morto. Quando poi alla fine io non riesco a spiegare veramente ai ragazzi, alla scuola Holden, perché secondo me L'uomo senza qualità di Musil è un libro da leggere, quando avverto che fatico sempre di più, che sono sempre meno credibile, e che non li convinco, non vuol dire solo che io non sono abbastanza bravo. Incomincia a voler dire che forse, nella nuova geografia che sta nascendo, L'uomo senza qualità non è un libro così importante. Cosa possibilissima. Non dobbiamo spaventarci. Non lo dico per provocare. I musicisti che Rossini ammirava nel suo mestiere si chiamavano Mozart, Haydn, ma altri avevano dei nomi che noi abbiamo del tutto dimenticato. Le geografie cambiano. Forse L'uomo senza qualità non è importante per sempre. Lo è stato per me, per la mia generazione, ma quando cominci a non riuscire a spiegarlo, quando senti che non ti credono, è meglio cercare di capire che cosa sta succedendo, qual è la nuova geografia che sta nascendo. E prepararsi ad accoglierla.
«La Repubblica» del 14 maggio 2003

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