10 aprile 2010

Se nel teorema di Malthus la soluzione è lo sviluppo

di Ettore Gotti Tedeschi
Ma quale è stato, è e sarà il vero equilibrio tra sviluppo, benessere e dignità umana in questa "valle di lacrime"? Se leggiamo i recenti risultati dell'indagine di un paio d'istituzioni internazionali che tengono sotto controllo il rapporto tra il comportamento dell'umanità e il pianeta, c'è da preoccuparsi: il benessere sembra far male al pianeta. Poiché poi le proposte risolutive riguardano naturalmente la stessa umanità e la necessità scontata di ridurre ancor più le nascite, importante è capire quanto hanno ragione. Per percepirlo è necessario analizzare le previsioni fatte negli ultimi 35 anni e verificare se si sono mai realizzate.
Le previsioni più catastrofiche risultano in passato normalmente contraddette dalla stessa Fao e dai fatti, così ci si potrebbe tranquillizzare. Ci si dovrebbe invece continuare a preoccupare quando si sentono ancora esaltare le tesi neomalthusiane (che credevamo smentite dai fatti) del Club di Roma negli anni 70 sulla pericolosità della crescita della popolazione per le limitate risorse disponibili.
Per capir meglio la scientificità di questa teoria antica si deve ricordare che essa non fu proprio riproposta dal Club di Roma, bensì qualche anno prima, nel 1968, dall'università di Stanford, quando il biologo Paul Erlich sostenne nel saggio «La bomba demografica» che se il tasso di natalità fosse proseguito ai ritmi degli ultimi anni, prima degli anni 80 centinaia di milioni di persone sarebbero morte di fame.
Il Club di Roma, grazie al rapporto del Mit del 1972 (I limiti dello sviluppo, a sua volta corretto cinque anni più tardi dal Progetto Rio), ridimensionò non poco le previsioni catastrofiche di Erlich limitandosi a prevedere, prima del 2000, qualche decina di milioni di morti di fame per sottoalimentazione. Pur con molte apprezzabili e ragionevoli proposte per un efficiente uso delle risorse e dello sviluppo, il Club di Roma auspicò che l'umanità, conseguentemente, decelerasse il ritmo di proliferazione e crescita demografica, quale scelta urgente e radicale.
Per fare ciò auspicò un cambio di "valori" per l'umanità, un nuovo modello di progresso per trovare un'«esistenza degna di esser vissuta».
Non voglio commentare che cosa possa essere questa "esistenza", vorrei solo ricordare che il crollo della natalità avvenuto negli anni successivi nel mondo occidentale ha comportato l'origine vera della crisi economica che stiamo vivendo, mentre la crescita di popolazione nei paesi allora in via di sviluppo ha comportato, grazie alla delocalizzazione produttiva, il loro benessere e potere economico attuale. E naturalmente nessuno lì è morto di fame... La crisi economica nel mondo occidentale è invece legata proprio al crollo della crescita di popolazione perché comporta necessariamente la diminuzione della crescita del Pil, la crescita dei costi fissi, delle tasse e la diminuzione del risparmio prodotto.
Si cercò negli anni di compensarla con crescita di produttività (biasimata dagli ecologisti), con delocalizzazione di produzioni in Asia e India (apprezzata da asiatici e indiani che hanno fondato così il loro sviluppo economico). Ma riconosciute queste due manovre come insufficienti a compensare la crescita zero, si tentò con il consumismo a debito (più che mai giustamente biasimato dagli ecologisti).
In pratica si produssero effetti esattamente contrari a quanto auspicato. Così, quando questo consumismo a debito arrivò agli eccessi conosciuti (sempre per sostenere la crescita del Pil) e questi debiti si cominciò a non pagarli, scoppiò la crisi. Ma l'origine del ciclo che ha portato alla crisi è e rimane il crollo delle nascite, ecco perché la crisi è considerata, nella sua origine, morale. Ed ecco perché non ci si dovrebbe pertanto meravigliare del non pentimento dei sostenitori di queste teorie anti-nascite. È evidente peraltro l'effetto antropologico-"religioso" della crisi.
Se l'uomo viene considerato solo una "bestia intelligente" soddisfabile solo materialmente, per salvare il pianeta, corrotto dalla sua ricerca di soddisfazione materiale, bisogna ridimensionare l'uomo. E ciò si può ottenere modificandolo geneticamente e riducendone il numero. Ciò è preoccupante, ma sembra invece trovare una certa "cultura" piuttosto compiaciuta.
Oggi però l'attenzione è più sul riscaldamento climatico, frutto del megaconsumismo, che è a sua volta frutto, attenzione, dell'esigenza di compensare il crollo della natalità per sostenere la crescita del Pil. Ma le soluzioni proposte, ohimè, sono ancora quelle di frenare ancor più le nascite perché questo livello di vita consumistico è insostenibile. Anziché il contrario, visto che solo gli investimenti in ricerca possono migliorare l'ambiente, e per farli bisogna far crescere equilibratamente il Pil, la cui crescita vera è però legata alle nascite... Curioso, un mondo così razionale dovrebbe trarre lezioni dall'esperienza. Invece sembra persistere un'innaturale incomprensione fra economia e uomo...
«Il Sole 24 Ore» del 10 aprile 2010

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