Luca Ricolfi smonta i luoghi comuni sulla politica Il paternalismo progressista rispedito al mittente
di Luca Ricolfi
Una volta, in famiglia, avevamo un gatto. Una sera mio figlio, che allora aveva tre anni, vedendo il gatto muoversi elegantemente sul tappeto di casa, ci pose la seguente questione: «Ma lui lo saprà di essere un gatto?».
Non ho mai saputo rispondere a quella domanda. Non so, infatti, che cosa significhi «sapere di essere un gatto», né riesco a immaginare un qualsiasi procedimento logico-scientifico capace di appurare la verità.
Lo stesso spaesamento che provai allora me l’ha fatto provare, nei giorni dopo la vittoria di Gianni Alemanno a Roma, la lettura del quotidiano la Repubblica. Qui ho trovato la seguente definizione degli elettorati di destra e di sinistra: «È di destra chi vota avendo per guida i propri interessi, di sinistra chi vota pensando all’interesse collettivo» (Michele Serra). Un esempio perfetto di credenza metafisica, ossia di quel tipo di affermazioni che – non potendo essere confermate né falsificate – facevano andare in bestia il filosofo della scienza Karl Popper.
Per controllare la verità della credenza di Serra, infatti, dovremmo poter conoscere:
• qual è l’interesse collettivo (i migliori cervelli del ’900, compreso Kenneth Arrow, si sono arresi di fronte al problema);
• in che cosa consistono gli interessi di ogni individuo (ammesso che esistano, che lui li conosca, e che qualcuno li possa accertare);
• che cosa effettivamente farebbero i politici dei due schieramenti una volta al governo, e quale impatto le loro decisioni avrebbero sulle nostre vite (questioni che vanno ben oltre le capacità dei migliori analisti e futurologi).
Quel che possiamo fare, invece, è rispondere a una domanda assai meno ambiziosa: quali sono i gruppi sociali meno propensi a votare a destra (e quindi più inclini a votare Pd e Idv) e quali sono quelli più propensi a votare a destra (e quindi a scegliere Pdl e Lega)? La risposta, basata su una indagine nazionale condotta dall’Osservatorio del Nord Ovest nel 2008, è che Pd e Idv attirano laureati e diplomati, pensionati, dipendenti pubblici, lavoratori con contratto a tempo indeterminato, mentre Pdl e Lega attirano lavoratori autonomi, precari, disoccupati, giovani lavoratori, casalinghe.
Tendenzialmente, il Pd rappresenta la società delle garanzie, ossia l’insieme dei soggetti che già possono contare su varie forme di tutela, e sono quindi primariamente interessati a non perderle. Il Pdl, invece, rappresenta la società del rischio, ossia l’insieme dei soggetti più deboli o più esposti alle incertezze del mercato, per lo più dimenticati dalle organizzazioni sindacali. A quanto pare, dopo un biennio (quello dell’ultimo governo Prodi) in cui tutte le attenzioni della politica governativa si sono rivolte ai già garantiti, gli esclusi e i non garantiti hanno visto nel Pdl un’occasione di riscossa. Se questa ricostruzione empirica del voto ha qualche fondamento, la credenza che il voto a sinistra sia disinteressato e quello a destra sia autointeressato si trova improvvisamente di fronte un fatto imbarazzante: i segmenti più deboli della società italiana preferiscono la destra, quelli più tutelati preferiscono la sinistra. Conclusione logica: se il voto a destra si fonda sugli interessi, e i deboli votano a destra, vuol dire che – secondo loro – la sinistra ha smesso di tutelarli. Domanda finale: e se avessero ragione?
Non ho mai saputo rispondere a quella domanda. Non so, infatti, che cosa significhi «sapere di essere un gatto», né riesco a immaginare un qualsiasi procedimento logico-scientifico capace di appurare la verità.
Lo stesso spaesamento che provai allora me l’ha fatto provare, nei giorni dopo la vittoria di Gianni Alemanno a Roma, la lettura del quotidiano la Repubblica. Qui ho trovato la seguente definizione degli elettorati di destra e di sinistra: «È di destra chi vota avendo per guida i propri interessi, di sinistra chi vota pensando all’interesse collettivo» (Michele Serra). Un esempio perfetto di credenza metafisica, ossia di quel tipo di affermazioni che – non potendo essere confermate né falsificate – facevano andare in bestia il filosofo della scienza Karl Popper.
Per controllare la verità della credenza di Serra, infatti, dovremmo poter conoscere:
• qual è l’interesse collettivo (i migliori cervelli del ’900, compreso Kenneth Arrow, si sono arresi di fronte al problema);
• in che cosa consistono gli interessi di ogni individuo (ammesso che esistano, che lui li conosca, e che qualcuno li possa accertare);
• che cosa effettivamente farebbero i politici dei due schieramenti una volta al governo, e quale impatto le loro decisioni avrebbero sulle nostre vite (questioni che vanno ben oltre le capacità dei migliori analisti e futurologi).
Quel che possiamo fare, invece, è rispondere a una domanda assai meno ambiziosa: quali sono i gruppi sociali meno propensi a votare a destra (e quindi più inclini a votare Pd e Idv) e quali sono quelli più propensi a votare a destra (e quindi a scegliere Pdl e Lega)? La risposta, basata su una indagine nazionale condotta dall’Osservatorio del Nord Ovest nel 2008, è che Pd e Idv attirano laureati e diplomati, pensionati, dipendenti pubblici, lavoratori con contratto a tempo indeterminato, mentre Pdl e Lega attirano lavoratori autonomi, precari, disoccupati, giovani lavoratori, casalinghe.
Tendenzialmente, il Pd rappresenta la società delle garanzie, ossia l’insieme dei soggetti che già possono contare su varie forme di tutela, e sono quindi primariamente interessati a non perderle. Il Pdl, invece, rappresenta la società del rischio, ossia l’insieme dei soggetti più deboli o più esposti alle incertezze del mercato, per lo più dimenticati dalle organizzazioni sindacali. A quanto pare, dopo un biennio (quello dell’ultimo governo Prodi) in cui tutte le attenzioni della politica governativa si sono rivolte ai già garantiti, gli esclusi e i non garantiti hanno visto nel Pdl un’occasione di riscossa. Se questa ricostruzione empirica del voto ha qualche fondamento, la credenza che il voto a sinistra sia disinteressato e quello a destra sia autointeressato si trova improvvisamente di fronte un fatto imbarazzante: i segmenti più deboli della società italiana preferiscono la destra, quelli più tutelati preferiscono la sinistra. Conclusione logica: se il voto a destra si fonda sugli interessi, e i deboli votano a destra, vuol dire che – secondo loro – la sinistra ha smesso di tutelarli. Domanda finale: e se avessero ragione?
«Il Giornale» del 17 aprile 2010
pur trovando che il suo ultimo libro ("il sacco del nord") sia molto coraggioso e intelligente, nonché molto utile per chi deve governare il paese, questa volta mi trovo in disaccordo con il Professore. Per ciò che riguarda la mia esperienza le cose non stanno proprio come scrive in questo articolo.
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