10 aprile 2010

La chiesa non è una repubblica

Prosegue l’assedio scandalistico al Papa, tra informazione e ideologia
di Giuliano Ferrara
Continua lo stillicidio delle accuse al Papa per il trattamento disciplinare “lassista” dei casi di pedofilia tra i preti. Riferiamo in apertura dell’ultima scoperta documentale dell’Associated Press: una vecchia lettera firmata dal cardinale Joseph Ratzinger nei primi anni Ottanta in cui si suggerisce estrema prudenza alla diocesi di Oakland, in America, nel trattamento del caso di un giovane prete accusato di aver molestato sessualmente due ragazzi (il sacerdote fu infine ridotto allo stato laicale). La prudenza di Ratzinger fu da lui motivata, secondo il testo che l’agenzia di stampa ha cominciato a rendere noto ieri sera, dalla necessità di mettere al primo posto il “bene della chiesa universale”. Bisogna che molti dettagli importanti della storia emergano alla luce, per poter giudicare meglio. E informeremo i lettori di tutto, come sempre.
Va intanto annotato che la chiesa cattolica, come le altre denominazioni cristiane, non è una repubblica moderna, fondata sul diritto positivo, sull’azione penale, sul controllo e la repressione dei reati. La chiesa si occupa del peccato, che è una cosa più complessa del reato, che non si lascia classificare nello stesso modo, che ha un ambito di giudizio individuale, caso per caso, diverso dalle procedure eguali, omologate, standard, del diritto. Non è nemmeno una società aperta, i suoi abitanti sono anime, non cittadini. D’altra parte la distinzione tra peccato e reato nasce illuministicamente e laicamente nella koinè kantiana, quella filosofia che ha fondato il lungo ciclo di detemporalizzazione e di laicizzazione del rapporto della chiesa con la società e le istituzioni civili. Ha delle regole canoniche, la chiesa, non è certo un’assemblea anarchica, al contrario: i suoi meccanismi di sorveglianza agiscono nel profondo, scavano nella coscienza, si riferiscono a un ambito umano e divino. Ma la chiesa, specie quando si tratti di preti, maneggia un ministero sacramentale che trascende necessariamente le regole ordinarie con cui si trattano le fattispecie di reato nei tribunali civili, la cui autorità la chiesa riconosce. Se questo dato non viene compreso e riconosciuto, con spirito tollerante e laico, l’accusa alla chiesa diventa intolleranza ideologica.
Chi ha governato la chiesa cattolica nell’ultimo mezzo secolo, e tra questi il Papa regnante, ha certamente delle responsabilità nel trattamento cauteloso e pietoso, talvolta obiettivamente riduttivo, delle complesse psicopatologie legate alla sessualità omofila e pedofila nel clero. Non ci dovrebbe essere alcun problema a riconoscerlo serenamente, anche da parte dello stesso Papa. Ma al tempo stesso, come dimostrano atti decisivi del pontificato di Ratzinger, e la straordinaria lettera pastorale al clero irlandese, bisogna dare atto a Benedetto XVI di aver istruito una nuova sensibilità intorno a questo tema difficile, critico, e di aver fatto quanto era possibile per esercitare senza infingimenti una responsabilità pastorale, ma anche canonica e morale, molto rigorosa.
L’ex sindaco di Gerusalemme, Ed Koch, ha detto proprio ieri che la campagna internazionale di stampa sulla pedofilia dei preti, per il modo in cui è impostata, mostra non tanto la volontà di informare i cittadini quanto quella di punire la chiesa per le sue posizioni, che la società secolare considera una minaccia alla propria identità ideologica, sull’aborto, sull’eutanasia, sul matrimonio gay. Non poteva dire meglio.
«Il Foglio» del 10 aprile 2010

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