10 aprile 2010

Il turismo dei diritti

di Stefano Rodotà
Strane parole percorrono l'Italia. "Federalismo etico" è una formula che descrive bene non solo un clima, ma una deriva istituzionale già avviata e che può dare il vero tono all'annunciata stagione delle riforme. Quando il neopresidente del Piemonte ha parlato di pillole RU 486 che sarebbero "rimaste in magazzino", si è materializzata davanti ai nostri occhi un' Italia nella quale i diritti fondamentali non sono più un patrimonio che accompagna ogni persona, quale che sia il luogo in cui si trova. Ma dipendono dalla regione in cui vive, dai capricci della maggioranza d'un momento. Non è una novità in assoluto. Ricordate le ultime fasi della drammatica vicenda Englaro, quando i suoi familiari erano alla ricerca di una struttura ospedaliera dove Eluana potesse trovare quella morte dignitosa che i giudici avevano riconosciuto essere un suo diritto? Il presidente della Lombardia levò alte mura intorno alla sua regione, mentre la presidente del Piemonte correttamente disse che non si sarebbe opposta al ricovero. I giudici amministrativi ritennero illegittima la decisione di Formigoni, ma una rottura si era già consumata e una autorità istituzionale aveva detto ai cittadini che i diritti non erano più diritti, ma l'esito incerto di un peregrinare da regione a regione, di un inedito "turismo dei diritti" non più verso paesi più liberali, ma all'interno dello stesso territorio nazionale. Vale la pena di aggiungere che assume un bel valore simbolico il fatto che il nuovo annuncio sia venuto proprio da quel Piemonte dove Mercedes Bresso aveva mostrato come le istituzioni debbano rispettare legalità e diritti e che oggi, invece, si allinea su ben altre posizioni (si può suggerire una onesta riflessione agli intelligentissimi politici che continuano a trincerarsi dietro lo schema che vuole sostanzialmente identici i candidati di destra e di sinistra?). Vero è che la stessa maggioranza ha reagito alle parole di Roberto Cota, e che questi si è prevedibilmente affrettato a dire d'essere stato male interpretato. Ma quelle parole sono comunque rivelatrici di un profondo "spirito di governo", tanto che avevano trovato eco immediata in dichiarazioni dei presidenti di Lombardia e Veneto, così mostrando di quale pasta rischi d'essere fatto il nuovo "vento del nord" che comincia a spirare dopo l' annessione del Piemonte al Lombardo-Veneto. Mentre, infatti, si discuteva intorno alla pillola RU 486, sono tornate con forza le proposte di riservare l' insegnamento nelle scuole pubbliche a professori autoctoni, che sarebbero gli unici in grado di trasmettere agli studenti "i valori del territorio". Questo è solo un esempio dei molti tentativi di localizzare, di riservare ai nativi quel che dovrebbe appartenere a ogni cittadino, tentativi che sicuramente si intensificheranno dopo l'esito elettorale. Un'Italia di "gabbie" ben più discriminanti delle vecchie gabbie salariali? Un' Italia in cui si passa dall' inclusione di tutti all' esclusione selettiva basata sulla nascita o sulla residenza? Quando si riformò frettolosamente il titolo V della Costituzione per introdurre elementi di federalismo, si era comunque consapevoli dei problemi che potevano nascere proprio per il rispetto dei diritti. Si stabilì che la potestà legislativa delle regioni deve essere esercitata "nel rispetto della Costituzione"; che spetta allo Stato determinare i "livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale"e assicurare che ciò avvenga "prescindendo dai confini territoriali dei governi locali"; che le regioni non possono adottare "provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone tra le regioni, né limitare l'esercizio del diritto al lavoro in qualsiasi parte del territorio nazionale". Mai come in questo momento, e non solo in Italia, il rispetto dei principi costituzionali, delle libertà e dei diritti delle persone si presenta come il criterio di base per valutare la legittimità di qualsiasi azione politica. I casi ricordati prima ci parlano di un principio d'eguaglianza sempre più respinto sul fondo, e della consapevole creazione di nuove diseguaglianze; della trasformazione di diritti fondamentali, come quello alla salute, in situazioni precarie, affidate alla discrezionalità politica; di una cittadinanza che, invece di essere proiettata al di là d'ogni confine, viene rimpicciolita nelle "piccole patrie". A tutto questo dobbiamo prestare attenzione, perché qui si realizza una riforma costituzionale strisciante, una manomissione di quella prima parte della Costituzione definita, a parole, intoccabile. Qui si contribuisce a determinare una agenda politica che integra quella dettata dal presidente del Consiglio. Berlusconi ha detto che i prossimi mesi dovranno essere dedicati alla riforma della giustizia e delle intercettazioni, alla riforma fiscaleea quella costituzionale, al presidenzialismo in primo luogo. E a questo si deve aggiungere la ripresa della discussione sulla legge sul testamento biologico. Sono tutte questioni che si prestano assai ad essere valutate proprio con il metro dei diritti fondamentali. Parto da un esempio concreto. L'articolo 13 della Costituzione dice che la libertà personale è inviolabile, ma può essere limitata "per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge". Ma che cosa accade quando il Parlamentoè ridotto al silenzio, obbligato a mettere un timbro su leggi in contrasto con i principi costituzionali, e si annunciano riforme che incideranno sull' autonomia della magistratura? Nelle apparenze la garanzia della libertà personale non è toccata, nella sostanza è svuotata. La distorsione delle garanzie costituzionali è davanti a noi, e rischia di trovare gravi manifestazioni in due leggi che dovrebbero essere approvate in breve tempo. Quella sulle intercettazioni viene giustificata con la necessità di rispettare la libertà e la segretezza delle comunicazioni: ma questo giusto obiettivo può essere realizzato vietando la diffusione di quel che è estraneo alle indagini, senza limitare i poteri della magistratura e il diritto d' informazione. Il testo sul testamento biologico, all'esame della Camera, travolgerebbe il diritto all' autodeterminazione delle persone fondato sull'articolo 32 della Costituzione e ribadito con chiarezza dalla Corte costituzionale. E temo che, dopo le prove generali di reciproco consenso tra maggioranza e Vaticano intorno alla pillola RU 486, proprio la legge sul testamento biologico possa rappresentare il dono che governo e maggioranza intendono fare alla Chiesa, per cementare una alleanza (e accettare una sottomissione). Che la bussola dei diritti fondamentali non debba mai essere perduta ce lo ha ricordato il presidente della Repubblica non firmando una legge che fa venir meno garanzie essenziali per i lavoratori. L'identità costituzionale si costruisce in primo luogo intorno al rispetto di libertà e diritti, indispensabile non solo per la tutela dei singoli, ma per evitare ogni slittamento verso forme di autoritarismo. Ricordiamolo nel momento in cui questo è lo spirito con il quale gran parte della maggioranza propone un mutamento di regime, abbandonando quello parlamentare per approdare frettolosamente al presidenzialismo. Una domanda, a questo punto, nello spirito di quelle poste da Ezio Mauroa conclusione del suo ultimo editoriale. L'agenda politica è monopolio della maggioranza, l'opposizione è obbligata a giocare solo in contropiede o può dire la sua, come fece Berlusconi ai tempi dei governi di centrosinistra? Per cambiare l'agenda politica non basta suggerire temi importanti. Indico tre vie possibili. L'uso intelligente del referendum, ma non nella forma che chiamerei, con tutto il rispetto, del referendum-ripicca, per reagire sempre in contropiede a leggi magari indecenti, ma per porre grandi questioni collettive, come sta accadendo con il referendum sull'acqua come bene comune. L'uso intelligente di Internet come strumento di mobilitazione continua, per sollecitare e accompagnare discussioni e iniziative legislative, cercando così di rivitalizzare anche il rapporto tra Parlamentoe cittadini. L'uso intelligente dei regolamenti parlamentari che riservano all'opposizione tempi per la discussione di loro proposte: meglio farsi dire di no dopo aver creato attenzione nell'opinione pubblica che farsi poi accusare di non aver fatto nulla.
«La Repubblica» del 7 aprile 2010

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