03 marzo 2010

Se a Cuba si muore protestando

Perché il sacrificio di Zapata Tamayo è diverso da quello di tanti altri dissidenti cubani
di Maurizio Stefanini
“Alla cortese attenzione degli Eccellentissimi: Parlamentari dell’Unione Europea. Presidenti degli Stati membri dell’Unione Europea. Ambasciatori europei a Cuba. I recenti avvenimenti che si sono verificati a Cuba non lasciano alcun dubbio circa l’intolleranza feroce del regime dei fratelli Castro, e sono il risultato della politica di isolamento e immobilità, intrinseci al sistema arcaico con il quale cercano ancora di governare l’isola”. Questo appello, redatto nelle varie lingue dell’Ue, non è stato fatto ora, dopo la drammatica morte di Orlando Zapata Tamayo in seguito a 83 giorni di sciopero della fame e, ancor di più, ai 18 giorni di privazione dell’acqua con cui le autorità carcerarie avevano tentato di piegarlo. La data apposta è infatti “Milano, 17 dicembre del 2009”. È un “Reclamo all’Unione Europea” in forma di petizione, cui si può apporre firma on line, redatto dall’Unione per le Libertà a Cuba: “Un gruppo di cubani rifugiati politici in Italia che da anni si battono per la libertà del popolo cubano. In ricordo di Laura Gonzalez e Valerio Riva, due grandi italiani che dal lontano 1964 si sono battuti per la libertà di nostro popolo” (il blog, il gruppo su facebook).
Il documento, a parte le tremende condizioni economiche e sociali dell’isola, ricorda però vari altri casi di vessazioni di dissidenti. Il pestaggio della famosa Yoani Sánchez, del marito e di altri due blogger. La condanna del disoccupato e alcolista Juan Carlos González Marcos “Pánfilo” per aver denunciato in modo estremo la fame dei cubani: poi liberato grazie alla protesta internazionale, ma tuttora sottoposto a pressioni e vigilanza. I 25 anni che il medico anti-abortista Óscar Elías Biscet sta scontando perennemente in cella di punizione. L’arresto di Darsy Ferrer per “acquisto illegale di cemento al mercato nero”. Jorge Luis Pérez “Antúnez”, che dopo 17 anni di carcere vive tuttora assediato dalla polizia politica. Le aggressioni ai 10 dissidenti che a ottobre hanno fatto uno sciopero della fame di protesta di 40 giorni. Le altre aggressioni alle Damas de Blanco: le madri e parenti dei prigionieri politici insignite del Premio Sakharov dell’Unione Europea, che tutte le domeniche marciano per le strade dell’Avana a chiedere libertà per i loro familiari.
Anche Orlanda Zapata Tamayo, 42 anni, muratore e idraulico, nero come Biscet, Ferrer e Antúnez, aveva già iniziato il suo sciopero della fame, quando la petizione è stata inoltrata. Condannato a 3 anni di carcere dopo essere arrestato nel 2003 nella famosa retata dei 75, per ribellarsi alle vessazioni delle guardie carcerarie aveva comulato nuove condanne a catena, fino ad arrivare a 36 anni. Dopo gli ultimi tre pestaggi ricevuti, il 3 dicembre ha smesso di ingerire alimenti solidi e, subito, gli hanno allora negato anche i liquidi. La testimonianza della madre lo ha descritto in ospedale “pelle e ossa, lo stomaco ridotto a un buco, il peso così ridotto che hanno dovuto mettergli le flebo sul collo, e la schiena piagata per le botte”.
Quando ormai Zapata Tamayo era alla fine, quelli dell’Unione per le Libertà a Cuba si sono dati da fare affannosamente per far passare qualcosa sulla stampa. Purtoppo, il loro argomento risolutivo è stata infine la morte del prigioniero. Nel momento in cui la petizione è stata inviata, però, c’era nell’Unione Europea maretta, a proposito dell’arrivo a una presidenza di turno spagnola che per esplicita intenzione del premier Zapatero avrebbe cercato di mitigare o addirittura far togliere del tutto le sanzioni che la stessa Unione Europea aveva imposto al regime castrista dopo la repressione del 2003. Effetto della morte di Zapata Tamayo, adesso non solo Lula in visita a Cuba e perfino Raúl Castro si dicono “dispiaciuti”. Lo stesso Zapatero dice che bisogna “liberare tutti i detenuti politici cubani”.
«Il Foglio» del 2 marzo 2010

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