02 febbraio 2010

Sul crocifisso Europa al bivio

Vecchio continente schizofrenico: in Germania si ribadisce che «la domenica è destinata al riposo e all’elevamento spirituale», mentre la Corte di Strasburgo condanna l’Italia per la presenza a scuola del simbolo cristiano. Manca la coscienza che non ogni pretesa è necessariamente un diritto
di Cesare Salvi
La Corte costituzionale tede­sca ha annullato il 1° dicem­bre scorso una legge del Se­nato di Berlino, che prevedeva la parziale apertura domenicale de­gli esercizi commerciali. La Corte ha stabilito che la legge violava il principio costituzionale che ga­rantisce «la destinazione della do­menica al riposo e all’elevamen­to spirituale » . Questo principio si trovava già nella Costituzione di Weimar, la prima delle Costitu­zioni novecentesche cosiddette lunghe, che cioè, come la nostra Carta fondamentale, non si limi­tano all’ordinamento delle istitu­zioni e alla garanzia delle libertà civili, ma tutelano diritti sociali e valori non individualistici.
Se si ragionasse come ha fatto la Corte dei diritti umani di Stra­sburgo, quando ha condannato l’Italia per la normativa che pre­vede l’esposi­zione del cro­cifisso nelle aule scolasti­che, si dovreb­be dire che quanto deciso dalla Corte co­stituzionale tedesca sul ri­poso domeni­cale è lesivo dei diritti u­mani di chi non crede, o di chi professa u­na religione che prevede un diverso giorno festivo.
In effetti, dalle due decisioni emergono in modo emblematico modi diversi di intendere la tutela dei diritti nel mondo contemporaneo. C’è una logica individualistica, per la qua­le ogni pretesa, richiesta, punto di vista del singolo assume la ve­ste giuridica del diritto umano fondamentale; e c’è una logica so­ciale, che gradua la tutela alla lu­ce dell’interesse di cui si chiede la protezione e del bilanciamento con altri interessi, condotto alla luce dei valori che fondano la convivenza, tra i quali l’identità nazionale, intesa come tradizione storico-costituzionale.
L’Europa è oggi al bivio tra queste due concezioni. Per questo, a mio avviso, la ' questione del crocifis­so' ha una portata che va oltre gli aspetti, pur molto rilevanti, dei quali si è fin qui prevalentemen­te discusso. Per comprenderne la portata, so­no forse utili anzitutto alcune pre­cisazioni sul significato e gli ef­fetti giuridici della sentenza del­la Corte di Strasburgo. Si è detto che la sentenza non po­trà avere effetti pratici perché il governo e le forze parlamentari hanno affermato la loro contra­rietà. Si è sottolineato, in secon­do luogo, che la decisione non promana dall’Unione europea, essendo la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Corte di Strasburgo inserite nel diverso meccanismo istituzionale costi­tuito dal Consiglio d’Europa. Le cose non stanno così.
Per quanto riguarda il primo a­spetto, se la ' Grande camera' confermerà la sentenza, anzitut­to non potrà non fare altrettanto per altri ricorsi individuali, assi­curando a cia­scuno dei ricor­renti l’equa soddisfazione patrimoniale, che nel caso de­ciso è stata quantificata in cinquemila eu­ro. Inoltre, se i ricorsi si molti­plicheranno la Corte potrà sol­levare la que­stione del ' de­ficit struttura­le' presente in materia nell’or­dinamento ita­liano, e sotto­porla al Comi­tato dei mini­stri del Consi­glio. Infine, è immaginabile che il tema torni alla Corte costituzio­nale, che ha di recente enunciato il principio per il quale le norme della Convenzione, così come in­terpretate dalla Corte, prevalgo­no sulla legislazione italiana, sal­va la verifica di costituzionalità.
er quanto riguarda il rap­porto con l’Unione euro­pea, va ricordato che il Trat­tato di Lisbona ha previsto l’ade­sione dell’Unione alla Cedu. Non è da escludere tra l’altro che la no­stra Corte costituzionale assimili i due sistemi: e va segnalato che per la Consulta il diritto dell’U­nione prevale anche sulle norme costituzionali, salva la verifica dell’eventuale violazione di 'prin­cipi supremi' e diritti inalienabi­li. La ' questione del crocifisso', insomma, rimane giuridicamen­te P aperta. A me pare che per affrontarla in modo adeguato, sia utile collo­carla in un contesto più ampio, che riguarda la concezione dei di­ritti che si viene affermando in Europa, e il rapporto tra giurisdi­zione europea e identità costitu­zionale italiana. Quanto al primo aspetto, va se­gnalata la differenza sostanziale tra la concezione dei diritti as­sunta dalla nostra Costituzione e quella prevalente nei due sistemi europei, in via di unificazione, di cui si è detto. In Europa prevale infatti una concezione individua­­listica dei diritti, che si accompa­gna alla moltiplicazione dei me­desimi, e che è diversa dall’im­pianto della nostra Carta fonda­mentale.
M anca, alla prima, quella esigenza di contempera­mento tra diritti indivi­duali e doveri di solidarietà, che la nostra Costituzione enuncia in modo mirabile nell’art. 2, e ripro­pone poi nell’articolazione della sua Parte prima.
Questa diversità di concezione e­merge nei principi in tema non solo di rapporti etico- sociali, ma anche di rapporti economici. Per questi si assiste a una vera e pro­pria regressione ottocentesca, che assimila i diritti patrimoniali e le libertà economiche ai diritti u­mani fondamentali, riproponen­do l’antica endiadi proprietà- li­bertà. Viene così colpito quel nu­cleo portante della nostra Carta fondamentale, significativa sinte­si tra la dottrina sociale cristiana e le posizioni della sinistra, che è costituito dal principio persona­listico e dal principio lavorista ( per usare i concetti di Costanti­no Mortati), che si traducono, per i rapporti economici, nei princi­pi della funzione sociale della proprietà privata e dei limiti del­l’utilità sociale e della dignità e si­curezza della persona apposti al­l’iniziativa economica privata. U­na sintesi che era stata auspicata, con grande antiveggenza, qua­rant’anni dopo la Rerum nova­rum,
da Pio XI nella Quadragesi­mo anno.
La pretesa di impedire all’Italia l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche si inserisce allo- ra in un ampio e inquietante contesto: la di­mensione ' so­ciale' scompa­re, e con essa la necessità del bilanciamento di valori, inte­ressi, ' diritti'.
Da tempo, la Corte costituziona­le è impegnata nel tentativo di e­laborare un ' principio di laicità' coerente alla nostra normativa costituzionale e alla nostra tradi­zione, che risulti dal concorso, e non dalla contrapposizione, di va­lori diversi: la libertà individuale, il pluralismo religioso e il ricono­scimento del « cristianesimo co­me parte del patrimonio storico del popolo italiano » . Questi valo­ri – dice la Consulta (sentenza 203 del 1989) – « concorrono a descri­vere l’attitudine laica dello Stato­comunità, che risponde non a po­stulati ideologici e astratti […] ma si pone a servizio di concrete i­stanze della coscienza civile e re­ligiosa dei cittadini » . È giusto che al tentativo di elaborare un prin­cipio di laicità fondato, giuridica­mente e storicamente, sulla no­stra tradizione (sulla nostra Co­stituzione e sulla nostra storia) si sovrappongano diktat espressivi di un’ideologia apparentemente moderna, in realtà per più aspet­ti regressiva e prenovecentesca?
E qui subentra il secondo aspetto istituzionale cui facevamo riferi­mento: la progressiva afferma­zione di un ' governo dei giudici' europei, che a colpi di sentenze si sostituiscono alle sedi (democra­tiche e giurisdizionali) degli Stati nazionali. E ciò andando, molto spesso, oltre il testo dei Trattati, che prevedono il principio di sus­sidiarietà e la tutela delle 'identità costituzionali' nazionali (riven­dicata, in un’importante senten­za del 30 giugno scorso, dalla Cor­te costituzionale tedesca).
Per tale via si vengono afferman­do principi giuridici individuali­stici e liberisti, che si sostituisco­no in modo surrettizio e non de­mocratico a quelli della nostra Costituzione e della nostra tradi­zione.
La 'questione del crocifisso' non può e non deve essere i­solata, quindi, dal grande te­ma della necessità di reagire (an­che nelle sedi istituzionali, come il Parlamento e la Corte costitu­zionale) alla tendenza alla disgre­gazione individualistica del tes­suto sociale.
È da augurarsi che questa non sia materia per gli scontri politici ir­razionali ai quali ci ha purtroppo abituato negli ultimi anni la poli­tica italiana, e divenga invece l’oc­casione per un grande dibattito pubblico sui valori e sui principi in base ai quali si sta costruendo l’Europa.
«Avvenire» del 2 febbario 2010

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