28 febbraio 2010

Quelle canzoni con effetti magici che aprivano le porte chiuse

Vanitas
di Eva Cantarella
Sanremo, tempo di canzoni. D'amore, naturalmente. Non è una novità che servano per dichiararlo, per rimpiangerlo, per disperarsi... Era così anche nell' antichità, quando peraltro ad alcune canzoni si attribuivano effetti magici: cantandole dinanzi alla porta chiusa dell' amata, gli innamorati respinti erano convinti di ottenere che le porte della sua casa si spalancassero. Un esempio: il giovane Fedromo, nel Curculio di Plauto, è innamorato della bella Planesio. E si produce, dinnanzi alla sua porta nella seguente, per noi singolarissima serenata: «Chiavistelli, chiavistelli, che piacere salutarvi/ Io vi amo, vi scongiuro, e desidero implorarvi:/ fate grazia all'amor mio, chiavistelli miei carini,/ trasformatevi per me in romani ballerini,/ vi scongiuro, sussultate, consegnatemi il mio amore,/ che mi fa morire e beve tutto il sangue del mio cuore». La traduzione è di Ettore Paratore, le parole, chiaramente, sono una nenia magica. Ripetendo determinate parole, in modo ritmato, per non dire ossessivo, i romani erano convinti di ottenere risultati sorprendenti, quali, appunto, l'apertura delle porte. Non solo per ragioni di cuore: cantando dinanzi alla porta di chi, venendo meno a un solenne impegno, rifiutava di testimoniare il giudizio, erano sicuri di costringere costui a uscire di casa e fare il suo dovere. Ma si potevano fare tante altre cose, cantando, non tutte commendevoli: si poteva, ad esempio, gettare il malocchio sul campo del vicino, e si potevano trasportare le messi di questi nel proprio campo (commettendo, in questo caso, un furto magico punito dalla legge delle XII Tavole). Anche delle canzoni insomma, come di tante altre cose, si poteva fare un buon uso e un cattivo uso.
«Corriere della Sera» del 20 febbraio 2010

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