13 febbraio 2010

Le pagine oscure e sanguinose dell’antico cristianesimo

In Azazel, ambientato nel V secolo, l’arabo Ziedan ricorda fanatismi e omicidi della Chiesa. Uguali a quelli dell’Islam ...
di Andrea Tornielli
Viene presentato come «Il nome della rosa del Quinto secolo», un romanzo «atteso in tutto il mondo», destinato a causare «forti polemiche religiose, letterarie e politiche». E anche se a dire il vero non è di facile lettura né ha il ritmo del modello di Umberto Eco, Azazel, la nuova opera dell’egiziano Youssef Ziedan (Neri Pozza, pagg. 416, euro 17,50 euro, traduzione di Lorenzo Declich e Daniele Mascitelli) è un libro che potrebbe effettivamente contribuire al dibattito su alcune pagine della storia cristiana antica che non si prestano a semplificazioni unilaterali. A patto di non prendere le ricostruzioni romanzate come pagine di un saggio scientifico.
Azazel (un nome del diavolo) è la storia di Ipa, un monaco medico egiziano che vive nel V secolo e narra in un manoscritto dedicato ai posteri la propria vita. Figlio di un pagano convertitosi al cristianesimo, vive per un certo tempo ad Alessandria, dove assiste alle lezioni della filosofa neoplatonica Ipazia ed è testimone del suo assassinio per mano di alcuni fanatici cristiani. Lasciata Alessandria, l’inquieto monaco si trasferisce a Gerusalemme, dove conosce il vescovo Nestorio del quale diventa amico. La Chiesa in quegli anni è attraversata da grandi controversie teologiche, dilaniata da contese. Ipa assiste alla sorte di Nestorio il quale, divenuto vescovo di Costantinopoli, si contrappone a Cirillo d’Alessandria perché non crede all’unione della natura umana e divina di Gesù, e alla natura divina della maternità di Maria, che sarà invece ribadita dal concilio di Efeso, convocato dall’imperatore Teodosio II nel 431. Dopo le scomuniche vicendevoli tra i sostenitori di Cirillo e quelli di Nestorio, il concilio si concluderà con la conferma della condanna del vescovo di Costantinopoli grazie al voto dei delegati occidentali.
Ipa, attraversato da dubbi di fede, e attratto dai piaceri della carne – le due storie d’amore con Ottavia ad Alessandria e quindi con la cantante Marta ad Aleppo appaiono in qualche pagina quasi un’inserzione obbligata nella vicenda, dovuta a motivi di marketing più che a esigenze narrative – finisce con l’ammalarsi di una strana febbre che gli comporta deliri e visioni inquietanti, ed è proprio con un lungo dialogo con il demone Azazel che il romanzo si chiude.
Il libro non ha nulla a che vedere con le pasticciate operazioni tipo Il codice Da Vinci, è un romanzo storico che fa trasparire in ogni pagina la solida formazione del suo autore e la consuetudine che egli ha con gli studi sul cristianesimo antico e sulle radici dell’islam. Ziedan, classe 1958, professore di filosofia islamica e sufismo nonché direttore del Centro dei manoscritti e del Museo affiliato alla Biblioteca d’Alessandria, ha vinto nel 2008, con questo testo, il premio internazionale per il miglior romanzo in lingua araba.
Fra le descrizioni letterariamente meglio riuscite c’è certamente il capitolo dedicato all’assassinio di Ipazia, che insegnava filosofia e matematica nella sua scuola ad Alessandria e che venne trucidata da un gruppo di cristiani nel 415, quando aveva circa sessant’anni. Nel romanzo si legge che il delitto fu istigato dall’avversione esasperata del vescovo Cirillo contro la filosofa. I linciatori erano in realtà alcuni cristiani fanatici detti «parabolani», che avevano mutuato il nome dai gladiatori che affrontavano i leoni e disprezzavano la vita. A loro si erano aggiunti dei monaci fuori controllo. Il motivo scatenante fu l’odio di questi contro Oreste, prefetto di Alessandria, sospettato di paganesimo, che proteggeva Ipazia. Al di là del ruolo del focoso vescovo, che aveva probabilmente contribuito con i suoi discorsi a creare l’avversione contro la filosofa, ma venne a sapere del suo massacro a cose fatte – e la storiografia più accreditata non gli attribuisce infatti responsabilità nell’assassinio – è interessante leggere la descrizione del delirio di fanatismo scatenato da una predica di Cirillo: «All’improvviso uno degli astanti gridò con voce rauca e talmente forte che quasi gli si lacerava la gola. “Che il Cielo ti benedica, o papa, benedetto sii tu per le tue parole, nel nome del Dio Vivente!”. E continuò a ripetere la stessa frase finché appresso a lui cominciarono a ripeterla tutti i presenti. Il fanatismo stava per suscitare la follia negli astanti, le loro grida di acclamazione al papa Cirillo facevano vibrare le pareti della chiesa...». Una descrizione che oggi farebbe venire in mente qualche infuocata e oceanica assemblea di fondamentalisti islamici che inneggiano alla loro guida spirituale dopo un invito alla guerra santa, ma che si potrebbe applicare anche alle reazioni tipiche dei presenti ai raduni guidati da qualche telepredicatore evangelico d’Oltreoceano.
Con il suo romanzo Ziedan ci ricorda dunque che la storia del cristianesimo non manca di pagine oscure e sanguinose nella lotta contro il paganesimo, anteriori alla conquista musulmana, e che solo una vulgata a uso identitario occidentale può pretendere di riscriverla presentando sempre e comunque gli islamici come cattivi, fanatici e rapaci conquistatori che sottomettono i cristiani a fior di sciabola, mentre questi ultimi sono sempre e comunque vittime inermi degli altri. Non è un caso che proprio l’arrivo di un manipolo di cavalieri musulmani, un paio di secoli dopo, sarà salutato con sollievo dalle popolazioni di quelle città dell’Africa del Nord che non ne potevano più del dominio di Bisanzio, né delle lotte intestine tra le bande di cristiani fanatici, dato che in quegli anni si contavano quasi trenta gruppi eretici contrapposti uno all’altro. Ma questa è un’altra pagina di storia, della quale il colto romanzo Azazel è soltanto l’antica premessa.
«Il Giornale» del 13 febbraio 2010

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