01 dicembre 2009

Fedi e Stato, il modello elvetico tra libertà e impacci

di Marco Olivetti
Il risultato del referendum che domenica ha intro­dotto nella Costituzione svizzera un divieto di co­struire minareti sul territorio della Confederazione è solo l’ultimo capitolo di una sto­ria – quella della “costituzio­ne religiosa” elvetica – di grande ricchezza e comples­sità. Il quadro istituzionale è uno dei fattori di tale complessità. Da un lato il sistema federa­le, basato sulla compresenza nella Confederazione di Can­toni cattolici e protestanti, e, oggi, sulla competenza fede­rale in materia di libertà di re­ligione accanto a quella dei Cantoni per i rapporti fra i pubblici poteri e le confes­sioni religiose. Ne risulta un assetto nel qua­le, a livello cantonale, modelli diversi di istituzionalizzazio­ne del fenomeno religioso ( spesso con meccanismi di tipo concordatario), piutto­sto simili al diritto ecclesia­stico “pattizio” italiano o te­desco, si affiancano a ten­denze verso un regime sepa­ratista, vicino alla laicità fran­cese, soprattutto nei cantoni francofoni.
D’altro canto, la pratica co­stante della democrazia di­retta, e in particolare del re­ferendum costituzionale, condiziona le soluzioni a­dottate sia a livello federale che a livello cantonale. Con un referendum di iniziativa popolare, è infatti possibile inserire disposizioni norma­tive nella Costituzione anche contro il parere del Parla­mento e del Governo: ed è proprio quanto è avvenuto domenica, con le norme che vietano la costruzione di nuovi minareti. Ma anche questa norma non è una no­vità assoluta, ed è solo l’ulti­ma di una serie di disposi­zioni piuttosto originali in materia religiosa. La storia della disciplina co­stituzionale del fenomeno religioso in Svizzera inizia con il giurisdizionalismo confessionista che caratte­rizzava (per lo più in senso monoconfessionista) i Can­toni dell’antica Confedera­zione, fino al 1798. Quell’an­no, con la Repubblica Elveti­ca, creata a seguito dell’inva­sione napoleonica, fece la sua apparizione la prima norma costituzionale di ga­ranzia della libertà di religio­ne.
Dopo la restaurazione, fu ne­cessario attendere la Costi­tuzione del 1848 – con la qua­le la Svizzera si trasformò da confederazione di cantoni sovrani in Stato federale in cui sono uniti cantoni auto­nomi – per ritrovare una ga­ranzia della libertà religiosa, che era peraltro espressa­mente limitata alle confes­sioni cristiane. Ciò era la ne­cessaria conseguenza della complessità religiosa della popolazione e della preva­lenza dei cattolici e di vari ti­pi di confessioni protestanti (luterani, calvinisti, eccete­ra) nei vari Cantoni. Ma la Costituzione del 1848 era an­che il prodotto di una guer­ra civile fra cantoni cattolici e protestanti, vinta da questi ultimi, per cui in essa venne previsto il divieto ai gesuiti di operare sul territorio svizze­ro. A sua volta, la Costituzione del 1874 da un lato genera­lizzò la libertà religiosa an­che per le confessioni non cristiane, ma dall’altro – in­tervenendo dopo il Kul­turkampf fra la Chiesa di Pio IX e il governo elvetico, cul­minato nel 1873 nell’espul­sione del cardinale Marmil­lod dalla Svizzera per aver i­stituito un vicariato genera­le a Ginevra – conteneva una serie di limitazioni alla li- bertà di organizzazione del­la Chiesa cattolica: oltre al­l’interdizione dei gesuiti, venne prevista anche quella dei conventi (sempre cattoli­ci) e fu aggiunta la necessità dell’autorizzazione della Confederazione per la modi­ficazione del territorio delle diocesi.
Solo negli anni Settanta del Novecento ebbe inizio l’a­brogazione di queste dispo­sizioni (nel 1973 vennero ri­mossi sia lo Jesuitenartikel, sia il Klosterartikel), mentre l’articolo sulle diocesi (Bistu­martikel) è rimasto anche nella recentissima Costitu­zione del 1999, da cui è stato eliminato solo nel 2001. Ma oltre a queste disposizio­ni – frutto dell’ostilità del par­tito liberale svizzero ai catto­lici – ne va ricordata un’altra, che può ben essere ritenuta il precedente diretto della norma anti-minareti. Si trat­ta della disposizione – intro­dotta nel 1893 in Costituzio­ne con un referendum e ri­mastavi per molti decenni – che vietava la macellazione rituale: e in questo caso il bersaglio erano gli ebrei sviz­zeri (una disposizione ana­loga, a dire il vero, era pre­sente sino a qualche anno fa anche nella legislazione te­desca).
Relativamente consolidato, da oltre un secolo, pare inve­ce il nucleo centrale della li­bertà religiosa in Svizzera. Ma i profili esterni di tale libertà, attinenti soprattutto alla sua dimensione istituzionale, so­no non da oggi oggetto di di­battiti ed evoluzioni. Comunque si giudichi il re­ferendum, sarebbe forse be­ne che i critici musulmani di esso adottassero una pro­spettiva sufficientemente ar­ticolata, che tenga conto che nel solo Stato laico del mon­do islamico, la Turchia, la vi­sibilità degli edifici di culto non cristiani è sottoposta a regole molto rigorose, che e­scludono, ad esempio, l’e­sposizione del crocifisso al­l’esterno di tali luoghi.
«Avvenire» del 1 dicembre 2009

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