08 dicembre 2009

Baudelaire e Mauriac: la fede nei fiori del male

«Siamo noi uomini d’oggi, chiosa Mauriac, ad essere estranei alla conoscenza metafisica del male»
di Carlo Carena
«La pietà che Baudelaire suscita in noi è la stessa ch’egli provava per i reprobi, per gli orrori, per i rifiuti umani»
Si è accennato la volta scorsa alla rilettura che Gilson ha fatto di due scrittori beffardi quali Villon e Rabelais e alle tracce che vi ha scoperto di un succo autenticamente cristiano. Tra le pagine delle Memorie interiori di François Mauriac si trova un ancor più emozionante riconquista di Baudelaire ( per Gide, Mauriac vi rinuncia).
Una riconquista che essa pure interessa e attira non solo o non tanto per la cosa in sé, quanto per il come e il perché, per le dimensioni a cui riporta il cristianesimo e per la luce che vi getta.
Baudelaire morì – Mauriac parte di qui – il 31 agosto del 1867, a 46 anni, in clinica, fra atroci dolori. Tra gli amici, il fotografo Nadar un giorno che erano alla finestra della camera ove il poeta era ricoverato, gli chiese: « Ma come puoi credere in Dio? » ; Baudelaire rivolse i pugni al cielo ed esclamò ripetutamente: « Perdio! » .
Credeva o no?
Certo parlava a qualcuno né mai dubitò che Qualcuno l’udisse, come in una delle sue piccole poesie in prosa, Mademoiselle Bistouri, che è una delle preghiere più toccanti che si possano trovare e ripetere: « La vita formicola di mostri innocenti. Signore, Dio mio! voi, il Creatore, voi, il Padrone; voi, che avete fatto la Legge e la Libertà; voi, il sovrano che lasciate fare; voi, il giudice che perdonate; voi, che avete posto nel mio spirito il gusto dell’orrore per convertire il mio cuore: Signore, abbiate pietà, abbiate pietà dei folli e delle folli » .
La pietà che Charles Baudelaire suscita in noi – e qui si arriva al punto – è la stessa ch’egli provava per i reprobi, per gli orrori, per i rifiuti umani, gli infelici e le infelici di cui era circondato. Di fronte a ciò, ogni discussione, ogni controversia evapora, svanisce. Il cristiano non può portare al filosofo nessuna prova di ciò in cui crede e che sa; ma sente, o deve sentire, che « i peccatori gli appartengono allo stesso modo dei santi » , e che la distinzione non si farà se non il giorno il cui suonerà la Tromba.
Le preghiere del poeta dei Fiori del male s’affondano ed escono tutte dal dolore e dalla miseria, propria e degli altri, dalla conoscenza metafisica del male. Il poeta invoca il coraggio e la forza di conoscerlo e resistervi, e ci costringe con la sua parola a toccare con mano le cose quali sono, gli uomini quali sono. Ogni parola di un poeta come questo volteggia di volta in volta nel cielo o si sprofonda negli abissi, né riesce a liberarsi di se stesso. Ma il Creatore non gli fa mancare il lume, ed egli perciò Lo ringrazia al termine di Benedizione: « Siate benedetto, Dio mio, che date la sofferenza Come un rimedio divino alle nostra impurità… / Io so che riservate un posto al Poeta / Nelle file beate delle sante Legioni ».
Siamo noi, chiosa infine Mauriac, noi uomini d’oggi che siamo estranei alla conoscenza metafisica del male e a cui esso ripugna ancor più quando lo vediamo nei suoi « ultimi detentori cristiani » . Un male che non ha scalfito la dignità del poeta, capace di accogliere e vivere come che sia il suo destino; di rispettare e cantare il destino dei mille infelici come lui: la vecchie stralunate che vacillano sui marciapiedi di Parigi, la carcassa disfatta in mezzo a una strada, le Maddalene che non hanno in capo chiome d’oro e vasetti di profumi in mano come nei dipinti quattrocenteschi, ma una laida parrucca che copre la fuga dei loro bei capelli neri dalla nuca bianca e dalla fronte più pelata di quella d’un lebbroso: su cui, pure, piovono ancora baci amorosi. Toccherebbe a noi aprire la porta della gabbia di vetro contro cui sbatte le ali l’albatro, e sentire come lui pietà per i naufraghi sparsi sulla terra.
Ma che: anche nella Lettera a un amico gesuita di Mario Soldati ( 1978) si legge: « … Baudelaire, che era tutto bene, colmo di bellezza e di amore, quasi un santo… ».
«Avvenire» del 6 dicembre 2009

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