12 novembre 2009

Tra i neuroscienziati anche i killer dell’anima

di Andrea Vaccaro
Il libro L’errore di Cartesio del neurobiologo dell’U­niversità dello Iowa Antonio R. Damasio è divenuto una specie di icona delle neu­roscienze. Da una parte per­ché l’anno di pubblicazione, il 1994, è coinciso con il go­mito della curva che ha se­gnato un’imprevista impen­nata della disciplina, tuttora vigente; dall’altro perché il concetto espresso nel titolo ­il ripudio di quel dualismo che Cartesio ha incarnato nella storia della filosofia - è diventato il cielo sotto il qua­le le neuroscienze vivono permanentemente i loro giorni. ( Che per un numero sempre mag­giore di studiosi lo stesso Cartesio fingesse soltanto di credere alla sua teoria è una questione da lasciare qui tra parentesi). Rifiutata catego­ricamente la separazione al­l’interno dell’uomo di res co­gitans e res extensa o, che dir si voglia, di materia e anima, Damasio si impegna seria­mente nell’elaborazione di una visione antropologica u­nitaria, che salvaguardi tut­tavia le principali caratteri­stiche di entrambe le ex­componenti, come testimo­niano anche le sue declama­te simpatie spinoziane.
Larga parte dei colleghi neu­roscienziati o dei neurofilo­sofi, però, invece di esercita­re un simile sforzo, trovano più convincente - e certa­mente meno faticoso - risol­vere il dualismo eliminando, di principio, uno dei due po­li o, un po’ più diplomatica­mente, relegando un polo nel regno dell’essere oggettivo e l’altro nel regno dell’appari­re soggettivo. Pressoché pleonastico esplicitare che l’ambito da eliminare o da ri­durre a mera parvenza sia quello relativo allo spirituale. Voci insigni hanno lanciato da questo versante il loro ver­bo che è rimasto scolpito in diffusi indirizzi di ricerca. In questi orientamenti, l’anima è solo un termine utile da in­serire nel titolo dei libri per aumentare le vendite. Fran­cis Crick, in La scienza e l’a­nima, è stato più che esplici­to: «Voi, le vostre gioie e le vo­stre pene, i vostri ricordi e le vostre ambizioni, il vostro senso dell’identità personale e del libero arbitrio, non sie­te altro che il comportamen­to di un ampio assembra­mento di cellule nervose » . Paul Churchland, in Il moto­re della ragione, la sede dell’a­nima, taccia l’idea di anima di essere « solo un mito, falso non solo marginalmente, ma nel suo nocciolo » . Elkhonon Goldberg specifica schietta­mente nell’introduzione al suo libro L’anima del cervel­lo: «esplorerò quella parte del cervello che fa di un indivi­duo ciò che è e definisce la sua identità: i lobi frontali » .
Dissolvere uno dei due ter­mini è senza dubbio il modo più drastico per far sì che u­na relazione non crei proble­mi, ma ricorda l’agire di quel­lo studente un po’ discolo che, non riuscendo a risolve­re, la sera, una delle equa­zioni di matematica da svol­gere a casa, al mattino deci­se di cancellare di soppiatto il numero di quell’esercizio dal registro dei compiti asse­gnati. Talvolta tali autori so­no definiti i ' killer dell’ani­ma' - qualifica che alcuni di loro ostentano con un certo vanto - , ma in realtà, così fa­cendo, sparano solo a salve contro un bersaglio che nep­pure identificano.
Il superamento del dualismo è probabilmente un passo a­vanti della nostra cultura ­apprezzato, per inciso, anche da numerose tendenze della teologia contemporanea ­, ma una visione unitaria del­l’uomo che comprenda e ri­spetti tutte le sue dimensio­ni è ancora da compiersi. Per fortuna, pure nell’ambito delle neuroscienze, si svilup­pano approcci diversi, che potremo definire scientifici in senso pieno: quelli che, di­nanzi all’incompatibilità tra metodi di ricerca e fenome­ni reali, preferiscono modifi­care i primi piuttosto che ne­gare i secondi.
«Avvenire» del 12 novembre 2009

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