Una riflessione in margine al caso Marrazzo
di Francesco D'Agostino
Come è ben comprensibile, della vicenda Marrazzo si sono date sui giornali tante diverse letture, più o meno plausibili, tra cui preponderanti le letture politiche e di costume; ma sono anche intervenuti, da par loro, i cultori del gossip e non ultimi gli psicologi, che si sono affannati a riflettere sulle ragioni del fascino che possono esercitare su tanti uomini i transessuali (con asserzioni che raramente hanno raggiunto il rango delle spiegazioni). Marginali gli interventi dei giuristi (ci sono o non ci sono risvolti penali nella vicenda?) e quelli dei moralisti.
Sembra che ormai si stia imponendo tra le altre questa linea interpretativa: le vicende private, e in particolare le preferenze sessuali di qualsiasi uomo, ancorché 'pubblico', sarebbero irrilevanti e insindacabili; diventerebbero significative solo quando interferissero con la sua immagine pubblica e soprattutto quando inducessero il soggetto a comportamenti inaccettabili non solo sul piano penale, ma anche su quello, ovviamente meno rilevante, ma pur significativo, della 'correttezza'.
È su questo paradigma che si fonda la prassi delle moderne democrazie liberali e dobbiamo riconoscere che è un paradigma che mediamente 'funziona'. Naturalmente sono molti i casi a cui esso mal si adatta, anche perché la categoria della rilevanza giuridica di un comportamento ha tutto sommato una sua oggettività (malgrado il fatto che spesso alcuni magistrati fanno di tutto, con le loro interpretazioni 'inventive' delle leggi, per indurci a pensare il contrario), mentre la categoria della correttezza è infinitamente più sfumata.
Comunque, sul piano politico, il paradigma liberale (per chiamarlo così) è accettabile, come dimostra il fatto che, almeno in Occidente, appare condiviso e consolidato.
Esso però crea problemi non irrilevanti, per coloro ai quali la politica sta stretta, per coloro cioè che percepiscono prima e oltre la politica la presenza di questioni antropologiche fondamentali, che non è giusto rimuovere. E, in questo caso, le questioni sono nello stesso tempo antiche e modernissime: come deve gestire un uomo le sue pulsioni sessuali? Come deve interpretare pulsioni estreme, come ad esempio quelle che lo spingono a incontri con transessuali? Deve riconciliarsi con esse, banalizzarle, ripetendosi, con Foucault, che in fondo è la stessa natura ad averle poste dentro di lui e che la natura non può sbagliare? Può far proprio lo slogan dell’ultimo film di Woody Allen, whatever works, cioè: possiamo fare tutto, «basta che funzioni»?
Non mi risulta che in nessuno dei commenti sulla vicenda Marrazzo sia stato introdotto, con riferimento al transessualismo e alla sua commercializzazione , il criterio del 'contro natura'. So bene perché: il riferimento alla natura è considerato, dalla cultura oggi dominante, 'religioso' o comunque 'metafisico' e pertanto non utilizzabile in un dibattito pubblico. Se invece facciamo riferimento ai laicisti più virulenti, i toni diventano esasperati: per loro parlare di natura è addirittura sintomo di mentalità arcaica, repressiva, meritevole di essere bandita culturalmente (e per alcuni anche penalmente). Siamo alla presenza della colossale rimozione di un problema antropologico fondamentale. La rimozione è sempre un pessimo segno, perché è indice di profonda disonestà intellettuale.
Bisogna riaprire un discorso lucido e sincero su quelle che un tempo erano chiamate 'psicopatologie sessuali'. Come tutte le altre patologie, anche queste hanno un rilievo non solo medico, ma antropologico e creano intricati problemi non solo epistemologici, ma anche etici.
Una volta riconfermato il principio liberale dell’irrilevanza politica dei comportamenti privati (purché ovviamente non criminosi né dannosi per chicchessia), è indispensabile mostrarne il limite insuperabile: confinare i problemi della sessualità nell’ambito di un privato insindacabile impoverisce la riflessione antropologica e contribuisce alla corrosione dell’identità dell’uomo moderno. Non riusciremo mai a convincere i nostri governanti che uno stile di vita austero è un valore non solo privato, ma anche pubblico, se continueremo ad aver paura di parlare dell’identità sessuale dell’uomo come costituiva della sua 'natura'. E se non insisteremo nel ricordare ciò che ai moralisti 'classici' (almeno fino a Kant) era evidente: accanto ai doveri che abbiamo verso gli altri esistono i doveri che abbiamo verso noi stessi e verso le nostre inclinazioni, ivi comprese quelle sessuali. Non è un discorso arcaico: come mostrano le vicende di questi giorni è attuale, anzi attualissimo.
Sembra che ormai si stia imponendo tra le altre questa linea interpretativa: le vicende private, e in particolare le preferenze sessuali di qualsiasi uomo, ancorché 'pubblico', sarebbero irrilevanti e insindacabili; diventerebbero significative solo quando interferissero con la sua immagine pubblica e soprattutto quando inducessero il soggetto a comportamenti inaccettabili non solo sul piano penale, ma anche su quello, ovviamente meno rilevante, ma pur significativo, della 'correttezza'.
È su questo paradigma che si fonda la prassi delle moderne democrazie liberali e dobbiamo riconoscere che è un paradigma che mediamente 'funziona'. Naturalmente sono molti i casi a cui esso mal si adatta, anche perché la categoria della rilevanza giuridica di un comportamento ha tutto sommato una sua oggettività (malgrado il fatto che spesso alcuni magistrati fanno di tutto, con le loro interpretazioni 'inventive' delle leggi, per indurci a pensare il contrario), mentre la categoria della correttezza è infinitamente più sfumata.
Comunque, sul piano politico, il paradigma liberale (per chiamarlo così) è accettabile, come dimostra il fatto che, almeno in Occidente, appare condiviso e consolidato.
Esso però crea problemi non irrilevanti, per coloro ai quali la politica sta stretta, per coloro cioè che percepiscono prima e oltre la politica la presenza di questioni antropologiche fondamentali, che non è giusto rimuovere. E, in questo caso, le questioni sono nello stesso tempo antiche e modernissime: come deve gestire un uomo le sue pulsioni sessuali? Come deve interpretare pulsioni estreme, come ad esempio quelle che lo spingono a incontri con transessuali? Deve riconciliarsi con esse, banalizzarle, ripetendosi, con Foucault, che in fondo è la stessa natura ad averle poste dentro di lui e che la natura non può sbagliare? Può far proprio lo slogan dell’ultimo film di Woody Allen, whatever works, cioè: possiamo fare tutto, «basta che funzioni»?
Non mi risulta che in nessuno dei commenti sulla vicenda Marrazzo sia stato introdotto, con riferimento al transessualismo e alla sua commercializzazione , il criterio del 'contro natura'. So bene perché: il riferimento alla natura è considerato, dalla cultura oggi dominante, 'religioso' o comunque 'metafisico' e pertanto non utilizzabile in un dibattito pubblico. Se invece facciamo riferimento ai laicisti più virulenti, i toni diventano esasperati: per loro parlare di natura è addirittura sintomo di mentalità arcaica, repressiva, meritevole di essere bandita culturalmente (e per alcuni anche penalmente). Siamo alla presenza della colossale rimozione di un problema antropologico fondamentale. La rimozione è sempre un pessimo segno, perché è indice di profonda disonestà intellettuale.
Bisogna riaprire un discorso lucido e sincero su quelle che un tempo erano chiamate 'psicopatologie sessuali'. Come tutte le altre patologie, anche queste hanno un rilievo non solo medico, ma antropologico e creano intricati problemi non solo epistemologici, ma anche etici.
Una volta riconfermato il principio liberale dell’irrilevanza politica dei comportamenti privati (purché ovviamente non criminosi né dannosi per chicchessia), è indispensabile mostrarne il limite insuperabile: confinare i problemi della sessualità nell’ambito di un privato insindacabile impoverisce la riflessione antropologica e contribuisce alla corrosione dell’identità dell’uomo moderno. Non riusciremo mai a convincere i nostri governanti che uno stile di vita austero è un valore non solo privato, ma anche pubblico, se continueremo ad aver paura di parlare dell’identità sessuale dell’uomo come costituiva della sua 'natura'. E se non insisteremo nel ricordare ciò che ai moralisti 'classici' (almeno fino a Kant) era evidente: accanto ai doveri che abbiamo verso gli altri esistono i doveri che abbiamo verso noi stessi e verso le nostre inclinazioni, ivi comprese quelle sessuali. Non è un discorso arcaico: come mostrano le vicende di questi giorni è attuale, anzi attualissimo.
«Avvenire» del 1 novembre 2009
Concordo pienamente.
RispondiEliminaGrazie Francesco per questo utilissimo blog.