30 settembre 2009

Dietro la grande vetrina cinese una società che preme per i suoi diritti

Il sessantesimo anniversario della repubblica Popolare
di Bernardo Cervellera
Domani la Repubblica popolare compie 60 anni. Le feste preparate in Cina saranno ancora più solenni di quelle dei Giochi olimpici, un osanna allo splendore raggiunto dal Paese sotto la guida del Partito comunista (Pcc). La cerimonia in piazza Tiananmen prevede un discorso del presidente Hu Jintao e una mastodontica parata militare, con armamenti e tecnologie missilistiche 'nazionali'. Ma la popolazione di Pechino non potrà prendervi parte. «Per questioni di sicurezza» gli abitanti devono restare in casa, non devono invitare amici, non devono neppure affacciarsi ai balconi durante la parata. Sempre per motivi di «sicurezza», è vietato fare volare piccioni addomesticati e aquiloni. Almeno 800mila 'spie' sono sguinzagliate nella capitale per vigilare su tutto: il giorno di festa si tramuta in uno stato di assedio, in cui il Pcc si difende dai suoi concittadini. I membri anziani del Partito sono delusi: il Pcc non è più amato come un tempo; in 60 anni si è trasformato da avanguardia sociale a oppressore; è divenuto un’oligarchia che usa l’economia per mantenere il dominio politico e usa quest’ultimo per accrescere i suoi benefici materiali. Certo, sono evidenti i grandi successi: una crescita del Pil a due cifre per decenni; città divenute metropoli avanzatissime; commercio globale. Ma sono evidenti pure i grandi fallimenti: una società in cui lo Stato controlla oltre il 70% dell’economia, frenando la creatività e garantendo promozioni e favori senza alcun merito; diffusa corruzione, che arriva a sottrarre allo Stato fino al 3% del Prodotto interno lordo; mancanza di sostegno sociale a poveri, pensionati, disoccupati; strutture sanitarie ed educative allo sfacelo; genitori che mettono in vendita i loro organi per pagare l’università ai figli; inquinamento, soprusi, sequestri di terre e di case da parte di membri del Partito. La svolta è avvenuta con Deng Xiaoping, che ha voluto le riforme economiche del Paese, le 4 modernizzazioni (esercito, scienza, agricoltura, industria), bloccando le riforme politiche e soprattutto 'la quinta modernizzazione': la democrazia.
Nel bene e nel male, la Cina di oggi è frutto di questo handicap: uno status invidiabile dal punto di vista economico; una condizione da paria sui diritti umani. Ancora dopo 30 anni dalle riforme di Deng, il Paese non gode di libertà di stampa, di associazione, di parola, di religione; i poteri esecutivo, giudiziario, legislativo sono tutti sotto il controllo del Pcc.
Hu Jintao continua sulla stessa linea, esaltando la «sicurezza» e frenando i tentativi di introdurre la «corrotta democrazia occidentale». Eppure, il popolo non si rassegna. Lo scorso anno vi sono stati oltre 100mila 'incidenti di massa', ossia proteste di centinaia o migliaia di persone che chiedono giustizia per soprusi, per salari non pagati, per l’inquinamento o sequestri di terreni. Tali 'incidenti' hanno portato a incendi di sedi del Partito e della polizia, a scontri a fuoco, arresti e vittime. Per salvare la sua supremazia, il Pcc continua a imprigionare e a far morire la gente del popolo, proprio quel 'popolo' cui appartiene la 'Repubblica popolare cinese' fondata 60 anni fa. E 'fra il popolo' è nata in questi decenni una società civile sempre più attenta ai propri diritti: attivisti, giornalisti, avvocati, consumatori, madri, impiegati denunciano le malefatte dei quadri del Partito; si appellano per la salute dei loro figli avvelenati (come nel caso del latte alla melamina); difendono le loro prerogative sulla proprietà; affermano il diritto alla libertà religiosa; esigono di votare per esprimere la proprie preferenze a favore dell’uno o dell’altro leader. Molti di loro vengono messi in prigione, ma solo ascoltando questo popolo la Cina potrà avere un futuro stabile. Alla crescita della società civile hanno contribuito anche molte vittime della persecuzione religiosa. Fin dai tempi di Mao, personalità cristiane che lavoravano per il popolo – e che all’inizio avevano perfino guardato con simpatia l’arrivo dei comunisti – si sono trovate a resistere alla 'divinizzazione' del potere, salvaguardando la libertà di coscienza.
Grazie a cristiani cattolici e protestanti sta crescendo una coscienza sociale che pone al centro la persona con i suoi diritti inalienabili e non lo Stato (o la supremazia del Partito).
Personalità come Gao Zhisheng, Liu Xiaobo, Han Dongfang, Hu Jia hanno scoperto la fede cristiana come la base del valore assoluto della persona, come la forza della loro dissidenza e della difesa dei diritti umani.
«Avvenire» del 30 settembre 2009

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