Confessioni sul sesso liberamente estorte ad adolescenti sparsi di vario ceto, età, ambiente e provenienza (nell’estate in cui si discute di distributori a scuola e circolari Asl)
di Marianna Rizzini
Senti, funziona così: noi i preservativi non li usiamo, non vogliamo usarli e nessuna ragazza ti chiede di usarli. Quindi a me fa ridere mio padre che dice ‘devi usare il preservativo quando vai con le ragazze’ e mi mette di nascosto la scatola di preservativi nel sacchetto del bagnoschiuma quando parto per la gita scolastica, come l’anno scorso”. Tommaso ha quindici anni e da un po’ sta parlando dell’argomento “io e il sesso” con un giornalista. Racconta della prima volta, della seconda volta, di altre volte, del modello di riferimento tradito dalla realtà (i film porno visti a casa del cugino). Il giornalista sta facendo un’inchiesta sugli adolescenti e il sesso intervistando ragazzi e ragazze di varie età, ambienti e quartieri (presi a caso in strade, bar, muretti, negozi a Roma, Napoli e Milano oppure pescati a caso, dal vivo e al telefono, tra fratellini, cugini piccoli, figli, nipoti, alunni di amici, conoscenti, parenti e colleghi). Il giornalista non riesce a capire perché Tommaso parli del sesso con gran distacco scientifico. Come si parla del tempo in televisione: c’è questa perturbazione, la perturbazione se ne va. E’ come se raccontare il sé quindicenne e il sesso facesse parte di un resoconto delle attività della giornata: compro un disco, sto con quella. Il preservativo Tommaso non lo usa, ma è come se ne avesse uno mentale che ricopre qualsiasi traccia di moto profondo. Non si capisce se sotto c’è eccitazione, trasporto, amore, tenerezza, euforia, curiosità, paura, angoscia, repulsione. Non si capisce dov’è, e se c’è, quel grumo indistinto di ansia, emozione, ingenuità, perentorio senso del possesso, confessato o inconfessato bisogno di fusione che tormenta l’adolescente nel ricordo di chi è stato adolescente.
Tommaso non sa nulla di ciò che accadrà a Roma e a Milano. C’è infatti un futuro modello Roma: da settembre distributori automatici di preservativi nelle scuole superiori, su mozione della provincia. E c’è un futuro (e opposto) modello Milano: da settembre stop all’educazione sessuale impartita dagli operatori Asl ai ragazzi minori di sedici anni.
E’ una circolare della stessa Asl a stabilirlo, dopo mesi di dibattito attorno a un articolo del settimanale Tempi, area Cl, in cui si raccontava lo sconcerto di molti genitori e professori rispetto al linguaggio e ai modi delle lezioni di educazione sessuale firmate dall’azienda sanitaria locale, considerate troppo precoci e troppo esplicite. La tesi dell’articolo, si legge su Tempi, era che le lezioni Asl di “educazione all’affettività insegnano tutto tranne che l’affettività”. Poi ci sono loro. I destinatari delle lezioni sul sesso (da una parte) e delle preoccupazioni sul sesso (dall’altra).
Quando Alessandro, amico di Tommaso, anche lui quindicenne, interrompe la conversazione per dire “noi non usiamo i preservativi ma dovremmo farlo, cazzo se dovremmo farlo, e se poi una resta incinta?”, Tommaso sbotta: “Devi essere un demente se lei rimane incinta, che non sai controllarti?”. Tommaso dice che per lui “è come quel film dove corrono sul tetto del treno: fai una cosa che ti diverte, che ti fa sentire bene, sei lì che ti baci con quella che ti piace e lei ti guarda e capisci che ci sta, cominci a toccarla e lo sai che se vai avanti senza preservativo è pericoloso perché lei può restare incinta, ma pure questo fa parte del sesso, e mio cugino me l’ha detto: a controllarsi si impara”. Alessandro dice che Tommaso “è incosciente e se ne frega pure dell’Aids” e che “tanta gente non sa delle malattie”. Con le ragazze, però, non usa niente. Dice che “le malattie non si prendono qui in Italia, ma all’estero. E dipende se la ragazza è stata con altri o no”. E’ normale, piatto, punto. Nel mondo di Tommaso e Alessandro sembra tutto bidimensionale: io ragazzo, tu ragazza, mi piaci, stiamo insieme, forse ci rivedremo, se resti incinta è uno scherzo del destino, per ora ciao. Impossibile chiedere: Tommaso, ma non ti viene mai voglia di pensare, per te e per la ragazza che sta con te, qualcosa al di là del brivido da treno in corsa? Impossibile perché Tommaso parla, e molto, ma resta sul piano robotico. L’interlocutore lì per lì pensa che sia un caso, il caso di Tommaso, e passa oltre.
Oltre ci sono persone di tredici, quattordici, quindici, sedici, diciassette anni. A diciotto-diciannove “sei fuori e capisci tutto”. Carlo, uno che è fuori e ha capito tutto, dice che “solo dopo qualche anno che fai sesso puoi dire che fai sesso davvero, prima lo fai con l’ansia di essere giudicato: le ragazze parlano tra loro, vanno sui forum di Internet e sanno che esiste questo e quello, cioè sanno che noi abbiamo la fissa del sesso orale. Che poi abbiamo la fissa, all’inizio, perché gli amici che l’hanno provato dicono che è il massimo ma uno che ne sa”. Uno non lo sa, dice Carlo, “lo immagina ma poi prova ed è vero”. Le ragazze che conosce Carlo a tredici anni sono “preparate”: “Sanno che il ragazzo chiederà quello. Molte fanno le gradasse, vanno in giro con il perizoma in vista e si aspettano uno che ci sappia fare. Pure tu pensi ‘lei ci sa fare’, anche se vedi che è piccola. E ti viene quell’ansia tremenda e pensi: chissà che vuole fare questa. Ti angosci e magari non ci esci nemmeno, con quella che ti piace: meglio stare a casa che ciccare”. Ciccare, cioè non farcela. Carlo ha avuto molta paura di ciccare: “Poi mi sono detto cicco la prima, cicco la seconda, cicco la terza, alla fine ce la farò. E ce la fai”. Dopo sono venute altre ragazze con cui non ha ciccato. Ora è “innamorato”, dice. Innamorato vuol dire: “Se incontro un’altra che mi piace ci vado, però la mia ragazza è la mia ragazza”. Viene voglia di intervistare la ragazza, ma purtroppo non c’è. Matteo, amico di Carlo, la prima volta, due anni fa, l’ha fatto “per provare. Non c’erano i miei e mi sono detto: ora o mai più. Poi capisci com’è e allora dici: ma perché devo farlo con una sola se posso averle tutte?”. Non è che tutti stanno con tutti, è che se capita va bene, va così. Che cosa succeda nella testa dei tutti che stanno con tutte è un mistero che per il momento Tommaso, Alessandro e Matteo non hanno voglia di indagare. Normale, piatto.
E uno può anche chiedere: ma queste tutte e questi tutti non sono gelosi, non si sentono traditi, non soffrono, non sperano, non hanno pensato qualcosa che si avvicinasse a un sogno se non di amore almeno di vicinanza? E però la risposta non arriva, o arriva sotto forma di “se ti va bene così è così, sennò niente”. Sotto il sesso dei tutti con tutte c’è un sentimento non pervenuto.
Era il 14 settembre 1977 e sul giornale “La città futura” si scrivevano frasi che oggi scrivono tutti: “Gli adolescenti vivono in un clima di liberalizzazione mai vissuto dai coetanei nella storia moderna. Hanno uno sviluppo sessuale precoce, più della metà dei ragazzi di quindici anni ha esperienze sessuali complete. Usano con disinvoltura la pillola e gli altri metodi contraccettivi… i quindicenni sono perfettamente consci del loro sviluppo sessuale, anche perché gli adulti hanno loro concesso, almeno in gran parte, il diritto al sesso”. L’unica cosa che tradisce l’età dell’articolo è la frase “usano con disinvoltura i metodi contraccettivi”. I genitori di chi ha quindici anni oggi avevano più o meno quindici anni allora, e magari hanno detto al figlio e alla figlia di usare pillola e preservativo. Solo che poi molti figli, dopo aver preso l’informazione, e dopo averla condivisa in teoria, nella pratica hanno fatto una pernacchia, pensando “meglio senza”.
“Mamma mi ha spiegato tutto”, dice Giovanna, quattordici anni e mezzo. “Mamma dice che aveva delle amiche femministe e si vedevano per parlare di sesso tutte assieme e io so che la contraccezione è importante”. Quando ha fatto l’amore per la prima volta, pochi mesi fa, Giovanna non ha usato nulla. Oggi dice “forse ho rischiato e mi sono sentita in colpa verso mamma, ma come facevo a dire a lui ‘metti il preservativo, per favore’. Era un bel momento, non mi andava di rovinarlo”. Giovanna ha avuto un primo ragazzo “al mare, a dodici anni, ma ci siamo dati solo un bacio. Tra la prima e la seconda media cambia tutto, ti senti che piaci ai ragazzi, allora cominci a guardarli quando si sta in spiaggia ai tavolini o sotto l’ombrellone più lontano dai genitori, e cammi con la testa alta e pure i ragazzi ti guardano.
La mia migliore amica aveva già baciato uno e io mi sentivo inferiore. Forse ero stupida perché quello del bacio non mi piaceva e allora gliel’ho detto: senti, per me finisce qui”. Giovanna dice di non capire se il sesso le piace o se le piace perché sta bene con il suo ragazzo, che però non è proprio il suo ragazzo: “Ci vediamo e non sempre stiamo insieme”. Dalla prima volta a una festa di Carnevale nella casa di un’amica – “c’erano delle stanze libere, lo sapevo che sarebbe successo” – Giovanna e il ragazzo sono stati insieme altre volte, “più o meno una o due volte al mese, non tante, perché io ho paura che torni mia madre a casa quando ci vediamo, anche se mia madre è una tranquilla”. In sé il sesso le sembra “un po’ faticoso, ma anche una cosa naturale. Non sono imbarazzata per niente a spogliarmi davanti a un ragazzo. Mi piace la passione, e la passione c’è solo con il sesso”. Giovanna dice che è “innamorata”: “Appena lui mi vede facciamo l’amore”. Dice che il suo ragazzo “è uno che va con altre, mi sa”, ma “se quando facciamo l’amore stiamo bene non importa”. Non è una coppia aperta in senso Sartre-De Beauvoir, in cui il dirsi tutto era collante (e tormento). Se lui va con altre Giovanna non vuole saperlo, se lei va con altri lui vorrebbe saperlo ma non è geloso, dice lei, che però non è mai andata con altri. “Mi piace il fatto che abbiamo dei segreti, la passione dura di più”, dice Giovanna, “ma dopo che facciamo l’amore mi viene un po’ di gelosia”. Quando le viene un po’ di gelosia Giovanna non fa niente: “Passa”. L’interlocutore si chiede quale sarà l’effetto di non avere (e non poter avere), a quattordici anni, l’ideale quattordicenne di uno che ami solo te, il sogno o l’illusione di un “noi” in qualche modo esclusivo e pieno di promesse. Chissà se Giovanna sarà più indipendente dagli uomini, non vedendoli come principi azzurri, come sperava sua madre negli anni Settanta, o più dipendente, come sembra ora. Non sembra infatti indipendenza o felicità il suo non arrabbiarsi, a quattordici anni, col ragazzo “che va con le altre”. O forse, dopo anni di assuefazione al “tutti con tutte”, sarà più vulnerabile a chiunque le prometta un qualsiasi “solo noi”. Giovanna, a quattordici anni, dice “mi piace la passione” ma non prova o soffoca quello che la prima passione portava ai quattordicenni (più tardivi) di vent’anni fa: desiderio di un mondo a due e di un “per sempre” – almeno fino alla prima disperante rottura. Giovanna non fa e non riceve promesse, e qualcosa di robotico riappare (sotto forma di non-angoscia?).
Nel 1988 Isabella, oggi più che trentenne, aveva l’età di Giovanna. A quattordici anni e mezzo aveva dato il primo bacio a un ragazzo di nome Luca, bagnino quindicenne. Lui puliva le barche del porto, un amico di entrambi aveva una barca ormeggiata dove i coetanei del gruppo passavano meravigliosi pomeriggi di noia. Una sera di festa, dopo due mesi di corteggiamento, lui l’ha baciata. Isabella oggi si chiede se le ragazze di quattordici anni che a quattordici anni hanno già fatto l’amore con due o più ragazzi abbiano avuto, prima di fare l’amore, infinite estati di fine-infanzia a undici, dodici e tredici anni. Estati di canzoni-tormentone, pile di libri di Agatha Christie, bugie dette al nonno che metteva orari troppo rigidi, comunella con l’amica per guardare da lontano, ridacchiando, il bello della sala giochi. Estati che facevano dimenticare gli altrettanto infiniti inverni di invaghimento per i Duran Duran. Isabella si chiede se le quattordicenni di oggi abbiano avuto quei bellissimi tempi morti, tempo per loro e basta, tempo per essere ragazzine informi, adoranti e non già esseri sessuati. Tempo per sviluppare una personalità a monte del primo amore, della prima passione, della prima volta.
Tommaso, il quindicenne che rideva del padre che forniva i preservativi per la gita, dice che il sesso “non è sta cosa da delirio come nei film porno che ho visto alle feste a casa di Giulio, mio cugino: le ragazze dei film porno si muovono un sacco, chiudono gli occhi, si piegano in avanti, fanno vedere che si stanno divertendo con te e che le fai impazzire e fanno tutto quello che vuoi. Dici girati e si girano. La ragazza con cui sono stato io la prima volta stava immobile, pareva terrorizzata, le ho detto girati e lei si è offesa. Diteglielo a quelli dei film porno: non è così che si fa sesso”. Tommaso dice “fare sesso” e non “fare l’amore”: “Non c’è differenza: l’amore viene con il sesso, perché poi ci si conosce meglio”. Dice invece “scopare” quando racconta “della ragazza del mio amico, una che scopa da dio. Lei gli dice ‘ho voglia di stare con te’ e poi fa tutto lei. A me invece è capitata un’imbranata assurda che sembrava una che ci sapeva fare. Io le ho detto: che si fa? Nel nostro giro quando dici a una ‘che si fa’ lei è libera di dirti: no, non è cosa. Poi tu sei libero di rivederla o no. Lei magari ci ripensa, dopo, o fa la superiore apposta. Quella con cui sono stato io quella volta ha detto sì. A me piaceva. Poi però si vergognava, non potevo neanche guardarla mentre si spogliava.
E io non sapevo che cosa fare anche se mio cugino mi aveva parlato di quello che si chiama ‘know how’: rilassati sennò crolla tutto, mi ha detto, non andare troppo in fissa sennò finisci subito. E allora mi sono incazzato”.
A Rebecca non è mai capitato uno come Tommaso, anche se ha conosciuto tanti ragazzi del genere che lei chiama “ciao, sono Luca, tirati giù le mutande”. Rebecca vuole “una storia seria”, però dice che le è capitato “un ragazzo esagerato nell’altro senso”. L’ex ragazzo di Rebecca all’inizio sembrava “speciale, preciso, uno carino che mi portava a mangiare la pizza e mi scriveva frasi sul pontile di Ostia. Ci siamo innamorati”. Rapporti fisici “nulla, al massimo qualcosa in più di un bacio, e mi pareva strano”. Un giorno lui l’ha chiamata e le ha detto “sono cristiano evangelico”. Le ha spiegato che non potevano più stare insieme perché lui doveva stare con la donna che avrebbe sposato, e solo con quella avrebbe potuto avere rapporti. Questa donna non poteva essere Rebecca perché, dice lei, “i pastori evangelici e la madre di lui non volevano”. Poi un’amica comune ha detto a Rebecca che “lui ha una specie di doppia vita e gli piacciono anche altre ragazze: fa una cosa davanti ai pastori, ma fuori fa quello che gli pare”. La comunità ha fatto un’inchiesta sul fidanzamento precoce del suo ex “perché le persone non devono stare insieme solo per attrazione fisica”. Rebecca dice che “avrebbe aspettato” e che, pur essendo “un po’ giovane” per sposarsi, avrebbe detto sì, “se per lui era importante sposarsi”. Lui però l’ha lasciata e Rebecca piange, sdraiata sul letto da giorni. Si arrabbia, si dispera, telefona alle amiche, fa insomma tutte le cose non robotiche che si fanno quando, da giovani e da vecchi, si viene lasciati – che si sia fatto o no l’amore con il lasciante.
A settembre nelle scuole superiori romane, su mozione della provincia, potranno essere installati distributori di preservativi. Da settembre, per circolare della Asl, nelle scuole di Milano non potranno più essere impartite lezioni di educazione sessuale firmate Asl a minori di sedici anni, in seguito alle polemiche nate attorno al linguaggio delle lezioni stesse, che alcuni genitori e professori giudicavano troppo crudo. Sesso, contraccezione, sesso precoce, sesso promiscuo e non promiscuo, amore, matrimonio, maternità, aborto, malattie sessualmente trasmesse: come vivono il sesso e che cosa pensano di tutto questo gli adolescenti? Marianna Rizzini è andata a intervistarne un po’ di varie età, ambienti e provenienza, pescati a caso nelle strade, nei negozi e nei bar di Roma, Milano e Napoli o tra figli, fratelli e alunni di amici, conoscenti e colleghi.
"Il Foglio" del 13 luglio 2009