27 febbraio 2008

Sinistra pentita. Torniamo al latino

È stata giusta l’abolizione nella scuola media e nella liturgia? A destra si parlò di "delitto cattocomunista" . La rivista "MicroMega" riapre la discussione
Di Paolo Di Stefano
Carlo Bo: "Un declino che non va addebitato alla politica". Cesare Segre: "Tutti uguali ma sul piano dell’ignoranza". Edoardo Sanguineti: "Chi prega deve sapere cosa dice"
Chi ha ucciso il latino? Semplice, il delitto e’stato consumato da un complotto cattocomunista. Cosi’, almeno, la pensavano un tempo i difensori della lingua di Cicerone. Si’, perche’a ben guardare, a far fuori il latino sono stati innanzitutto i riformatori di sinistra che sin dal dopoguerra hanno fatto dell’abolizione del latino nelle scuole medie un vero e proprio simbolo ideologico, quasi che rinunciando al latino si desse una picconata alla scuola di classe. Battaglia vinta, in nome della popolarita’se non del populismo. E proprio mentre il parlamento italiano rinnovava (si fa per dire) la scuola media, la Chiesa cattolica celebrava il secondo Concilio vaticano da cui emergeva l’esigenza "pastorale" di aprire la liturgia ad altre lingue. A ricordarci ora quella doppia spinta ai danni della lingua latina e’Giancarlo Rossi, architetto per professione, ma soprattutto ("per intervalla insaniae", come dice lui stesso) convinto assertore dell’utilita’di conoscere la cultura antica e redattore della rivista "Latinitas" oltre che frequentatore assiduo del circolo milanese "Sodalitas latina". Ed e’curioso che sia proprio un periodico di sinistra a farsi portavoce di questa appassionata difesa della lingua degli avi: l’articolo di Rossi, che si presenta come una appassionata e "argomentata difesa dell’importanza e dell’attualita’della lingua che ha formato la nostra civilta", apparira’sul prossimo numero di "MicroMega". Il latino, secondo Rossi, e’stato un palese "segno di contraddizione" nella nostra societa’. Innanzitutto per la scuola: per un quindicennio, nel dopoguerra, convegni, disegni di legge, consulte didattiche, inchieste ministeriali affrontarono la questione del latino, finche’prevalse la "tesi abolizionista" grazie alla forza retorica dei riformatori, che con "un’enfasi sconfinante nel fanatismo" ebbero buon gioco ricordando soprattutto i trascorsi fascisti della lingua imperiale. Ai difensori non restava che esprimere tutto il loro "disorientamento" di fronte a quei "pedagoghi cattolici ispirati al pragmatismo americano e ad un attardato russovismo e accademici di sinistra". I quali "fondavano la loro opzione su un voluto equivoco semantico: confondevano infatti insegnamento del latino con insegnamento grammaticale del latino". Fu, come sottolinea Rossi, un "successo solo politico e di facciata". Ma stanno proprio cosi’le cose? E, in caso contrario, di chi è la vera responsabilità della scomparsa del latino? Infine, non sara’a sua volta un eccesso di enfasi, quello di Rossi? Risponde Cesare Segre, secondo il quale l’"apologia" di Rossi e’ampiamente condivisibile: "A parte il fatto che il latino e’una lingua bellissima, bisogna ricordarsi che tutto sommato noi parliamo ancora latino, un latino rinnovato, certo, ma pur sempre latino. Il latino è il connettivo tra le lingue romanze ed e’quindi utilissimo per la comprensione. Non a caso ci fu chi propose di usarlo come lingua universale al posto dell’esperanto". Invece, ormai, il futuro e’tutto dalla parte dell’inglese: "Sarà l’inglese la nostra seconda lingua: è una soluzione indubbiamente più pratica. Però, non dimentichiamo che il latino rimane una lingua di cultura indispensabile. Entrando in una Chiesa, in qualunue parte del mondo, il latino era una lingua che ti faceva sentire a casa: ora, con i riti regionalizzati o provincializzati, manca un rito universale, al massimo si puo’seguire la messa attraverso i gesti del celebrante. La Chiesa e’corresponsabile del declino del latino: abolendolo dalla liturgia, ha cancellato quella nobilta’del rito che era percepibile anche da un laico. Le preghiere in italiano, poi, sono a dir poco orribili". Quanto agli schieramenti politici che si sono formati attorno alla questione del latino nelle scuole, Segre taglia corto: "Semplicemente la sinistra considerava il latino la lingua dell’aristocrazia, convinta che svigorire il latino era un modo per rendere tutti uguali. Certo, abolendo il latino tutti diventavano uguali, ma sul piano dell’ignoranza". E’ anche vero, come ricorda Edoardo Sanguineti, che ha pesato sul latino il rilancio fascista: "Penso che ci fu, in eta’fascista, un culto molto artificioso fondato sull’idea di romanita’e sulla retorica del ritorno all’impero. Da li’sono derivate tutte le fanfaluche di chi riteneva indispensabile la conoscenza del latino per il nostro modo di pensare e per la nostra struttura logica: era questa l’impostazione su cui si reggeva la cultura dei figli della Lupa. Un’iperbole. Ma prescindendo dalle questioni politiche, il fatto che il latino sia stato abbandonato dalla Chiesa gli ha inferto un altro colpo mortale poiche’attraverso la liturgia manteneva ancora una sua vitalità d’uso nella società. Certo, per i credenti si trattava di una lingua magica che non comunicava niente". Anche il laicissimo Sanguineti era contrario all’abolizione del latino nella liturgia? "Per carità, ho persino partecipato, giovanissimo, alla traduzione dei Salmi. Mi pareva un lavoro utile, e ancora oggi ritengo indispensabile che chi prega sappia esattamente che cosa dice, pregando. Da laico, penso che depurare la liturgia dal trattamento magico - cabbalistico dovuto al latino sia una buona idea". E a scuola? E’giusto restaurare l’insegnamento del latino? Non proprio, secondo Sanguineti. La questione e’come insegnarlo. Per cui le osservazioni di Rossi non sembrano piacere molto al poeta della neoavanguardia: "Intanto è assurdo trattare il latino come se fosse una lingua viva. E poi, non esageriamo: e’utile per certe direzioni di studio, non per altre. Inoltre, va mantenuto come insegnamento purche’si adottino forme meno approfondite e più sobrie rispetto al passato. Serve soprattutto come rete di informazioni fondamentali e come esperienza di lettura. Alleggerirei di molto lo studio della grammatica: le perifrastiche le lascerei agli studiosi. Insegnate agli studenti, secondo me sarebbero perseguibili come atti osceni in luogo pubblico. E poi, la traduzione dall’italiano al latino va bandita: per chi si interessa di crittogrammi c’è già la Settimana enigmistica...". No, non ci siamo proprio. Per Rossi la versione italiano - latino va difesa con i denti: "La competenza attiva - scrive -, cioè l’addestramento ad usare la lingua, e’la via più breve per conseguire una buona comprensione dei testi, come ben sa la generazione di chi a scuola traduceva dall’italiano in latino". Macche’. Per Sanguineti, le lacune sono altre. Culturali. Per esempio: "Di solito si insegna solo il latino classico e amen. E’ grave che mille anni di latinita’, quella medievale, spariscano nel nulla: invece, sarebbe importante dare l’idea del nostro collegamento con l’antichita’indagando anche il Medioevo latino. Solo cosi’si puo’comprendere il senso di una tradizione che attraverso fratture terribili e difficili ricuciture arriva fino a noi. Studiando solo il latino di Cicerone non si capisce una sola pagina della Bibbia!". E c’è un’altra proposta lanciata da Rossi come una boutade che non va tanto a genio a Sanguineti: l’inno europeo in lingua latina. Perche’? "Perche’sarebbe inutile suscitare il rancore dei Goti o dei Visigoti. Europa non è in sé latinità". Nessuna responsabilita’politica, per Carlo Bo, nel delitto consumato contro il latino. E per quanto riguarda la Chiesa? "Mi sembra giusto che abbia tentato di rendere intellegibile e più diretta la parola di Dio ai fedeli". E il latino lingua d’uso rivendicato da Rossi? "Non sono d’accordo, il latino, pur essendo una lingua formativa per la nostra civilta’, restera’sempre una lingua d’elite".
«Corriere della sera» del 22 novembre 1996

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