17 luglio 2007

Siamo un popolo di sudditi e non di cittadini: così la Casta sopravviverà

Non riusciamo a tradurre le reazioni a sprechi e privilegi né in azione né in pensiero politico
di Piero Ostellino
Dalle reazioni di molti lettori al mio «Dubbio» di sabato («La rivolta fiscale il solo modo per battere "la Casta"») viene fuori un deprimente spaccato di chi siamo. Antropologicamente, siamo un popolo di sudditi, non di cittadini. Non siamo neppure capaci di tradurre le nostre reazioni agli sprechi, alle inefficienze, ai privilegi, non dico in azione, ma neppure in pensiero politico. Chiacchieroni di uno scompartimento ferroviario, esauriamo la nostra protesta nella retorica populista e nell’anti-politica qualunquista. «Ha letto "La Casta"? Ha visto quanto guadagna un sindaco? Se penso a mio figlio che fa l’impiegato all’Enel e non ce la fa ad arrivare a fine mese... Lo sa che il Quirinale costa quattro volte Buckingham Palace?». Ma, poi, nessuno sembra capire che - quale che sia il governo in carica - la fonte degli sprechi, delle inefficienze, dei privilegi è lo Stato interventista e invasivo; sono la burocrazia pletorica e costosa; il parassitismo diffuso e protetto. Nessuno sembra capire che, ai vertici dello «Stato predatore», un’oligarchia vorace e irresponsabile (la Casta) rastrella più ricchezza che può dalla popolazione per redistribuirla a se stessa e ai propri clienti. Prevale la «mistica» dello Stato etico, padre-padrone, ieri incarnato dal Duce, oggi dalla propria parte politica al governo: alla domanda se vogliamo burro o cannoni rispondiamo ancora una volta cannoni. L’espressione «rivolta fiscale» - che ho evocato non come auspicio, né come incitamento ma, ipoteticamente, come il solo modo per cambiare una situazione che la Casta non ha alcun interesse a cambiare spontaneamente - ha spento in questi miei lettori ogni barlume di protesta. Eppure, gli Stati Uniti sono nati da una rivolta fiscale; i parlamenti delle moderne democrazie sono sorti per controllare le spese del sovrano; tutti gli Stati nazionali europei sono figli, a loro modo, di rivolte. Due rivoluzioni, qualche testa tagliata di re e regine, lo scisma della chiesa anglicana hanno fatto l’Inghilterra moderna; che recentemente ha attraversato altre due rivoluzioni, questa volta pacifiche, quella di Margaret Thatcher e quella di Tony Blair. La Francia si è consolidata nelle guerre di religione, ha fatto la Grande Rivoluzione dell’89, è passata dalla Quarta alla Quinta repubblica con De Gaulle e oggi ha eletto presidente un figlio di immigrati, il quale ha nominato ministro della Giustizia un’extra-comunitaria e degli Esteri un extra-parlamentare. La nazione tedesca ha avuto le guerre fra principati e imperatore, Martin Lutero e la Riforma protestante. L’Italia è passata attraverso due controriforme. Quella del Concilio di Trento, che ha bruciato sul rogo Giordano Bruno; quella fascista, una rivelazione più che una rivoluzione. Il Risorgimento non è stato un fatto di popolo, ma frutto dell’abilità diplomatica di Cavour e della conquista militare piemontese. La Resistenza, pur con tutti i suoi meriti, è stata più una fuga dalla coscrizione obbligatoria del Bando Graziani che una rivolta - piuttosto tiepida fino a quel momento - contro la dittatura. Vittime del terrorismo non sono caduti gli uomini della Casta, ma i riformisti che la volevano combattere. Il solo movimento che, sia pure grossolanamente, si è battuto contro la Casta è stato, in questi anni, la Lega, con «Roma ladrona» - la traduzione lombarda di Casta - e la prospettiva, per quanto utopistica e discutibile, della «secessione» del Nord. In questi giorni di polemiche, la maggioranza accusa l’opposizione che «così perderemo tutti». No. La Casta si salverà. Chi si sta definitivamente perdendo è il Paese. Che è peggiore della Casta che ha portato e che mantiene al potere. Per opportunismo.
«Corriere della sera» del 23 giugno 2007

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