17 luglio 2007

La prima repubblica finisce adesso

Perché il ‘92 è stato solo l’inizio dell’agonia
di Ernesto Galli Della Loggia
Abbiamo tutti più o meno pensato che la Prima Repubblica - o almeno, diciamo, il suo sistema politico - fossero finiti nel 1992-’94. Ma ci siamo sbagliati. In realtà essa sta finendo solo ora, in questi mesi, sotto i nostri occhi: perché è solo ora che il processo iniziatosi allora con la crisi-decomposizione dei partiti di centro e di centro-sinistra fondatori del sistema nel 1945-48 (la Dc e il Psi principalmente) sta arrivando a compimento con la crisi-decomposizione del pezzo di sinistra a suo tempo fortuitamente salvatosi, e cioè quella cattolica e comunista. (Da questo punto di vista la fondazione - per ora e per meglio dire, la tentata fondazione - del Partito democratico ha lo stesso valore sintomatico e semplicemente palliativo, mi pare, del cambiamento di nome in Partito popolare allora tentato dalla Dc). Certo, le intercettazioni telefoniche di D’Alema e Fassino appena pubblicate non hanno nulla di penalmente rilevante, ma di simbolicamente rilevante sì, eccome! E in politica ciò conta in misura anche maggiore. Quelle parole, infatti, hanno spazzato via l’immagine d’innocenza, l’alone di purezza, che erano riusciti a sopravvivere a Mani Pulite, lasciando così in vita la cultura del vecchio Pci e dunque aperta la crisi scoppiata nel 1992-93. La quale ebbe nella corruzione solo il suo innesco, non certo la sua vera causa, che invece stava nell’esaurimento storico di tutte quante le culture politiche della Prima Repubblica, inclusa quella del vecchio Partito comunista. Come oggi ci è chiaro, dopo che da quindici anni (quindici anni!) vediamo proprio quella cultura dibattersi nell’inutile tentativo (che nulla ci assicura oggi destinato invece al successo), da un lato di rinnovarsi in senso moderato, restando però in certo modo sempre se stessa, dall’altro di trovare una piattaforma di valori comune con l’area cattolica. In questo per il momento inutile tentativo si rispecchia, come dicevo, un dato storico. Quello delle culture politiche tipiche della Prima Repubblica che avendo visto tutte quante la luce nei primi due, tre decenni del Novecento si sono mostrate ottimamente capaci di accompagnare l’Italia nella fase della sua piena industrializzazione/modernizzazione (non a caso avviata dal fascismo, loro sostanziale coetaneo); non solo: ma soprattutto per circostanze fortemente dipendenti dal contesto internazionale esse sono riuscite altresì a coniugare quella modernizzazione con la democrazia, dando vita alla Repubblica. E però, quando è finita l’epoca della modernizzazione del Paese ed è iniziata quella della sua piena modernità, quelle stesse culture politiche hanno mostrato i propri limiti. Capaci di mobilitare energie intellettuali e sociali in vista di un grande sforzo nazionale, all’interno di una società ancora sostanzialmente arretrata, e di governare quelle energie in modo «forte», esse non avevano, invece, la capacità di organizzare in modo appropriato un sistema democratico-capitalistico maturo, e di gestire in modo efficace ma «leggero» le relative relazioni sociali, culturali e industriali. La corruzione è stata (ed è!) «soltanto» la manifestazione e la conseguenza patologica di questa incapacità che dura da almeno vent’anni: la quale nella sostanza è mancanza di cultura democratica circa i limiti del governare, e insieme mancanza di progetti generali adatti a una società ormai articolatissima nonché, dall’università ai trasporti, immersa nel confronto con gli altri. E’per questa incapacità delle sue culture politiche che la Prima Repubblica è entrata nel 1992 in una lunga agonia, ed è di questa incapacità, mai sanata, che ora sta finalmente morendo.
«Corriere della sera» del 24 giugno 2007

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