08 luglio 2007

Ritorno a Istanbul

Arriva in Italia il libro che ha rivelato Elif Shafak, accusata dai fanatici turchi di denigrare l’identità nazionale
di Antonio Ferrari
Le ombre del genocidio armeno nel romanzo sulla Turchia di oggi
Nata negli Stati Uniti, figlia di un armeno della diaspora e di un’americana consapevole e compiaciuta della propria semplicità, Armanoush è una bella ragazza, moderna, colta, sensibile, fiera. Una giovane donna, appena maggiorenne, che riempie lo spazio con assoluta naturalezza: calamita ammirazione, rispetto, in qualche caso soggezione. Più del divorzio dei genitori e della decisione della madre di sposare, in seconde nozze, un turco timido e taciturno, la tormenta il peso di un passato nel quale cerca ostinatamente le proprie radici. Sembra trovare pace soltanto nella lettura di romanzi di qualità, resistendo alle affettuose obiezioni della zia paterna, «forse dettate da una paura più profonda, quasi primordiale». Una questione di sopravvivenza. «Semplicemente, la sua famiglia non voleva che Armanoush brillasse troppo, distinguendosi dal gregge. Scrittori, poeti, artisti, intellettuali erano stati i primi ad essere eliminati dal governo ottomano. I turchi si erano prima sbarazzati dei "cervelli", e solo in seguito erano passati al resto della popolazione. Come altre famiglie della diaspora anche quella di Armanoush era al tempo stesso orgogliosa e contrariata quando uno dei rampolli leggeva troppo, pensava troppo, e volava troppo alto. I libri erano pericolosi in generale, ma i romanzi lo erano ancora di più. Il sentiero della narrazione ti poteva facilmente condurre a un universo in cui tutto era fluido... Prima ancora di rendertene conto, rischiavi di lasciarti trasportare fino a perdere ogni contatto con la realtà, con quella solida e stringente verità dalla quale nessuna minoranza dovrebbe mai staccarsi, per non trovarsi indifesa quando cambia il vento e arrivano tempi duri». In questo passaggio magistrale c’è tutta la forza dirompente di un romanzo di frontiera, corrosivo e straordinario, che ha sconvolto l’anima più profonda e contraddittoria della Turchia di oggi, impaurita dalle divisioni, assediata dai dubbi, incerta sul proprio futuro, incline a confondere l’estremismo con la moderazione, e soprattutto incapace di un atto di coraggio: interrogarsi sul proprio passato. Non è difficile comprendere perché Elif Shafak, la giovane autrice turca della Bastarda di Istanbul (Rizzoli), venga perseguitata dai fanatici che impongono con la violenza il divieto di ricordare, ed abbia subito un processo per aver «denigrato l’identità nazionale», in base all’articolo 301 del codice penale, di cui l’Unione europea chiede alla candidata Turchia l’abolizione o almeno sostanziali emendamenti. Non è difficile perché Elif non si abbandona a superficiali e chiassose invettive, né pretende di imporre verità storiche, e neppure intende entrare nell’angosciante dibattito sul massacro degli armeni, tra chi lo ritiene un «genocidio» e chi ne rifiuta la definizione. Semplicemente, affida ad un romanzo - «pura fiction», non si stanca di precisare l’autrice - i tormenti di un Paese che nasconde le pagine più sgradevoli della propria storia. Armanoush, prima di addormentarsi, accende il computer, si collega alla rete, digita la password, ed entra nel «Cafè Constantinopolis», una chat room fondata da un gruppo di americani di origine armena, sefardita e greca, tutti discendenti da antiche famiglie di Istanbul e tutti rigorosamente protetti da un soprannome. Per qualche ora, ogni sera, Armanoush diventa «Madame Anima Esiliata». Penetra i primi segreti della sua doppia identità, il padre armeno e il patrigno turco; fino a decidere di attraversare l’oceano, all’insaputa dei suoi, per andare a cercare risposte nella città più multiforme e affascinante del mondo, appunto Istanbul, dove vive la famiglia del nuovo marito della madre, quel Mustafà che trasferendosi in Arizona ha reciso tutti i legami con il proprio passato. La paura dei turchi, che per alcuni cyber-navigatori del Cafè Constantinopolis è un’ossessione, si trasforma in Armanoush nell’abisso di un’attrazione fatale. Il Bosforo, gli odori, i sapori, le contraddizioni di quella città tentacolare, il calore della famiglia che la ospita, nella quale metà delle donne sono laiche nazionaliste e l’altra metà rispettose delle tradizioni dell’Islam, la spingono a intrecciare una solida amicizia con Asya, sua coetanea, figlia di una delle sorelle del patrigno. Ed è proprio Asya il frutto del tremendo segreto che porterà Mustafà alla morte. Nello specchio di un passato inconfessabile, dove le insanabili ferite della strage degli armeni sono la causa di tragedie familiari che si dilatano nel tempo, una zia chiromante - metafora della coscienza dei segreti più torbidi - rivela la verità. La Shafak racconta ma non giudica. Con le parole di uno dei frequentatori della chat room, ricorda: «Certi armeni della diaspora in realtà non vogliono che i turchi riconoscano il genocidio. Se mai lo facessero, ci toglierebbero il legame più forte che ci tiene insieme. Proprio come i turchi si sono abituati a negare le loro malefatte, noi armeni siamo abituati a crogiolarci nel vittimismo. A quanto pare, certe vecchie abitudini andrebbero cambiate da entrambe le parti». Sì, ma da dove cominciare? Le minoranze, nella Turchia di oggi, non si sentono protette. Armeni, cristiani ed ebrei sono stati vittime di gravi attentati. Ecco perché la penna di Elif Shakaf continua a far paura. Il processo è finito ma la scrittrice, che non si stanca di inneggiare al multiculturalismo e al carattere cosmopolita della sua amata Istanbul, è costretta a vivere blindata.
Il libro di Elif Shafak, «La bastarda di Istanbul», è in uscita in Italia mercoledì 23 per l’editore Rizzoli (pagine 388, 18,50). Protagonista del romanzo è Armanoush, ragazza americana di origini armene e con un patrigno turco che decide di andare a Istanbul per capire le radici dell’odio
«Corriere della sera» del 21 maggio 2007

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