04 luglio 2007

Paghetta, il rito (caro) che comincia a 6 anni e finisce a 30

Mentre i coetanei europei si danno da fare, in Italia tre «under 34» su dieci continuano a vivere in casa
di Gabriela Jacomella
Lo studio: nessuno fa più lavori part-time, anche estivi. La psicologa: così restano eterni bambini

Consegnano i quotidiani porta a porta e si svegliano all’alba per un giro di volantinaggio, fanno i babysitter per i vicini di casa o i commessi al supermercato. Il lavoro se lo cercano da sé, navigando in Rete o chiamando un call-center specializzato. Non in Italia, però. Dalle Alpi in giù, non c’è part-time che tenga: dai 6 ai trent’anni, il modo migliore per riempire il portafoglio si chiama «paghetta». Lo raccontano, prima di tutto, i numeri: quelli dell’ultimo rapporto Iard, datato 23 aprile, secondo cui 8 italiani su 10 completano gli studi tra i 30 e i 40 anni - e dopo, solo dopo, fanno il loro ingresso nel mondo del lavoro. Nel frattempo, tocca a mamma e papà riempire il vuoto pneumatico delle tasche dei propri rampolli. Anche perché il 29,5% dei precari under 34, aggiunge l’Istat, continua a vivere in famiglia. E a chiudere il cerchio, ecco lo studio svolto da Axe Effect Trend Lab su 100 testate di 20 Paesi diversi: in Italia, i lavoretti part-time non usano più, soppiantati dall’abitudine - radicata fin dalle scuole dell’infanzia - alla «paghetta» settimanale. Non che l’abitudine alla mancia sia sconosciuta al resto del mondo: i teenager inglesi, per fare un esempio, ricevono in media 4,20 sterline a settimana (circa 6 euro) per le spese personali, mentre in Germania si passa dai 12,5 euro per i bimbi tra i 6 e i 10 anni, ai circa 30 per gli 11-16enni. Ma il 40% degli adolescenti britannici «arrotonda» facendo il barista o la dog-sitter e a Berlino e dintorni rimboccarsi le maniche nei mesi estivi è considerato la normalità. Si lavora per pagarsi gli studi, come in Svizzera, dove il 70% degli studenti ha un lavoretto da 450-500 euro al mese, o negli Usa, dove il 36% dei giovani lo fa per risparmiare i soldi del college. Ma si lavora anche per togliersi lo sfizio di un paio di jeans o un i-Pod ultimo modello. In Giappone, gli yen per vestiti e videogiochi non si chiedono, ma si guadagnano: il modello più diffuso è un part-time da 20 ore alla settimana. «Un’abitudine - commenta la psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris - che da noi non c’è mai stata: per le generazioni passate era una necessità, si lasciava la scuola e si andava a lavorare; oggi, la mentalità più diffusa è che un impiego manuale (e questi part-time sono tutti di tipo pratico) svilisca chi lo fa. Nei Paesi anglosassoni, invece, era una prassi accettata anche dalle famiglie benestanti; lo hanno fatto i figli dei Kennedy e lo scopo era formativo». Perché l’obiettivo, soldi a parte, è proprio questo: imparare. «I "lavoretti" educano alla responsabilità, al contatto con mondi diversi dalla scuola e dalla famiglia, all’indipendenza dai genitori. E a una gestione più consapevole del denaro». Sarà per questo che, all’estero, istituzioni e privati si impegnano per avvicinare i giovanissimi al mondo del lavoro: a Boston è il Private Industry Council a mediare tra aziende e teenager; in Germania, nel 2005, il call-center specializzato Tusma ha ricevuto oltre 100.000 richieste e trovato un posto a quasi 60.000 studenti; in Russia, a San Pietroburgo, c’è addirittura un Ufficio per il lavoro giovanile, con programmi riservati a giovani tra i 14 e i 17 anni. «In Italia, invece, sopravvive l’idea della "paghetta": il mercato spinge perché l’abbiano anche i più piccoli, mentre si può aspettare fino ai 12-13 anni - commenta la psicoterapeuta -. Ed è importante che genitori e figli decidano insieme che uso fare di questi soldi». Quanto ai trentenni «sovvenzionati» dalla famiglia, «molti di loro vorrebbero sottrarsi a questa logica, ma bisogna avere il coraggio di uscire dal nido. I lavoretti part-time sono un ponte che traghetta verso la società e il mondo del lavoro, in maniera graduale, senza choc. Per questo sarebbe importante incentivarli». Con o senza «paghette».

GERMANIA Tra i 6 e i 10 anni, i bimbi tedeschi hanno una mancia di 12,50 euro, che salgono a 35-50 a 17 anni. Ma i lavori part-time o estivi sono un’abitudine e le richieste vengono smistate da appositi call center
GRAN BRETAGNA Circa il 40% dei 15-19enni inglesi sceglie di fare un lavoro part-time; uno su 5 ha addirittura un impiego a tempo pieno. La mancia di papà e mamma, quando c’è, si aggira, sulle 4,20 sterline (6 euro) a settimana
STATI UNITI Secondo il Dipartimento dell’educazione americano, circa il 28% dei ragazzi tra i 16 e i 19 anni ha un lavoro part-time. Molti si immettono nel mercato del lavoro vendendo gadget elettronici online
GIAPPONE A 16 anni, un giovane giapponese può cercarsi un lavoro part-time per un massimo di 20 ore alla settimana, in regola e con salario fisso (6,5 euro all’ora). Niente paghetta, ma uno stipendio da 550 euro al mese 7 euro dai 6 ai 10 anni Secondo l’ultima indagine dell’Osservatorio dei minori, la «paghetta» dei più piccoli si aggira intorno ai 7 euro (un po’di più per i maschi, leggermente di meno per le femmine): a quest’età i soldi se ne vanno in dolci e merendine, fumetti, giocattoli e figurine. Solo il 4,3% ne utilizza una parte per la ricarica del cellulare, l’8,2% per l’abbigliamento.

  • 10 euro dagli 11 ai 13 anni Negli ultimi anni delle primarie, la cifra settimanale passata dai genitori diventa tonda; un bambino su tre la usa per ricaricare il telefonino, cresce la spesa per cinema, pub, pizzerie, accessori vari.
  • 18 euro dai 14 ai 17 anni Dai 14 anni in su, la curva della «paghetta» è in netta ascesa: tra i bisogni primari c’è semper il cellulare (53,2%), ma al suo fianco spuntano le bevande alcoliche, le sigarette, i trasporti. In calo i videogame.
  • 40 euro dai 18 ai 22 anni Quasi centocinquanta euro al mese per i maschi, circa 110 per le femmine: secondo una ricerca Bnl, dopo la maggiore età la somma che i genitori passano ai figli si aggira intorno a queste cifre. I soldi se ne vanno soprattutto in scarpe e vestiti, occhiali, borse e zainetti. In breve: accessori di moda, per sentirsi parte del «gruppo». E poi, ovviamente, la tecnologia, dal cellulare ultimo modello all’i-Pod.
  • 50 euro dai 23 ai 26 anni Gli anni passano, la «paghetta» - almeno in Italia - resta: e dal momento che i bisogni, negli anni dell’università, aumentano (dalle serate in discoteca alla benzina per la macchina), anche la cifra settimanale passata dai genitori cresce. Ovviamente al netto delle spese «fisse» per tasse, libri e materiali vari o dell’affitto per chi studia fuori sede.

«Corriere della sera» del 29 aprile 2007

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