17 luglio 2007

La verità politica non è la verità antropologica

Il ministro Bindi e i valori non negoziabili
di Francesco D'Agostino
Che "la laicità sia il cuore della differenza cristiana" - come ha scritto lo scorso mercoledì 4 luglio Rosy Bindi in una bella e pacata lettera al "Foglio" - è affermazione forse troppo sintetica, e quindi aperta a possibili fraintendimenti, ma pur condivisibile per coloro che ben percepiscono quanto arduo sia il cammino verso la conquista di una sana laicità da parte delle altre grandi religioni monoteistiche: in queste infatti non solo è assente, ma è addirittura introvabile (nemmeno per equivalenti) il precetto di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.
Che ben facciano coloro che, consapevoli della loro identità cristiana, ritengono non solo opportuno, ma doveroso "mescolarsi con i compagni di viaggio di una sinistra che ha più che mai bisogno di laicità" (sempre per usare alcune efficaci espressioni della Bindi, chiaramente rivolte a se stessa prima che a chiunque altro) è parimenti indubitabile. Il bisogno di laicità della sinistra è arrivato a livelli davvero plateali, dato che questa (per continuare ad usare le parole della Ministra) "facilmente scambia l'indifferenza etica e culturale come tolleranza"); per soddisfarlo però poco servono le dottrine e le parole, molto invece la condivisione di esperienze e soprattutto quello che un tempo si sarebbe definito il "buon esempio": l'esempio di una vita e di un impegno operosi, attenti a mai condannare aprioristicamente, a mai discriminare, a cercare sempre le modalità oggettivamente migliori per realizzare il bene comune. Nel chiudere la lettera Rosy Bindi però se ne viene fuori con una affermazione, che fa nascere in chi legge (o almeno che ha fatto nascere nel sottoscritto) qualche dubbio sulla condivisibilità di questo suo auspicio a "mescolarsi con i compagni di viaggio di una sinistra che ha più che mai bisogno di laicità". A quanto infatti essa scrive, questo "mescolarsi" dovrebbe presupporre nei cattolici la rinuncia ad una "difesa identitaria di valori non negoziabili" e imporreb be piuttosto la "condivisione di un cammino, mite e paziente, di ricerca della verità sull'uomo che nessuno possiede, ma che solo nell'incontro e nell'apertura con gli altri possiamo provare a capire".
Mi sembra evidente che qui Rosy Bindi si lascia contagiare dalla confusione, tipicamente postmoderna, tra la verità "politica" (che nessuno possiede a priori) e la verità "antropologica" (che invece dobbiamo presupporre, se vogliamo impegnarci seriamente nella politica). Che nessuno abbia in tasca una verità "politica" assoluta, che nessuno cioè possa presumere, senza un confronto "mite e paziente" con gli altri, di saper determinare nel modo ottimale il bene comune e le attività pubbliche necessarie a difenderlo e a promuoverlo è assolutamente vero: proprio in questo, peraltro, consiste il principio di laicità, nell'andare cioè alla ricerca del bene senza pregiudizi, in spirito di massima apertura agli altri. E che l'attività politica non debba essere strumentalizzata per attivare per suo tramite battaglie di difesa identitaria è parimenti evidente. Ma deve essere chiaro - proprio perché di laicità qui si parla - che per chi si impegna in politica, la difesa di "valori non negoziabili" non ha nulla a che vedere con la difesa di una identità particolare e meno che mai con la difesa dell'identità cristiana. I "valori non negoziabili", che è compito di tutti i politici e quindi in particolare dei politici di ispirazione cristiana difendere, sono valori umani universali: eguaglianza tra uomini e donne, difesa dei soggetti deboli (in particolare bambini e anziani), tutela e promozione del diritto alla libertà religiosa, alla vita, alla salute, all'educazione, al lavoro, no alla tortura, alla pena di morte e a ogni pena criminale degradante, proibizione di ogni manipolazione eugenetica, difesa della famiglia e della democrazia…potremmo andare avanti a lungo. Come negare che questo elenco di diritti può derivare la sua consistenza solo da autentiche e riconosciute verità antropologiche? Abbandoniamo una volta per tutte la logora affermazione secondo la quale "nessuno possiede la verità", perché la verità andrebbe piuttosto intesa come una "ricerca". La "ricerca" (questa sì aperta e spregiudicata) non può avere per oggetto la determinazione della verità sull'uomo, ma solo quella sui modi politici di concretizzarla. E' qui che si apre il discorso della politica e del dovere (per tutti!) di un onesto mescolarsi con compagni di viaggio sensibili alla tutela e alla promozione dei diritti umani.
«Avvenire» del 7 luglio 2007

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