17 luglio 2007

Augusto: delitti imperfetti

In «La prima marcia su Roma» Luciano Canfora svela misteri e strategie del futuro imperatore
di Dino Messina
La morte di due consoli gli spiana la via ma le lettere a Cicerone lo incriminano
Dieci anni. Tanto tempo è stato necessario a Luciano Canfora, uno dei nostri maggiori antichisti, per svelare un giallo storico: chi uccise nell’aprile 43 avanti Cristo i due consoli romani Irzio e Pansa, favorendo l’ascesa definitiva di Ottaviano al potere? Lo storico e filologo ci racconta il mistero e la sua soluzione in un saggio di dimensioni contenute, La prima marcia su Roma (pagine 90, 12), che Laterza manderà in libreria giovedì prossimo. Canfora si è messo sulle tracce dell’assassino, oltre che attraverso i suggerimenti del concreto Tacito e dell’erudito Svetonio, studiando un gruppo di lettere di Cicerone che contenevano l’indizio principe. Ma di mezzo ci sono stati altri impegni editoriali - una vita di Cesare, La democrazia, il mastodontico Papiro di Dongo, gli studi per sostenere le diatribe sul papiro di Artemidoro, un commento a Tucidide per un’edizione inglese - così la soluzione del giallo ha dovuto attendere. Siamo in piena guerra civile. Giulio Cesare, ucciso dai congiurati guidati da Marco Bruto alle Idi di marzo del 44, ha indicato nel testamento come suo successore il giovane Gaio Ottavio, che da quel momento prenderà anche il nome del patrigno. Ad appena 19 anni, il futuro primo imperatore di Roma si trova ad arruolare un proprio esercito per contrastare il rivale Antonio, che intanto ha mosso le truppe verso le regioni cisalpine dove darà battaglia a Decimo Bruto, asserragliato nella fortezza di Modena. Nel marzo del 43 i consoli Irzio e Pansa partono con i loro eserciti verso il Nord in soccorso dell’alleato Decimo Bruto, che forse non uccise materialmente Cesare, come l’altro Bruto, Marco, ma certo il 15 di marzo del 44 ebbe la responsabilità di convincere il dittatore ad andare in Senato. Ottaviano non lo perdonerà mai, eppure in queste circostanze mostra una spregiudicatezza e una freddezza degna dei politici e condottieri più cinici e consumati: si allea con i repubblicani. La scena a questo punto si concentra sul campo di battaglia, Forum Gallorum, oggi Castelfranco Emilia, dove - racconta Canfora - «il 14 aprile, all’alba, il distaccamento inviato da Irzio fu sorpreso dagli antoniani e spezzato in due. Carfuleno morì sul campo, Galba dovette battere in ritirata. Sull’ala sinistra dello schieramento Pansa fu ferito». In modo non grave, come ci racconta nelle sue lettere Cicerone, che di queste vicende viene informato nella maniera più rapida possibile, essendo egli la figura più rappresentativa del Senato, l’uomo al centro di molte trame nella guerra civile. A parte il ferimento «non grave» di Pansa, le notizie arrivate a Roma sono tutte favorevoli ai consoli, così Cicerone in un lunghissimo intervento in Senato può chiedere che Irzio e Pansa provvedano ad innalzare «un monumento il più grandioso possibile» in ricordo della battaglia. A Ottaviano, che pure era presente sul campo, è riservata soltanto una semplice menzione. Canfora ci spiega che il grande oratore ha ricevuto le sue informazioni da un dispaccio firmato da Irzio, Pansa e Ottaviano e da una dettagliata relazione di Galba. Il racconto si riferisce al 15 aprile, ma in pochi giorni il quadro cambia radicalmente. «Il 21 aprile - scrive Canfora - mentre Cicerone parlava in Senato si svolgeva una seconda battaglia e questa volta decisiva, sotto le mura di Modena». Teniamo conto che, perché i dispacci arrivassero a destinazione da questa zona della Cisalpina a Roma, occorrevano cinque giorni di cavallo, poco più di quattro se il messaggero ce la metteva davvero tutta. Che cosa succede quel 21 aprile? Ce lo raccontano Appiano di Alessandria e lo stesso Ottaviano Augusto nella sua autobiografia. A Forum Gallorum erano caduti metà dei combattenti da entrambe le parti: «Perì per intero la coorte di Ottaviano. Solo pochi dei soldati di Irzio». Antonio «non intendeva più attaccare fino a quando Decimo Bruto, logorato dalla fatica, si arrendesse». Ma Irzio e Ottaviano vogliono affrettare lo scontro e il 21 aprile costringono Antonio alla battaglia. In quella giornata senza esclusioni di colpi, Irzio viene ucciso nei pressi della tenda di Antonio. Ottaviano gli riserva subito esequie solenni. Ma sulla morte del primo console, già Tacito oltre un secolo dopo suggerisce che sia stato lo stesso Ottaviano a farlo liquidare e il più ficcante Svetonio che lo abbia fatto di sua mano. Entro ventiquattr’ore morirà anche Pansa, quantunque ferito leggermente. A questo punto entrano in scena le corrispondenze di Cicerone. Quando apprende della morte dei due consoli, Cicerone in una lettera a Marco Bruto, contraddicendo il tono adulatorio usato pochi giorni prima, scrive: «Abbiamo perso due consoli, certo due buoni consoli, ma non più che dei buoni consoli». La data di questa lettera è il 27 aprile. In una lettera di poco successiva, di Decimo Bruto a Cicerone, scritta verso il 10 maggio, si trova l’indizio decisivo. Decimo scrive che il 21 aprile non ha potuto inseguire Antonio perché non aveva né cavalieri né cavalli: «Non sapevo della morte di Irzio, non sapevo di quella di Aquila, non avevo fiducia in Cesare (cioè Ottaviano, ndr) finché non lo incontrai e parlai con lui. Così andò perduto il primo giorno (cioè il 22 aprile). Il successivo (23) mi manda a chiamare Pansa a Bologna. Mentre sono per via mi viene annunziato che egli è morto». Decimo rientra a Metabo. La scena che dobbiamo immaginare, spiega Canfora, «è che un messo di Ottaviano è partito immediatamente per bloccare Decimo e un altro alla volta di Roma per informare Cicerone, e che Cicerone già la sera del 27 è in grado di darne notizia a Marco Bruto». A questo punto un’ipotesi si impone, anche in considerazione dell’arresto del medico personale di Pansa: c’è Ottaviano dietro la morte dei consoli. Intanto Decimo Bruto viene braccato e ucciso dalle truppe di Antonio e Ottaviano può cominciare la marcia su Roma. Il 9 maggio 43 si fa presentare al popolo da un tribuno della plebe come figlio di Cesare, in luglio oltrepassa il Rubicone, come già aveva fatto il suo padre adottivo, e mette sotto minaccia armata il Senato. Così il 19 agosto ottiene la nomina a console, accanto all’insignificante Quinto Pedio, nonostante abbia vent’anni e la legge romana ne preveda almeno il doppio per ricoprire quella carica. La guerra L’uccisione di Cesare (44 a.C.) porta alla guerra civile Il trionfo Ottaviano diventa nel 31 a.C. il padrone dell’impero L’erede di Giulio Cesare Una figura controversa La fama di Cesare Ottaviano Augusto (63 a.C.- 14 d.C.), il primo degli imperatori romani, ha subito alti e bassi. Non solo maestro della conquista del potere, ma abile costruttore del suo mito e della retorica della romanità (basti pensare alle Res Gestae dettate da lui stesso), Augusto è stato accusato di crimini gravissimi ed esaltato come salvatore della pace e artefice della supremazia occidentale sull’Oriente. Nel Novecento a restituire la sua figura alla realtà ha contribuito Ronald Syme, con The Roman Revolution, edito in Italia da Einaudi, un saggio che ha ispirato le ricerche di Canfora. Inoltre, quando sottolinea la prontezza con cui Ottaviano, appena morti i consoli Irzio e Pansa, tributa loro grandi onori, Canfora dichiara il suo debito con le ricerche di Friedrich Münzer.
«Corriere della sera» del 3 luglio 2007

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