06 febbraio 2007

Gli estremisti di seconda generazione

Più sono britannici e più diventano estremisti islamici. È questo il «paradosso del multiculturalismo» che emerge dallo studio dal significativo titolo «Vivere separati insieme» del centro Policy Exchange di Londra. La ricerca pubblicata dal «Daily Telegraph». Religione, politica e società: quasi il 40% preferisce la sharia alle leggi britanniche Europa e Islam, la generazione degli estremisti
di Magdi Allam
I giovani figli di immigrati che vivono in Gran Bretagna sono più radicali dei loro padri Il 74% vuole il velo per le donne, il 46% approva la poligamia. E il 7% ammira Al Qaeda Nel senso che proprio il modello sociale basato sulla «valorizzazione delle differenze», ha partorito giovani cittadini di fede musulmana, sia convertiti sia figli o nipoti di immigrati, che aspirano sempre più a trasformare la Gran Bretagna in uno Stato islamico sottomesso alla sharia, la legge coranica. L’orientamento generale è la crescita del riferimento all’islam sul piano religioso, ideologico e identitario. Tra i 1003 musulmani interpellati nel periodo tra luglio 2006 e gennaio 2007 (il sondaggio è reperibile nel sito www.policyexchange.org.uk), ben l’86% afferma che «la mia religione è la cosa più importante della mia vita». Il 49% dice di assolvere a tutte e cinque le preghiere quotidiane prescritte dal Corano, così come il 22% dice di pregare almeno una o tre volte al giorno, mentre solo il 5% confessa di non pregare affatto. Ebbene è in questo contesto che il 37% dei giovani musulmani, tra i 16 e i 24 anni, preferirebbe la sharia alla legge britannica, una percentuale che si va man mano assottigliando con l’aumento dell’età, fino a ridursi al 17% per gli adulti dai 55 anni in su. Riferendoci sempre a queste due fasce d’età, coloro che affermano che «il musulmano può avere quattro mogli, mentre alla musulmana è consentito solo un marito», sono rispettivamente il 46% e il 18%. Quelli che ritengono che il musulmano non può convertirsi a un’altra religione e che qualora lo facesse deve essere condannato a morte, sono rispettivamente il 31% e il 19%. Ma i più giovani e i più adulti sono sostanzialmente d’accordo, con il 61% e il 50%, nel considerare che l’omosessualità sia sbagliata e debba essere dichiarata fuorilegge. La tendenza autoritaria, maschilista e misogina è ulteriormente confermata dal fatto che ben il 74% dei musulmani tra i 16 e i 24 anni ritiene che le donne debbano portare il velo, contro il 28% degli ultracinquantacinquenni. Sul piano ideologico e politico, il 58% dei musulmani britannici interpellati è convinto che «molti dei problemi del mondo contemporaneo sono il risultato dell’atteggiamento arrogante dell’Occidente». E nell’unica domanda che affronta specificatamente la questione del terrorismo islamico, il 7% dichiara di «ammirare le organizzazioni come Al Qaeda che sono pronte a combattere l’Occidente». Questo sondaggio trova riscontro nel documentario trasmesso recentemente da Channel Four, dal titolo «Moschea sotto copertura», che illustra le farneticazioni dei predicatori nelle principali moschee britanniche. A cominciare dallo sheikh Khalid Yassin, un convertito alla fede wahhabita acquisita in Arabia Saudita, che in un dvd reperibile nella moschea di Regent’s Park, la principale di Londra gestita sempre dai sauditi, afferma: «Noi musulmani abbiamo l’ordine di fare il lavaggio di cervello, perché i non musulmani sono dei deviati mentali». Il predicatore dal nome di battaglia Abu Osama, della «Green Lane Mosque» di Birmingham, è un esplicito apologeta dell’odio e del terrore: «Nessuno ama i kuffar (i miscredenti). Noi amiamo solo i musulmani e odiamo i kuffar. Osama bin Laden è meglio di un migliaio di Tony Blair, perché è un musulmano». Per kuffar si intendono principalmente i cristiani e gli ebrei che, secondo questi predicatori, devono essere sterminati. C’è chi, come il predicatore Mian della Uk Islamic Mission, chiama la democrazia «kuffrocracy», ossia il regime degli infedeli che deve essere liquidato per instaurare lo Stato islamico. Come meravigliarsi che questa libertà di trasformare le persone in robot della morte abbia finito per produrre i quattro kamikaze che si sono fatti esplodere nel centro di Londra il 7 luglio 2005 e i due kamikaze autori dell’attentato suicida a Tel Aviv il 30 aprile 2003, tutti cittadini britannici? Considerando questo insieme, si comprende come i kamikaze britannici non sono una scheggia impazzita, bensì la punta dell’iceberg del fallimento di un modello sociale che ha finito per consentire la creazione di ghetti etnici-confessionali-identitari che si sentono in conflitto con lo Stato britannico. Ecco perché, a mio avviso giustamente, nelle sue conclusioni, lo studio del Policy Exchange afferma che «abbiamo bisogno di operare insieme per sviluppare un rinnovato senso di appartenenza a una collettività che affermi la nostra identità britannica condivisa e i valori dell’Occidente». Il problema è dunque la perdita dell’identità nazionale e la diffusione di un’ideologia, il multiculturalismo, che ha fatto venir meno i valori unificanti della società. Dovremmo imparare dagli errori che gli stessi britannici denunciano. Ma ahimè in Italia è fin troppo folto l’esercito degli infatuati del multiculturalismo tra coloro che hanno le redini del potere.
«Corriere della sera» del 30 gennaio 2007

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