11 giugno 2006

Mister Hyde è dentro di noi: l’eterna ossessione del sosia

Tutto inizia con i romantici e trionfa grazie a Freud. Un’antologia di romanzi ripercorre il tema del «doppio» nella narrativa europea
di Claudio Magris
Ansel Bourne - racconta Guido Davico Bonino nella sua introduzione all’antologia Essere due - era un carpentiere che, un bel giorno, si convinse di essere il commerciante Albert Brown, salvo tornare ad essere Bourne ma, più tardi, durante l’ipnosi, di nuovo Brown, almeno a periodi; in entrambe le condizioni, non aveva mai coscienza di essere - o di essere stato - anche l’altro. Essere due è un’antologia di racconti e romanzi brevi sul Doppio, sul Sosia, sullo sdoppiamento della personalità; Davico l’ha curata con la consueta precisione intellettuale e intuizione fantastica, che fanno assomigliare il suo esercizio della critica a una fulminea arte della falconeria, a uno sparviero che si getta sulla preda, ma per comprenderla e custodirla con passione. La scissione (o raddoppiamento) di Bourne-Brown è un caso clinico, ma non è necessario ricorrere alla patologia per fare i conti con l’identità plurale. «Io sono Kim», dice il protagonista dell’omonimo romanzo di Kipling, ma è subito costretto ad aggiungere: «Chi è Kim?». L’identità sembra esistere nel dubbio su se stessa; appena diviene oggetto di riflessione o addirittura appena viene proclamata, vacilla. Quando Sant’Agostino inizia le sue Confessioni, si domanda quale sia il suo vero Io, nella confusione dei vari sentimenti, stati d’animo, momenti psicologici. La scoperta di questa alterità, osserva Manès Sperber, può derivare anche da un dolore fisico; un banale mal di denti ci fa scoprire che c’è qualcosa, in noi, che è contro di noi; il nostro dente diviene all’improvviso un elemento estraneo e ostile. Altrettanto e più ignoti e stranieri possono apparirci pensieri, ossessioni, incubi che emergono dal nostro profondo. Quando si dice «conosci te stesso», chi conosce chi? Non solo ognuno è un dottor Jekyll e un Mister Hyde, ma ognuno è spesso un altro rispetto a se stesso: «Io è un altro», secondo la famosa parola di Rimbaud. È soprattutto la scrittura a lacerare l’identità, nell’atto stesso in cui le dà forma; tra l’Io che scrive e l’Io scritto si aprono degli abissi. In un racconto di Hoffmann, L’uomo della sabbia, il protagonista, infelice e straziato poeta, scrive una poesia, la corregge e la lima con attenzione, ma quando la legge ad alta voce grida, sopraffatto dall’orrore dell’ignoto che esce dalla sua bocca: «Di chi è questa voce spaventosa?». In un altro romanzo di Hoffmann, Gli Elisir del diavolo, il personaggio principale, frate Medardus, dice ripetutamente «gridò in me» (qualcosa gridò in me, es rief in mir) ed è atterrito di non sapere chi stia parlando, in lui, in quel momento. Hoffmann e Stevenson sono presenti, in Essere due, accanto a molti maestri della letteratura del Doppio quali Chamisso, con la sua storia dell’uomo che ha perso la propria ombra, Dostoevskij col suo capolavoro Il sosia, Oscar Wilde col Ritratto di Dorian Gray e Kafka con La metamorfosi, l’immortale racconto di Gregor Samsa che si sveglia scarafaggio.
Dilagato in epoca romantica e pre-romantica, quando le nuove «scienze notturne» dell’anima iniziavano a indagare i territori dell’inconscio, del sogno, del sonno, delle allucinazioni, dell’ipnosi, del magnetismo, del sonnambulismo, di vari disturbi psichici, il tema del Doppio - o del Sosia - si riallaccia alla filosofia fichtiana, che con la sua dottrina dell’Io e del Non-Io influenza la letteratura, provocando anche una crisi profonda; venendo letta - sia pur scorrettamente - come una dissoluzione nichilista della realtà, ridotta ad arbitraria e labile creazione soggettiva della fantasia. Più della filosofia, è tuttavia la psicologia a essere chiamata in causa. L’Io individuale si scopre scisso, senza fondo, multiplo, straniero a se stesso; dalla Francia alla Germania alla Russia, la letteratura europea ottocentesca è sovraffollata di individui che incontrano con raccapriccio se stessi, che s’imbattono in un proprio sinistro sosia, affacciandosi sul baratro della propria disgregazione e follia o precipitandovi. La grande letteratura del Novecento, nutrita di altre esplorazioni del profondo, a cominciare da Freud, e di altre crisi epocali, si inoltra con radicalità ancora più intensa su questa strada di ombre, di deliri e di scoperte di altre dimensioni della ragione.
Il Doppio, in letteratura, si presta a vari significati. Nel racconto di Chamisso e in quello di Stevenson prevale, pur nella poliedrica ricchezza dell’invenzione fantastica, la dimensione morale, la scissione-contrapposizione fra bene e male, autenticità e falsità. In Hoffmann il tema assume, nelle diverse opere, sensi diversi e contrastanti. Nella Principessa Brambilla, compresa in questo volume, lo sdoppiamento, con la sua crisi iniziale è la premessa per la gioiosa, ebbra scoperta dell’identità universale, che permette a ognuno di riconoscersi, di ritrovarsi e di riconoscersi in ogni altro. Negli Elisir del diavolo, nell’Uomo della sabbia e nei racconti e nei romanzi imperniati sulla figura dello straziato musicista Johannes Kreisler, il sosia è invece l’incubo tragico della perdita di sé, dall’angoscia senza nome, della follia distruttiva e autodistruttiva. Il ritratto di Dorian Gray, con i suoi aforismi brillanti ma «talvolta tediosi» (Davico), rientra a stento nel filone del sosia e si regge piuttosto sulla contrapposizione fra l’immagine viva che non muta e quella dipinta che si trasforma. La metamorfosi è la constatazione tragica di una doppiezza naturale e inevitabile eppure crudelmente rifiutata. Il Sosia di Dostoevskij, capolavoro assoluto, apre - come altre opere del narratore russo, ad esempio L’uomo del sottosuolo - un’altra dimensione dell’Io: forse non più solo doppio, ma plurimo; l’uomo che vuole liberarsi della coscienza perché la considera una malattia, una prigione, una camicia di forza imposta al molteplice fluire della vita. È quell’uomo del sottosuolo in cui Nietzsche vedeva la controfigura del suo «oltre-uomo», di un soggetto plurale, più folla che individuo, una «anarchia di atomi», una pluralità di persone in una. Già un personaggio degli Elisir del diavolo di Hoffmann vagheggiava come una festa la dissoluzione della sfilata militare dell’Io nel caos dionisiaco di una massa tripudiante in piazza. Tanta grande letteratura del Novecento seguirà questa linea, vedendo con Musil nell’Io «un delirio di molti». L’Io sembra il nucleo della cipolla che Peer Gynt cerca togliendo via via tutte le bucce, per scoprire che esistono solo strati di buccia e nessun nucleo. Ma neppure questo abbandono dionisiaco è la verità ultima. Là dove era Es deve diventare Io, ha scritto Freud; già Hoffmann diceva che bisogna scendere nel profondo irrazionale e brulicante del sogno, ma senza restarvi prigionieri, bensì risalendo, portando alla luce e all’unità quella conoscenza delle tenebre e della scissione.
Il libro: Chamisso, Hoffmann, Dostoevskij, Stevenson, Wilde, Kafka, «Essere Due. Sei romanzi sul Doppio», a cura di G. Davico Bonino; traduzione di E. Ganni, A. Spaini, A. Poliedro, C. Fruttero, F. Lucentini, F. Ferrucci e F. Fortini, Einaudi, pagine 922, 18
IL PERSONAGGIO
In origine, Sosia è il nome di un personaggio della commedia di Plauto «Anfitrione»: un servo del generale greco, sposato con Alcmena. Giove si innamora di Alcmena e, per possederla, prende le sembianze del marito. Mercurio aiuta il dio, impersonando, appunto, Sosia, e dando vita a una serie di equivoci
«Corriere della sera» del 9 giuno 2006

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