A scuola si va per confrontarsi con le idee, con la storia, con l’etica, con la memoria e l’abito deve adeguarsi alla dignità che suggerisce il luogo. La scuola è un tempio laico, dove si crea il futuro del Paese e quindi va rispettata e onorata
di Dacia Maraini
Siamo veramente liberi di vestirci come vogliamo? Credo che in questa asserzione di libertà ci sia un inganno. Noi in realtà non ci vestiamo come ci pare, ma come pare alla moda. Provate a chiederlo a una costumista del cinema. Lei saprà riconoscere un decennio dai vestiti che si usavano all’epoca: gli anni 60, gli anni 80, gli anni 2000, eccetera. Nessuno sfugge alla moda. Come spiegare altrimenti i blue jeans stracciati e bucati che non si sono mai visti primae che ora portano con noncuranza tantissime ragazze e ragazzi,? Come spiegare i tatuaggi sulle braccia, sul collo, sulle gambe in bella vista? Come spiegare i capelli rasati sulle tempie e sbuffanti in alto come un bauletto per i maschi e le pettinature alla madonna, lisci sulle orecchie che finiscono coi riccioli sul collo per le femmine? Come spiegare le scarpe firmate, il colore viola che viene gettato sul mercato un anno e l’anno dopo il colore verde, eccetera?
I vestiti parlano, rappresentano un linguaggio molto evidente e quasi mai riguardano la libertà personale. Di solito suggeriscono linguaggi che vogliono rappresentare la seduzione, ma in maniera semplificata e stereotipata. È il mercato che diffonde l’uso di un abito e noi ci adeguiamo bene o male, perché il conformismo fa parte del nostro comportamento sociale. Nessuno vuole rimanere indietro rispetto alle novità in fatto di abiti e colori. Detto questo anche la moda in qualche modo suggerisce un linguaggio diverso secondo i luoghi che si vogliono frequentare. Non si va in chiesa vestiti come per andare in palestra, così come non si va a un matrimonio con abiti da casa, e non si va in viaggio vestiti come per ballare in un locale notturno, e non ci si presenta a un esame con gli infradito ai piedi.
Che la scuola abbia perso la sua sacralità purtroppo lo dimostra proprio questa idea che la si possa frequentare senza nessun riguardo per quello che rappresenta. E non parlo di compostezza, contegno, pudore, come dice il vocabolario descrivendo la parola «decenza» ma di rispetto per una casa del pensiero dove ogni altro linguaggio dovrebbe tacere per lasciare spazio alla difficile arte dell’apprendimento.
Credere che sia libertà l’adeguarsi a una moda sciatta, cinica che mette sul mercato il corpo femminile come oggetto di predazione è un equivoco purtroppo poco compreso.
La moda non sfugge a una antica idea di divisione dei ruoli sessuali. A volte, quella piu intelligente e personale, gioca col teatro. Lo vediamo nelle sfilate che diventano sempre piu stravaganti e improbabili come abiti da indossare, suggerendo voglie di gioco e di travestimento.
Rimane il fatto che ogni luogo pretende un suo linguaggio. E rispettarlo non significa mancanza di libertà, ma al contrario vuol dire riconoscere la specificità dell’occasione. Tenersi alle regole, anche quelle non scritte, non è segno di conformismo, ma anzi, di grande lealtà verso le istituzioni e di quello che rappresentano. Un paese senza istituzioni va alla deriva, in preda al piu prepotente. Le istituzioni sono alla base della democrazia e non tenerne conto è pericoloso.
La scuola è una istituzione sacra. A scuola si va per confrontarsi con le idee, con la storia, con l’etica, con la memoria e l’abito deve adeguarsi alla dignità che suggerisce il luogo. La scuola è un tempio laico, dove si crea il futuro del paese e quindi va rispettata e onorata.
Se però è vero che la preside (preferisco usare questo termine al posto di dirigente, perché credo che la scuola debba formare e non produrre) ha detto le parole riportate dai suoi allievi, non posso che mettermi dalla parte degli studenti. Non si tratta più di «decoro» o «pudore» ma di disprezzo per un corpo fuori dai canoni di bellezza che suggerisce il mercato.
Non si tratta di una questione di «cellulite», di «sederi», di «tette», come si è scritto, ma di pensiero. Il linguaggio di un luogo dedito alla riflessione e alla conoscenza vuole una discrezione che riguarda la serietà dell’impresa di apprendimento e non altro. Anche il pensiero dei dirigenti ha un linguaggio e quello della preside, sempre che sia vero ciò che si riferisce, lo trovo fuori luogo e sprezzante. Non è denigrando la ragazza grassa o la esibizionista con la cellulite che si chiarisce una idea di decoro. La scuola è il luogo della piu grande libertà, ma di una libertà che non riguarda la moda e il mercato, bensì la necessità di imparare a pensare con la propria testa, difendendo la dignità dell’immaginazione, che di solito è ben lontana da quella che suggerisce una moda subdola e vorace.
I vestiti parlano, rappresentano un linguaggio molto evidente e quasi mai riguardano la libertà personale. Di solito suggeriscono linguaggi che vogliono rappresentare la seduzione, ma in maniera semplificata e stereotipata. È il mercato che diffonde l’uso di un abito e noi ci adeguiamo bene o male, perché il conformismo fa parte del nostro comportamento sociale. Nessuno vuole rimanere indietro rispetto alle novità in fatto di abiti e colori. Detto questo anche la moda in qualche modo suggerisce un linguaggio diverso secondo i luoghi che si vogliono frequentare. Non si va in chiesa vestiti come per andare in palestra, così come non si va a un matrimonio con abiti da casa, e non si va in viaggio vestiti come per ballare in un locale notturno, e non ci si presenta a un esame con gli infradito ai piedi.
Che la scuola abbia perso la sua sacralità purtroppo lo dimostra proprio questa idea che la si possa frequentare senza nessun riguardo per quello che rappresenta. E non parlo di compostezza, contegno, pudore, come dice il vocabolario descrivendo la parola «decenza» ma di rispetto per una casa del pensiero dove ogni altro linguaggio dovrebbe tacere per lasciare spazio alla difficile arte dell’apprendimento.
Credere che sia libertà l’adeguarsi a una moda sciatta, cinica che mette sul mercato il corpo femminile come oggetto di predazione è un equivoco purtroppo poco compreso.
La moda non sfugge a una antica idea di divisione dei ruoli sessuali. A volte, quella piu intelligente e personale, gioca col teatro. Lo vediamo nelle sfilate che diventano sempre piu stravaganti e improbabili come abiti da indossare, suggerendo voglie di gioco e di travestimento.
Rimane il fatto che ogni luogo pretende un suo linguaggio. E rispettarlo non significa mancanza di libertà, ma al contrario vuol dire riconoscere la specificità dell’occasione. Tenersi alle regole, anche quelle non scritte, non è segno di conformismo, ma anzi, di grande lealtà verso le istituzioni e di quello che rappresentano. Un paese senza istituzioni va alla deriva, in preda al piu prepotente. Le istituzioni sono alla base della democrazia e non tenerne conto è pericoloso.
La scuola è una istituzione sacra. A scuola si va per confrontarsi con le idee, con la storia, con l’etica, con la memoria e l’abito deve adeguarsi alla dignità che suggerisce il luogo. La scuola è un tempio laico, dove si crea il futuro del paese e quindi va rispettata e onorata.
Se però è vero che la preside (preferisco usare questo termine al posto di dirigente, perché credo che la scuola debba formare e non produrre) ha detto le parole riportate dai suoi allievi, non posso che mettermi dalla parte degli studenti. Non si tratta più di «decoro» o «pudore» ma di disprezzo per un corpo fuori dai canoni di bellezza che suggerisce il mercato.
Non si tratta di una questione di «cellulite», di «sederi», di «tette», come si è scritto, ma di pensiero. Il linguaggio di un luogo dedito alla riflessione e alla conoscenza vuole una discrezione che riguarda la serietà dell’impresa di apprendimento e non altro. Anche il pensiero dei dirigenti ha un linguaggio e quello della preside, sempre che sia vero ciò che si riferisce, lo trovo fuori luogo e sprezzante. Non è denigrando la ragazza grassa o la esibizionista con la cellulite che si chiarisce una idea di decoro. La scuola è il luogo della piu grande libertà, ma di una libertà che non riguarda la moda e il mercato, bensì la necessità di imparare a pensare con la propria testa, difendendo la dignità dell’immaginazione, che di solito è ben lontana da quella che suggerisce una moda subdola e vorace.
«Corriere della sera» del 5 giugno 2022