Un volume raccoglie le prime biografie (più o meno accurate) e l’iconografia del poeta, con il primo ritratto tracciato da Boccaccio. Appuntamenti a Parigi e Milano
di Paolo Di Stefano
Al di là delle rispettive opere poetiche, una delle differenze sostanziali tra Dante e Petrarca è che del secondo sappiamo moltissimo, mentre disponiamo di pochi dati certi sul primo. Dell’autore del Canzoniere abbiamo le carte autografe e conosciamo perfettamente la sua biblioteca, mentre dell’Alighieri non ci è giunta neppure una riga scritta di suo pugno e la biblioteca ci è pressoché sconosciuta. Infine, mentre le tappe biografiche di Petrarca sono chiare, la vita di Dante è un campo sempre aperto di lavori in corso. Basti ricordare che negli ultimi dieci anni sono uscite, dell’Alighieri, numerose e importanti biografie, a cominciare da quelle di Emilio Pasquini (2007) e di Guglielmo Gorni (2008) per arrivare alle due più recenti: quella narrativa di Marco Santagata (2012) e quella essenziale di Giorgio Inglese (2015).
Le notizie a proposito di Dante si fondano sui documenti d’archivio e sui riferimenti autobiografici disseminati nelle sue opere, e non da ultimo anche sulle «vite» antiche che ne tramandano testimonianze più o meno dirette. Su questo versante, non possiamo che salutare con gratitudine l’ultimo tassello della Necod (pubblicata dal Centro Pio Rajna), e cioè il tomo IV del settimo volume, che si concentra, a cura di Monica Berté e Maurizio Fiorilla, sulle Vite di Dante dal XIV al XVI secolo, con una seconda parte dedicata all’iconografia dantesca curata da Sonia Chiodo e Isabella Valente.
Dante muore a Ravenna, in esilio, nel settembre 1321 lasciando nei contemporanei un enorme interesse sul suo poema e una discreta indifferenza rispetto alla sua vita. Pochi cenni biografici compaiono qua e là nei commenti e nelle esegesi della Commedia. Per esempio al notaio fiorentino Andrea Lancia, chiosatore del poema tra il 1341 e il ’43, si deve la prima identificazione anagrafica di Beatrice come Bice Portinari.
Il primissimo breve ritratto dell’Alighieri risale a Giovanni Villani, che nella Cronica, scritta a ridosso della morte, non risparmia qualche asprezza sul «sommo poeta e filosafo» che oltre a «garrire e sclamare (...) più che si convenia», si mostrò sempre «alquanto presuntuoso e schifo e isdegnoso», sprezzante e incapace di parlare con i «laici», cioè gli incolti. Risentimento verso il transfuga che aveva usato parole violente contro la sua città? In parte.
Un trentennio dopo, tra gli anni 50 e 60, a Giovanni Boccaccio, con il Trattatello in laude di Dante e la successiva revisione in forma ridotta, si deve il primo profilo biografico ragionato e documentato. Diversamente da Villani, l’autore del Decameron non ha conosciuto il Poeta ma si è impegnato a raccogliere informazioni sul suo conto presso molte persone «degne di fede», amici, discepoli e parenti che lo avevano frequentato, compresa una cugina di Beatrice, Lippa de’ Mardoli. Diversamente da Villani, Boccaccio, che fu anche suo trascrittore ed editore, è un fan incondizionato di Dante al punto da metterne in positivo anche i macroscopici (arcinoti) difetti caratteriali come la superbia, la ritrosia ombrosa, l’animosità che a volte lo spinge fino alla rabbia «insana»: specie se toccato nel vivo da questioni politiche, in particolare dopo la cacciata da Firenze e la conseguente maturazione di un odio senza limiti contro i guelfi. Fatto sta che i successivi tentativi biografici verranno influenzati dal Boccaccio, grazie alla enorme diffusione che il Trattatello ebbe in ambedue le redazioni (la lunga e la breve): da lì derivano numerose vite dantesche variamente accurate e attendibili, per lo più inserite in rassegne di uomini illustri. Ecco dunque quelle di Filippo Villani, nipote del vecchio cronista, del grammatico Domenico di Bandino, dell’umanista Leonardo Bruni, del coltissimo mercante e banchiere Giannozzo Manetti, del notaio friulano Marcantonio Nicoletti già sul declinare del Cinquecento. Sono questi sette i testi scelti dai curatori tra i numerosi possibili profili biografici danteschi che si succedono lungo i due secoli e mezzo presi in considerazione.
Colpisce comunque che pur essendo, le antiche vite dell’Alighieri, preziose nel restituirci informazioni ravvicinate sul poeta e sulla ricezione delle sue opere, esse siano anche portatrici di notevoli lacune ed errori destinati a resistere nel tempo. Si pensi per esempio alla sequenza delle opere: Giovanni Villani considera che il Convivio e il De vulgari eloquentia siano opere rimaste incompiute a causa della morte prematura del loro autore, e lo stesso Boccaccio colloca i due trattati nella vecchiaia, mentre oggi sappiamo che ambedue precedono la composizione della Commedia. Senza dire delle numerose leggende che riguardano la genesi del poema: Boccaccio ne attribuisce l’ispirazione (i primi sette canti) all’attività di governo nella repubblica, ben prima dell’esilio (i canti sarebbe stati poi rinvenuti e fatti reperire all’autore rifugiato in Lunigiana). Altre informazioni non si possono né smentire né confermare, come il viaggio a Parigi narrato da Boccaccio: «E già vicino alla sua vecchiezza n’andò a Parigi, dove, con tanta gloria di sé, disputando, più volte mostrò l’altezza del suo ingegno».
Le questioni più aneddotiche sono gustose. Per esempio, al discredito di Boccaccio per la moglie Gemma Donati (mai citata per nome, essendo ritenuta, in quanto donna, «contraria» agli studi del marito) si oppone Bruni, che nel difendere «la gentil donna della nobile famiglia de’ Donati» accusa il Certaldese di avere indugiato troppo sulle pene d’amore di Dante a discapito di argomenti più seri. Ma senza Boccaccio non avremmo il più pregnante ritratto fisico di Dante: media statura, portamento «curvetto», andatura grave, volto lungo, naso aquilino, occhi e mascelle grandi, labbro inferiore sporgente. Secondo il Trattatello, le donne veronesi, vedendo camminare Dante per la città con i suoi capelli neri e crespi come la barba e con il suo incarnato scuro, non dubitavano sulla discesa del Poeta dagli inferi. Probabilmente mediata dalla testimonianza di Andrea Poggi, nipote dell’Alighieri, la fisionomia dantesca così come fu restituita dal Boccaccio avrebbe avuto notevole fortuna sia sul piano letterario sia sul piano iconografico.
A proposito dell’iconografia, basti uno spunto. Sulla figura che compare nel famoso affresco giottesco situato nella cappella del Palazzo del Podestà a Firenze, realizzato nel 1337, scialbato nel ’500 e infine riscoperto e rivalutato nel 1840, si sofferma in particolare lo studio di Sonia Chiodo. Che parla di «un capolavoro di diplomazia»: era quello, infatti, il luogo in cui venivano accolti i colpevoli prima di incamminarsi verso il patibolo e il Poeta, condannato a morte dalla sua città nel 1302, era stato un peccatore che aveva espiato e che adesso finalmente poteva contare nella riabilitazione. Per questo, collocato tra gli eletti, tiene tra le mani lo stesso ramoscello di pomi, simbolo biblico, che si ritrova nella Commedia a rappresentare l’approdo finale del viaggio intrapreso nell’Inferno sotto la guida di Virgilio.
Appuntamenti. La monografia tradotta in francese e la conferenza
Si svolgerà giovedì 16 novembre alla Maison de la Recherche de la Sorbonne a Parigi (rue des Irlandais 4) una «giornata dantesca». L’incontro è stato ideato in occasione dell’uscita, presso Belles Lettres, della traduzione francese della monografia di Enrico Malato sull’Alighieri pubblicata in Italia da Salerno editrice. La giornata è organizzata dalla Société Dantesque de France e dal centro di ricerca sulla letteratura italiana del Medioevo (Cer-Lim). Malato terrà una conferenza dal titolo «Attualità d’un Dante europeo».
La presentazione dell’ultimo volume della «Nuova edizione commentata delle opere di Dante» (Necod) sulle vite di Dante e l’iconografia dantesca, edita dal Centro Pio Rajna, si terrà giovedì 23 novembre alla Biblioteca Ambrosiana di Milano (ore 17.30, Sala XXIII). Interverranno, oltre ai curatori, Marco Petoletti e Angelo Stella introdotti da Armando Torno.
Le notizie a proposito di Dante si fondano sui documenti d’archivio e sui riferimenti autobiografici disseminati nelle sue opere, e non da ultimo anche sulle «vite» antiche che ne tramandano testimonianze più o meno dirette. Su questo versante, non possiamo che salutare con gratitudine l’ultimo tassello della Necod (pubblicata dal Centro Pio Rajna), e cioè il tomo IV del settimo volume, che si concentra, a cura di Monica Berté e Maurizio Fiorilla, sulle Vite di Dante dal XIV al XVI secolo, con una seconda parte dedicata all’iconografia dantesca curata da Sonia Chiodo e Isabella Valente.
Dante muore a Ravenna, in esilio, nel settembre 1321 lasciando nei contemporanei un enorme interesse sul suo poema e una discreta indifferenza rispetto alla sua vita. Pochi cenni biografici compaiono qua e là nei commenti e nelle esegesi della Commedia. Per esempio al notaio fiorentino Andrea Lancia, chiosatore del poema tra il 1341 e il ’43, si deve la prima identificazione anagrafica di Beatrice come Bice Portinari.
Il primissimo breve ritratto dell’Alighieri risale a Giovanni Villani, che nella Cronica, scritta a ridosso della morte, non risparmia qualche asprezza sul «sommo poeta e filosafo» che oltre a «garrire e sclamare (...) più che si convenia», si mostrò sempre «alquanto presuntuoso e schifo e isdegnoso», sprezzante e incapace di parlare con i «laici», cioè gli incolti. Risentimento verso il transfuga che aveva usato parole violente contro la sua città? In parte.
Un trentennio dopo, tra gli anni 50 e 60, a Giovanni Boccaccio, con il Trattatello in laude di Dante e la successiva revisione in forma ridotta, si deve il primo profilo biografico ragionato e documentato. Diversamente da Villani, l’autore del Decameron non ha conosciuto il Poeta ma si è impegnato a raccogliere informazioni sul suo conto presso molte persone «degne di fede», amici, discepoli e parenti che lo avevano frequentato, compresa una cugina di Beatrice, Lippa de’ Mardoli. Diversamente da Villani, Boccaccio, che fu anche suo trascrittore ed editore, è un fan incondizionato di Dante al punto da metterne in positivo anche i macroscopici (arcinoti) difetti caratteriali come la superbia, la ritrosia ombrosa, l’animosità che a volte lo spinge fino alla rabbia «insana»: specie se toccato nel vivo da questioni politiche, in particolare dopo la cacciata da Firenze e la conseguente maturazione di un odio senza limiti contro i guelfi. Fatto sta che i successivi tentativi biografici verranno influenzati dal Boccaccio, grazie alla enorme diffusione che il Trattatello ebbe in ambedue le redazioni (la lunga e la breve): da lì derivano numerose vite dantesche variamente accurate e attendibili, per lo più inserite in rassegne di uomini illustri. Ecco dunque quelle di Filippo Villani, nipote del vecchio cronista, del grammatico Domenico di Bandino, dell’umanista Leonardo Bruni, del coltissimo mercante e banchiere Giannozzo Manetti, del notaio friulano Marcantonio Nicoletti già sul declinare del Cinquecento. Sono questi sette i testi scelti dai curatori tra i numerosi possibili profili biografici danteschi che si succedono lungo i due secoli e mezzo presi in considerazione.
Colpisce comunque che pur essendo, le antiche vite dell’Alighieri, preziose nel restituirci informazioni ravvicinate sul poeta e sulla ricezione delle sue opere, esse siano anche portatrici di notevoli lacune ed errori destinati a resistere nel tempo. Si pensi per esempio alla sequenza delle opere: Giovanni Villani considera che il Convivio e il De vulgari eloquentia siano opere rimaste incompiute a causa della morte prematura del loro autore, e lo stesso Boccaccio colloca i due trattati nella vecchiaia, mentre oggi sappiamo che ambedue precedono la composizione della Commedia. Senza dire delle numerose leggende che riguardano la genesi del poema: Boccaccio ne attribuisce l’ispirazione (i primi sette canti) all’attività di governo nella repubblica, ben prima dell’esilio (i canti sarebbe stati poi rinvenuti e fatti reperire all’autore rifugiato in Lunigiana). Altre informazioni non si possono né smentire né confermare, come il viaggio a Parigi narrato da Boccaccio: «E già vicino alla sua vecchiezza n’andò a Parigi, dove, con tanta gloria di sé, disputando, più volte mostrò l’altezza del suo ingegno».
Le questioni più aneddotiche sono gustose. Per esempio, al discredito di Boccaccio per la moglie Gemma Donati (mai citata per nome, essendo ritenuta, in quanto donna, «contraria» agli studi del marito) si oppone Bruni, che nel difendere «la gentil donna della nobile famiglia de’ Donati» accusa il Certaldese di avere indugiato troppo sulle pene d’amore di Dante a discapito di argomenti più seri. Ma senza Boccaccio non avremmo il più pregnante ritratto fisico di Dante: media statura, portamento «curvetto», andatura grave, volto lungo, naso aquilino, occhi e mascelle grandi, labbro inferiore sporgente. Secondo il Trattatello, le donne veronesi, vedendo camminare Dante per la città con i suoi capelli neri e crespi come la barba e con il suo incarnato scuro, non dubitavano sulla discesa del Poeta dagli inferi. Probabilmente mediata dalla testimonianza di Andrea Poggi, nipote dell’Alighieri, la fisionomia dantesca così come fu restituita dal Boccaccio avrebbe avuto notevole fortuna sia sul piano letterario sia sul piano iconografico.
A proposito dell’iconografia, basti uno spunto. Sulla figura che compare nel famoso affresco giottesco situato nella cappella del Palazzo del Podestà a Firenze, realizzato nel 1337, scialbato nel ’500 e infine riscoperto e rivalutato nel 1840, si sofferma in particolare lo studio di Sonia Chiodo. Che parla di «un capolavoro di diplomazia»: era quello, infatti, il luogo in cui venivano accolti i colpevoli prima di incamminarsi verso il patibolo e il Poeta, condannato a morte dalla sua città nel 1302, era stato un peccatore che aveva espiato e che adesso finalmente poteva contare nella riabilitazione. Per questo, collocato tra gli eletti, tiene tra le mani lo stesso ramoscello di pomi, simbolo biblico, che si ritrova nella Commedia a rappresentare l’approdo finale del viaggio intrapreso nell’Inferno sotto la guida di Virgilio.
Appuntamenti. La monografia tradotta in francese e la conferenza
Si svolgerà giovedì 16 novembre alla Maison de la Recherche de la Sorbonne a Parigi (rue des Irlandais 4) una «giornata dantesca». L’incontro è stato ideato in occasione dell’uscita, presso Belles Lettres, della traduzione francese della monografia di Enrico Malato sull’Alighieri pubblicata in Italia da Salerno editrice. La giornata è organizzata dalla Société Dantesque de France e dal centro di ricerca sulla letteratura italiana del Medioevo (Cer-Lim). Malato terrà una conferenza dal titolo «Attualità d’un Dante europeo».
La presentazione dell’ultimo volume della «Nuova edizione commentata delle opere di Dante» (Necod) sulle vite di Dante e l’iconografia dantesca, edita dal Centro Pio Rajna, si terrà giovedì 23 novembre alla Biblioteca Ambrosiana di Milano (ore 17.30, Sala XXIII). Interverranno, oltre ai curatori, Marco Petoletti e Angelo Stella introdotti da Armando Torno.
«Corriere della sera» del 12 novembre 2017
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