I diritti dei cittadini
di Enrico Marro
La norma che regola gli scioperi e i disagi per i cittadini
Ancora una volta uno sciopero proclamato da un sindacato minoritario riesce a fermare la metropolitana nella capitale. Ancora una volta di venerdì. Ancora una volta lasciando un profondo senso di rabbia e impotenza nei cittadini vittime di questi disagi. Cittadini che non hanno alcuna colpa del conflitto tra aziende e sindacati, ma ne pagano il prezzo, subendo danni concreti: giornate e appuntamenti di lavoro che saltano; visite mediche cui si deve rinunciare o che si raggiungono prendendo taxi costosi; anziani che devono chiamare figli o nipoti per farsi accompagnare in macchina. A Roma, ha ricordato il garante per gli scioperi nei servizi pubblici, Roberto Alesse, quello di ieri è stato il sedicesimo sciopero del trasporto locale dall’inizio dell’anno: quasi due al mese. Su tutto il territorio nazionale, nello stesso settore, ne sono stati proclamati 255, di cui 193 effettuati. Alla base delle proteste il mancato rinnovo del contratto di lavoro, scaduto da ben otto anni. Nella capitale, con l’aggravante che a circa un migliaio di lavoratori di Roma Tpl, consorzio di aziende private che gestisce parte del trasporto, non veniva più pagato lo stipendio da luglio. Motivi seri, dunque. E responsabilità pesanti dei datori di lavoro e dell’amministrazione capitolina.
L’Italia, fin dal 1990, si è dotata di una legge, la 146 sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, per molti versi avanzata e severa, se confrontata a livello internazionale. N el nostro Paese non sono possibili scioperi ad oltranza, improvvisi, totali. Serve un preavviso, devono essere garantiti dei servizi minimi, vanno rispettati intervalli di tempo tra un’astensione del lavoro e la successiva, non sono possibili sovrapposizioni che paralizzino funzioni fondamentali della vita collettiva (nei trasporti, per esempio, non possono scioperare insieme treni e aerei). La legge ha cioè cercato di «contemperare», come dissero allora gli autori della normativa tra i quali Gino Giugni, il diritto allo sciopero tutelato dalla Costituzione e i diritti dei cittadini e degli utenti di vedersi assicurati servizi fondamentali (dai trasporti alla salute all’istruzione) anch’essi tutelati dalla Carta fondamentale. Del resto, lo stesso articolo 40 della Costituzione dice che «Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano».
La 146, però, ha disciplinato le modalità di svolgimento dello sciopero, ma non quelle di proclamazione. Così, ancora oggi, nulla impedisce anche a un sindacato microscopico di indire un’astensione dal lavoro, alterando proprio quell’equilibrio tra interessi diversi che la legge del 1990 voleva tutelare. Succede così, come è accaduto di nuovo ieri, che un sindacato minoritario possa paralizzare un servizio pubblico essenziale, grazie al fatto che per bloccare la metro basta che incroci le braccia una piccola parte degli addetti. È evidente a tutti che in questo caso c’è una sproporzione tra chi innesca la protesta e le conseguenze della stessa, spesso poi amplificate dall’effetto annuncio.
Ecco perché, senza nulla togliere alle ragioni di chi ieri ha scioperato a Roma (ma anche a Firenze e in altre città), è necessario un nuovo intervento per ristabilire un equilibrio non solo nel modo in cui lo sciopero nei servizi pubblici essenziali può svolgersi, ma anche nel modo in cui esso si proclama. Nella commissione Lavoro del Senato sono da tempo in discussione varie proposte di legge. Due in particolare, quella dell’ex ministro Maurizio Sacconi (Area popolare) e quella del giuslavorista Pietro Ichino (Pd), affrontano il problema, prevedendo, limitatamente al settore dei trasporti pubblici, che lo sciopero possa essere proclamato da sindacati che rappresentino la maggioranza dei lavoratori (o comunque una soglia minima), altrimenti sarebbe necessario sottoporre la proposta al referendum tra tutti i lavoratori interessati; una regola presente, sottolinea lo stesso Ichino, in Germania, nel Regno Unito, in Spagna. Il 26 luglio scorso, sul Corriere della Sera , nell’intervista a Lorenzo Salvia, il ministro dei Trasporti Graziano Delrio ha promesso che il governo avrebbe sostenuto l’approvazione in Parlamento di queste proposte. Ora bisogna accelerare.
L’Italia, fin dal 1990, si è dotata di una legge, la 146 sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, per molti versi avanzata e severa, se confrontata a livello internazionale. N el nostro Paese non sono possibili scioperi ad oltranza, improvvisi, totali. Serve un preavviso, devono essere garantiti dei servizi minimi, vanno rispettati intervalli di tempo tra un’astensione del lavoro e la successiva, non sono possibili sovrapposizioni che paralizzino funzioni fondamentali della vita collettiva (nei trasporti, per esempio, non possono scioperare insieme treni e aerei). La legge ha cioè cercato di «contemperare», come dissero allora gli autori della normativa tra i quali Gino Giugni, il diritto allo sciopero tutelato dalla Costituzione e i diritti dei cittadini e degli utenti di vedersi assicurati servizi fondamentali (dai trasporti alla salute all’istruzione) anch’essi tutelati dalla Carta fondamentale. Del resto, lo stesso articolo 40 della Costituzione dice che «Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano».
La 146, però, ha disciplinato le modalità di svolgimento dello sciopero, ma non quelle di proclamazione. Così, ancora oggi, nulla impedisce anche a un sindacato microscopico di indire un’astensione dal lavoro, alterando proprio quell’equilibrio tra interessi diversi che la legge del 1990 voleva tutelare. Succede così, come è accaduto di nuovo ieri, che un sindacato minoritario possa paralizzare un servizio pubblico essenziale, grazie al fatto che per bloccare la metro basta che incroci le braccia una piccola parte degli addetti. È evidente a tutti che in questo caso c’è una sproporzione tra chi innesca la protesta e le conseguenze della stessa, spesso poi amplificate dall’effetto annuncio.
Ecco perché, senza nulla togliere alle ragioni di chi ieri ha scioperato a Roma (ma anche a Firenze e in altre città), è necessario un nuovo intervento per ristabilire un equilibrio non solo nel modo in cui lo sciopero nei servizi pubblici essenziali può svolgersi, ma anche nel modo in cui esso si proclama. Nella commissione Lavoro del Senato sono da tempo in discussione varie proposte di legge. Due in particolare, quella dell’ex ministro Maurizio Sacconi (Area popolare) e quella del giuslavorista Pietro Ichino (Pd), affrontano il problema, prevedendo, limitatamente al settore dei trasporti pubblici, che lo sciopero possa essere proclamato da sindacati che rappresentino la maggioranza dei lavoratori (o comunque una soglia minima), altrimenti sarebbe necessario sottoporre la proposta al referendum tra tutti i lavoratori interessati; una regola presente, sottolinea lo stesso Ichino, in Germania, nel Regno Unito, in Spagna. Il 26 luglio scorso, sul Corriere della Sera , nell’intervista a Lorenzo Salvia, il ministro dei Trasporti Graziano Delrio ha promesso che il governo avrebbe sostenuto l’approvazione in Parlamento di queste proposte. Ora bisogna accelerare.
«Corriere della sera» del 3 ottobre 2015
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