Far leggere a scuola anche poeti più recenti e non fare più leva solo sull’emotività
Sul numero de «la Lettura» in edicola fino al 14 agosto, Paolo Di Stefano traccia una mappa della poesia oggi, che sarebbe in piena salute anche grazie a editori coraggiosi. Qui, sull’argomento, ospitiamo un intervento di Alberto Casadei, critico e docente di Letteratura italiana all’Università di Pisa
Sul numero de «la Lettura» in edicola fino al 14 agosto, Paolo Di Stefano traccia una mappa della poesia oggi, che sarebbe in piena salute anche grazie a editori coraggiosi. Qui, sull’argomento, ospitiamo un intervento di Alberto Casadei, critico e docente di Letteratura italiana all’Università di Pisa
di Alberto Casadei
Ho sempre considerato molto significativo, sui destini della poesia in Italia, un piccolo episodio raccontato da Mike Bongiorno in una sua intervista televisiva. Pare che, quando presentava «Lascia o raddoppia», un giorno capitasse negli studi Giuseppe Ungaretti, che il giovane Mike non conosceva nemmeno di nome. Notò comunque il grande ossequio che tutti i tecnici e in generale i presenti profondevano verso questo signore già un po’ attempato, e capì che anche lui si doveva adeguare.
La nuova cultura massmediatica e quella umanistica s’incrociarono per un momento, e la seconda riceveva ancora il massimo rispetto dalla prima. Se adesso, mezzo secolo dopo, non è più nemmeno lontanamente così e se la poesia italiana non trova un consenso sociale credo dipenda da un insieme di fattori. Per molto tempo l’oggettiva difficoltà dei testi ha fatto preferire quelli per musica, che in Italia sono stati spesso di ottimo livello, dal pop di Mogol agli stili di cantautori raffinati come Conte o Fossati. Però in altre nazioni, come la Francia, la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, il circuito scolastico è riuscito a far mantenere un grande rispetto per la poesia classica e ad alimentare la lettura di quella contemporanea.
Da noi questo è stato molto difficile, soprattutto a causa di programmi rigidi che non favorivano la conoscenza dei poeti del secondo dopoguerra, anche solo attraverso un testo esemplare. Chi arriva all’università, pur iscrivendosi a corsi di laurea umanistici, spesso non ha mai sentito nemmeno nominare Vittorio Sereni o Andrea Zanzotto, e quasi mai perciò sente il bisogno di andare a leggere poeti contemporanei. Così io vedo attualmente un notevole problema, che ho già segnalato in un mio libro recente (Letteratura e controvalori, Donzelli 2014). Si tratta di ricostruire un pubblico di lettori di poesia che sia prima di tutto competente e non solo portato a seguire l’emotività o la facilità, che spesso dominano nelle scelte più diffuse, che siano i testi di Venditti, del Volo o di Alda Merini. Né si può affermare che sia la leggibilità a essere l’unico discrimine per una buona diffusione di una raccolta poetica: posso garantire che gli studenti si appassionano alla Primavera hitleriana, che componimento facile certo non è, purché si faccia capire loro la sua grandezza e anche la necessità di quella scrittura.
Persino liriche del tutto oscure, come quelle di Amelia Rosselli, possono essere apprezzate, se si riesce a far cogliere la loro sostanza drammaticamente umana: spesso invece vengono proposte poesie scritte in laboratorio, soltanto cerebrali, e le si impone come modelli unici. Ma attualmente, per ricreare un pubblico, occorre davvero aprirsi a ipotesi diverse e infatti alcuni sondaggi indipendenti, come quelli svolti per il premio Dedalus-Pordenonelegge, dimostrano che c’è grande attenzione per stili molto differenti tra loro come quelli di Milo De Angelis o Mario Benedetti, Antonella Anedda o Franco Buffoni, Maurizio Cucchi o Valerio Magrelli. Molti altri nomi si potrebbero aggiungere, ma l’obiettivo vero sarebbe quello di capire come questa ottima poesia possa entrare in circolo, senza bisogno di aiuti esterni o di operazioni calate dall’alto, che non penso servano a molto. Occorre un lavoro di base, per esempio lasciando libertà agli insegnanti delle scuole superiori di scegliere testi anche recentissimi per spiegare le forme della poesia, e costruendo poi percorsi che possano condurre anche a un incontro gli autori, oppure a un confronto con altri studenti di altre scuole.
Creare una massa significativa che sappia perché vale la pena di leggere in profondità, e non solo surfing, un testo poetico contribuirebbe a ricreare un interesse e un consenso non artificiali. Occorre però anche la capacità di trovare poesie che rappresentino il noi e non solo l’io. Quando leggo Nel sonno di Sereni io riconosco uno spaccato dell’Italia dalla Resistenza sino agli anni Sessanta: ecco una lirica non ideologica o di buoni sentimenti, ma che costringe a prendere atto del nostro presente. Individuare testi come questo e sostenerli nei giornali e nei blog sarebbe già un bel modo per ridare credito alla nostra poesia.
La nuova cultura massmediatica e quella umanistica s’incrociarono per un momento, e la seconda riceveva ancora il massimo rispetto dalla prima. Se adesso, mezzo secolo dopo, non è più nemmeno lontanamente così e se la poesia italiana non trova un consenso sociale credo dipenda da un insieme di fattori. Per molto tempo l’oggettiva difficoltà dei testi ha fatto preferire quelli per musica, che in Italia sono stati spesso di ottimo livello, dal pop di Mogol agli stili di cantautori raffinati come Conte o Fossati. Però in altre nazioni, come la Francia, la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, il circuito scolastico è riuscito a far mantenere un grande rispetto per la poesia classica e ad alimentare la lettura di quella contemporanea.
Da noi questo è stato molto difficile, soprattutto a causa di programmi rigidi che non favorivano la conoscenza dei poeti del secondo dopoguerra, anche solo attraverso un testo esemplare. Chi arriva all’università, pur iscrivendosi a corsi di laurea umanistici, spesso non ha mai sentito nemmeno nominare Vittorio Sereni o Andrea Zanzotto, e quasi mai perciò sente il bisogno di andare a leggere poeti contemporanei. Così io vedo attualmente un notevole problema, che ho già segnalato in un mio libro recente (Letteratura e controvalori, Donzelli 2014). Si tratta di ricostruire un pubblico di lettori di poesia che sia prima di tutto competente e non solo portato a seguire l’emotività o la facilità, che spesso dominano nelle scelte più diffuse, che siano i testi di Venditti, del Volo o di Alda Merini. Né si può affermare che sia la leggibilità a essere l’unico discrimine per una buona diffusione di una raccolta poetica: posso garantire che gli studenti si appassionano alla Primavera hitleriana, che componimento facile certo non è, purché si faccia capire loro la sua grandezza e anche la necessità di quella scrittura.
Persino liriche del tutto oscure, come quelle di Amelia Rosselli, possono essere apprezzate, se si riesce a far cogliere la loro sostanza drammaticamente umana: spesso invece vengono proposte poesie scritte in laboratorio, soltanto cerebrali, e le si impone come modelli unici. Ma attualmente, per ricreare un pubblico, occorre davvero aprirsi a ipotesi diverse e infatti alcuni sondaggi indipendenti, come quelli svolti per il premio Dedalus-Pordenonelegge, dimostrano che c’è grande attenzione per stili molto differenti tra loro come quelli di Milo De Angelis o Mario Benedetti, Antonella Anedda o Franco Buffoni, Maurizio Cucchi o Valerio Magrelli. Molti altri nomi si potrebbero aggiungere, ma l’obiettivo vero sarebbe quello di capire come questa ottima poesia possa entrare in circolo, senza bisogno di aiuti esterni o di operazioni calate dall’alto, che non penso servano a molto. Occorre un lavoro di base, per esempio lasciando libertà agli insegnanti delle scuole superiori di scegliere testi anche recentissimi per spiegare le forme della poesia, e costruendo poi percorsi che possano condurre anche a un incontro gli autori, oppure a un confronto con altri studenti di altre scuole.
Creare una massa significativa che sappia perché vale la pena di leggere in profondità, e non solo surfing, un testo poetico contribuirebbe a ricreare un interesse e un consenso non artificiali. Occorre però anche la capacità di trovare poesie che rappresentino il noi e non solo l’io. Quando leggo Nel sonno di Sereni io riconosco uno spaccato dell’Italia dalla Resistenza sino agli anni Sessanta: ecco una lirica non ideologica o di buoni sentimenti, ma che costringe a prendere atto del nostro presente. Individuare testi come questo e sostenerli nei giornali e nei blog sarebbe già un bel modo per ridare credito alla nostra poesia.
«Corriere della sera» del 10 agosto 2015
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