Sasso e Sofri a confronto con gli aspetti più crudi dell’opera di Machiavelli
di Antonio Carioti
«Il suo pensiero non è assolutamente addomesticabile». Si parla di Niccolò Machiavelli e il giudizio è di uno studioso insigne come Gennaro Sasso, tratto dal suo ben riuscito libro intervista con Antonio Gnoli I corrotti e gli inetti (Bompiani). Non diversamente sull’argomento la pensa Adriano Sofri, che all’autore del Principe ha dedicato il saggio Machiavelli, Tupac e la Principessa (Sellerio). Entrambi i testi fanno i conti senza reticenze con l’asprezza, il raziocinio e la passione che s’intrecciano senza sosta nelle pagine vergate dal grande fiorentino mezzo millennio fa.
Sasso sottolinea gli aspetti più sulfurei di Machiavelli. Il suo radicale anticristianesimo, per esempio, o la difficoltà estrema di ricondurre a una filosofia morale i precetti del Principe, allorché presenta come necessari e lodevoli, nel caso lo richieda la salvezza dello Stato, la slealtà e l’assassinio. Originale poi il modo in cui Sasso interpreta la commedia satirica La mandragola, nella quale Machiavelli mette in scena personaggi corrotti e spregevoli che s’ingegnano per favorire un adulterio. A suo avviso è una sorta di riscrittura del Principe, in cui permane l’impiego dell’astuzia, ma viene meno la grandezza dello scopo, abbassato alla meschinità «dell’espediente sessuale», in una «consapevole degradazione» che rispecchia lo stato dei costumi nell’Italia rinascimentale.
Assai più varie e disorganiche, ma spesso acute, le riflessioni di Sofri, al quale va riconosciuta, checché si pensi del ruolo da lui avuto nell’omicidio Calabresi (personalmente non ho dubbi sulla sua responsabilità politica e morale, mentre ne ho parecchi su quella penale), una statura intellettuale fuori del comune. L’ex leader di Lotta Continua si confronta con lo scoperto maschilismo del Principe, dove non solo si dice che la fortuna è donna, quindi va presa con la forza, ma si presentano le mogli dei sudditi maschi come loro proprietà, al pari dei beni materiali, che il principe (cui si addice a volte la crudeltà, mai l’ingordigia di sesso e denaro) deve rispettare. Al tempo stesso Sofri respinge «la mania di applicare il machiavellismo a ogni ambito dell’esistenza umana», poiché i consigli più crudi del Principe sono strettamente connessi alla responsabilità terribile di chi ha nella mani le sorti di un’intera comunità.
Consapevole che forza e politica non possono essere dissociate, Sofri critica senza sconti il pacifismo pregiudizialmente antioccidentale. Al tempo stesso lo preoccupa la sintonia tra poteri economici transnazionali e regimi dispotici (tipo quello cinese) nel contesto di una globalizzazione che non sembra propensa a esportare la democrazia, quanto piuttosto a importare l’autocrazia. D’altronde, soggiunge, forse il problema è proprio lo Stato in sé, la sua pretesa congenita di farsi arbitro del bene e del male, mentre sarebbe necessario costruire nuove forme di convivenza, votate alla riduzione del danno. Spunta così nelle pagine finali l’ideale leopardiano della Ginestra, riletto in chiave ecologica, con la speranza che gli uomini sappiano convergere nella «riparazione solidale» dei guasti provocati dalla natura e di quelli che noi abbiamo arrecato a lei. Rinnegata l’illusione perniciosa che la società sia plasmabile a piacere, ormai lontanissimo dagli antichi furori rivoluzionari, Sofri non rinuncia coltivare una vena utopistica. Anche quando si misura con un realista per eccellenza come Machiavelli.
Adriano Sofri, Machiavelli, Tupac e la Principessa, Sellerio 2013, pp. 348, € 14
Antonio Gnoli, Gennaro Sasso, I corrotti e gli inetti. Conversazioni su Machiavelli, Bompiani 2013, pagine 208, € 11
Sasso sottolinea gli aspetti più sulfurei di Machiavelli. Il suo radicale anticristianesimo, per esempio, o la difficoltà estrema di ricondurre a una filosofia morale i precetti del Principe, allorché presenta come necessari e lodevoli, nel caso lo richieda la salvezza dello Stato, la slealtà e l’assassinio. Originale poi il modo in cui Sasso interpreta la commedia satirica La mandragola, nella quale Machiavelli mette in scena personaggi corrotti e spregevoli che s’ingegnano per favorire un adulterio. A suo avviso è una sorta di riscrittura del Principe, in cui permane l’impiego dell’astuzia, ma viene meno la grandezza dello scopo, abbassato alla meschinità «dell’espediente sessuale», in una «consapevole degradazione» che rispecchia lo stato dei costumi nell’Italia rinascimentale.
Assai più varie e disorganiche, ma spesso acute, le riflessioni di Sofri, al quale va riconosciuta, checché si pensi del ruolo da lui avuto nell’omicidio Calabresi (personalmente non ho dubbi sulla sua responsabilità politica e morale, mentre ne ho parecchi su quella penale), una statura intellettuale fuori del comune. L’ex leader di Lotta Continua si confronta con lo scoperto maschilismo del Principe, dove non solo si dice che la fortuna è donna, quindi va presa con la forza, ma si presentano le mogli dei sudditi maschi come loro proprietà, al pari dei beni materiali, che il principe (cui si addice a volte la crudeltà, mai l’ingordigia di sesso e denaro) deve rispettare. Al tempo stesso Sofri respinge «la mania di applicare il machiavellismo a ogni ambito dell’esistenza umana», poiché i consigli più crudi del Principe sono strettamente connessi alla responsabilità terribile di chi ha nella mani le sorti di un’intera comunità.
Consapevole che forza e politica non possono essere dissociate, Sofri critica senza sconti il pacifismo pregiudizialmente antioccidentale. Al tempo stesso lo preoccupa la sintonia tra poteri economici transnazionali e regimi dispotici (tipo quello cinese) nel contesto di una globalizzazione che non sembra propensa a esportare la democrazia, quanto piuttosto a importare l’autocrazia. D’altronde, soggiunge, forse il problema è proprio lo Stato in sé, la sua pretesa congenita di farsi arbitro del bene e del male, mentre sarebbe necessario costruire nuove forme di convivenza, votate alla riduzione del danno. Spunta così nelle pagine finali l’ideale leopardiano della Ginestra, riletto in chiave ecologica, con la speranza che gli uomini sappiano convergere nella «riparazione solidale» dei guasti provocati dalla natura e di quelli che noi abbiamo arrecato a lei. Rinnegata l’illusione perniciosa che la società sia plasmabile a piacere, ormai lontanissimo dagli antichi furori rivoluzionari, Sofri non rinuncia coltivare una vena utopistica. Anche quando si misura con un realista per eccellenza come Machiavelli.
Adriano Sofri, Machiavelli, Tupac e la Principessa, Sellerio 2013, pp. 348, € 14
Antonio Gnoli, Gennaro Sasso, I corrotti e gli inetti. Conversazioni su Machiavelli, Bompiani 2013, pagine 208, € 11
«Corriere della Sera» del 26 febbraio 2014
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