21 dicembre 2013

Scienza rigorosa per l’uomo. Regole, non camicie di forza

di Augusto Pessina *
Il caso Stamina sembra divenuto una partita di calcio con tifosi disposti a tutto da entrambe le parti e pare aver fatto perdere la ragione a molti tra genitori di bimbi malati, scienziati, politici e giudici. Ma potrebbe aiutarci a riflettere su alcuni mali della cosiddetta "biomedicina sensazionale". Dietro le diverse posizioni (sia giuste sia sbagliate) stanno problemi, domande e interessi spesso in conflitto tra loro. Un coacervo di questioni che rende difficile dipanare la matassa. La semplificazione non aiuta perché può portare a gravi ed errate conclusioni, comode solo per chi specula sul dolore della gente. L’analisi richiede paziente razionalità, buona dose di realismo, un po’ di umiltà e di coraggio per affrontare adeguatamente i problemi che stanno dietro e dentro quanto accade.
Aiuta a comprendere la complessità di cui ho detto l’elenco (senza entrare nel merito) di alcuni dei principali aspetti della vicenda.

1. Le regole di una seria ricerca medica: dallo studio "in vitro" alla ricerca preclinica in animale fino alla sperimentazione clinica umana. La"sperimentazione clinica" non è ancora una "cura".

2. La cosiddetta terapia cellulare non è considerata alla stregua di un semplice trapianto ma un trattamento farmacologico. Questa scelta della agenzia regolatoria europea comporta l’applicazione di una serie di regole e procedure di produzione, di controllo e di conservazione sovrapponibili a quelle adottate nell’industria per la produzione di farmaci di natura chimica.

3. L’efficacia di una terapia deve essere validata e il rischio danno/beneficio attentamente considerato per garantirne la sicurezza. Non si risponde alle aspirazioni di cura con trattamenti che non danno questa garanzia. Ciò che riportano i pazienti circa miglioramenti o guarigioni fa parte di una vulgata acritica che nulla ha di scientifico per validare una terapia. Perfino la Chiesa di fronte a "presunti miracoli" pretende una istruttoria rigorosissima per escludere valutazioni false o legate a suggestione .

4. L’applicazione di queste regole e procedure esige strutture adeguate, costose e tempo. Le scorciatoie intraprese sono spesso pericolose (vedi il fenomeno del cosiddetto "turismo medico", che non dà garanzie di sicurezza ai pazienti e provoca danni).

5. L’ambiguo e fuorviante termine "cura compassionevole" va inteso correttamente. Con questa formula è facile speculare e indurre l’idea che in situazioni per le quali non si vede via di uscita ci si può rivolgere all’accademia del "proviamo anche questa e vediamo se funziona". Non va nemmeno confusa con la terapia del dolore o con trattamenti di supporto che non sono terapie, ma sostegni vitali necessari. Sì può ritenere compassionevole (se ha senso un tale termine) una terapia applicata in situazioni la cui utilità è probabilmente nulla o discutibile. Ciò però a fronte del fatto essenziale che sia una "terapia" che sappiamo efficace in altre situazioni o patologie o in un stadi precoci della patologia.

Analizzando ora gli eventi che conosciamo (senza intervenire sugli ultimi atti del Tar) appare evidente che le questioni sopra riportate si sono composte in modo tale da creare una grande confusione. E in uno stato confusionale è facile il rischio di fughe in avanti pericolose ma anche di difese d’ufficio dello status quo senza capacità critica per fare progressi. Gli elementi di cui si ha conoscenza sembrano suggerire che qualcuno ha autorizzato questi trattamenti contravvenendo le regole vigenti, e che le preparazioni cellulari non sarebbero avvenute secondo quanto le rigorose procedure prevedono a riguardo di ambiente e controlli di qualità previsti per legge dalle norme di buona prassi di manifattura (Gmp). Da qui l’intervento della agenzia Aifa.
Ma non basta: i dati di efficacia e sicurezza di tale schema terapeutico non sono disponibili alla comunità scientifica se non come testimonianza orale di persone vicino ai pazienti. Inoltre, i risultati ottenuti con protocolli simili hanno dato esito negativo per quanto riguarda l’efficacia (Neuromuscular Disorders, 22, 2012). Manca infine una base scientifica su cui poggiare una ragionevole possibilità di azione terapeutica di questo protocollo (peraltro non chiaro e discutibile) in patologie come quelle di cui si parla. Un aspetto drammaticamente importante è rappresentato dal clima generale in cui questa vicenda dolorosa accade.
Attraversiamo un periodo in cui l’opinione pubblica è esasperata dalla situazione di crisi e dalla scarsa attenzione ai problemi della gente da parte di molti rappresentanti delle istituzioni, più inclini a parlare che ad agire. Ne consegue la tendenza a considerare con sospetto e ostilità tutto ciò che l’istituzione propone o difende, col rischio di considerare valida ogni proposta "contro" il sistema. In ciò ha un suo ruolo anche un certo risentimento verso la cosiddetta medicina ufficiale considerata da molti (non sempre a torto) una casta arroccata a difendere interessi e privilegi personali. Purtroppo, in certe situazioni non si può negare che la resistenza al nuovo nasca dal vedere attaccato un consolidato prestigio, anche economico.
Il caso Stamina trova in questi elementi un humus di crescita che gli porta consenso sociale non meritato, visto che sembra soffrire della stessa malattia che alimenta demagogia e attacchi senza trasparenza sul valore scientifico e clinico di quanto propone. Gli attacchi della rivista Nature all’Italia per l’ambigua gestione non hanno affatto giovato a capire. La neonata rivista CellR4 (giornale ufficiale di Cure Alliance) ha tentato di porre interrogativi sui temi regolatori, ma essi sono sembrati ispirati dalla volontà di utilizzare il caso Stamina al solo scopo di abbassare la guardia e allargare le maglie nell’ambito delle terapie cellulari per attività private.
Anche la lettera inviata da Stamina a papa Francesco è stata percepita da molti una speculazione sulla sofferenza. In questo clima è facile promettere l’impossibile proponendo cure per malattie incurabili.
Appare davvero anomalo che si richiamino principi di validità scientifica per pannolini, detersivi e dentifrici, ma si rinunci ad applicarli quando si tratta della vita e della sofferenza di pazienti affetti da gravissime patologie. Anche le prese di posizione governative e della magistratura rischiano di essere determinate da sentimenti, e non basati su elementi oggettivi delle ricerca clinica su queste patologie.
In tale situazione va comunque detto che possono esserci ragioni valide per una discussione sulle regole. Non si tratta di dare al metodo Stamina un "lasciapassare" ma, al contrario, di mettere in atto con una seria metodologia l’analisi della situazione generale e discuterla nei luoghi adeguati, come le agenzie regolatorie, i ricercatori e i clinici competenti. È possibile anche discutere ciò che l’Europa ha stabilito in materia, ma lo si deve fare a un livello scientificamente serio.
È fuor di dubbio che le regole attuali circa le terapie cellulari siano molto rigide, ma la soluzione non è nella loro abrogazione quanto piuttosto nel tenere alta la guardia sui controlli rivedendo gli aspetti che rischiano di ingessare la ricerca in modo tale da non permetterne passi significativi. Questo aspetto cruciale – oggetto di dibattito anche da parte di ricercatori – deve essere seriamente approfondito e discusso.
L’agenzia regolatoria deve garantire la sicurezza senza trasformare il sistema di regole in un apparato che soffochi il corretto e utile sviluppo di questo tipo di terapie. Ciò potrebbe anche contribuire a limitare gli elevatissimi costi che appaiono anche poco sostenibili dal sistema sanitario. Il buon senso e la giusta valutazione del rischio-beneficio possono garantire la sicurezza senza ingessare completamente i processi in forme tali da vanificarne l’applicazione.
*Coordinatore Gruppo italiano staminali mesenchimali - Università di Milano
«Avvenire» del 19 dicembre 2013

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