08 ottobre 2013

«Si può vivere bene a 90 anni. Il segreto è ritrovarsi in armonia con la memoria»

Il sociologo: il tempo che scorre e il significato dell'esistenza
di Domenico De Masi
Da Sofocle ai giorni nostri: il viatico per la serenità
Sempre un suicidio impressiona, perché ha la forza di parlare, contemporaneamente, sia al nostro inconscio, sia alla nostra sfera cosciente. Ha la forza di confonderci perché le domande che pone sono più delle domande cui risponde. Comunque il suicidio esprime, in chi lo consuma, un bisogno inconscio di entrare nel mito, di trovare, attraverso la morte, un'identità più forte di quella che si attingerebbe morendo involontariamente. Colpisce soprattutto il suicidio dei bambini (una triste novità dei nostri tempi) perché si sottraggono all'esperienza, e il suicidio dei vecchi perché ci sottraggono la memoria. Un vecchio che si uccide crea un vuoto panico perché distrugge il tesoro dei suoi ricordi: quel patrimonio denso di consapevolezze dal quale, secondo i Greci, nasceva la storia e l'architettura, la poesia, la danza e tutte le altre arti, fondate sui valori positivi del diletto e della virtù.Un vecchio si suicida quando, nell'eterno conflitto tra eros e thànatos, nella lotta tra questi due giganti che - secondo Freud - «le nutrici cercano di placare cantando una ninna nanna che parla del cielo», vince la stanchezza di vivere. Per evitare questa tentazione di una fine traumatica, occorre riconciliarsi con la propria memoria, con la propria cerchia di parenti ed amici, con il significato stesso della vita. Sofocle aveva 84 anni quando decise, per nostra fortuna, di insegnarcene la strada. Venti anni prima, nel pieno della sua maturità, aveva scritto l'Edipo re, in cui l'eroe, venuto a conoscenza dei crimini commessi pur senza saperlo, si cava gli occhi e prende la via dell'esilio. Dopo avere vagato tutta la vita, amorevolmente assistito dalle figlie Antigone e Ismene, giunge in un boschetto non lontano da Atene. E qui, venti anni dopo, Sofocle ambienta Edipo a Colono, un inno alla sua e alla nostra vecchiaia.
La riflessione di una vita ha portato Edipo a concludere che non basta la responsabilità per essere in colpa. Quando uccise il padre e sposò la madre, non conosceva la loro identità, dunque non si macchiò di nessun peccato e, accecandosi, espiò molto più di quanto avesse dovuto. L'esperienza e la riflessione gli hanno fatto capire che la colpa non risiede nell'azione, ma nel cuore.
Il vecchio re, finalmente consapevole della sua innocenza, è in grado di capire, e soprattutto di far capire a chi lo circonda, di quale ordine morale abbiamo bisogno vivendo in una società confusa. Per conseguire questa capacità di orientamento, ogni vecchio deve venire a patti con la propria esperienza, per quanto terribile essa sia. È questo il momento in cui, senza la forza che ci può venire dagli amici e dai parenti, l'auto-distruttività rischia di prevalere. Secondo l'oracolo, la terra che avrebbe accolto il corpo di Edipo sarebbe stata baciata dalla vittoria. Edipo si appoggia al braccio caritatevole delle figlie e va a morire, serenamente, dentro le mura accoglienti di Atene. Qui il vecchio Sofocle ci offre il viatico per la felicità. Riconciliato con se stesso, consapevole della forza miracolosa contenuta nel suo corpo e del dono che egli fa offrendo se stesso alla città amica, Edipo, che in un momento disperato si era tolto la vista, ora dona agli ateniesi la speranza di un futuro trionfante e pacificato. La tragedia termina raccontando il distacco di Edipo dalla sua riconquistata comunità: «L'ha preso con sé un messaggero degli dei; o si è aperto per lui, benignamente, senza dolore, il vuoto della terra. Se n'è andato senza gemiti, senza affanni, senza sofferenza. Una cosa meravigliosa!».
Qualche tempo fa ho ascoltato un ministro che, per giustificare la mancanza di posti di lavoro, aizzava una folla di giovani contro i vecchi, responsabili, a suo dire, di avere scialacquato le risorse proprie e dei propri figli. Credo di non avere mai assistito, nella mia vita, a un peccato più grave di quello commesso impunemente da questo ministro privo di pietas, che diabolicamente contrapponeva le generazioni invece di ricomporle in una collettività armonica. In una società disorientata, dove si è smarrito il discrimine tra bene e male, bello e brutto, vivo e morto, locale e globale, nomade e stanziale, scienza e fede, solo la saggezza della vecchiaia può ripristinare questa armonia.
«Corriere della Sera» del 7 ottobre 2013

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