Dibattito più aperto sulla legge al vaglio della Camera
di Francesco Belletti *
L’esame parlamentare della proposta di legge contro l’omofobia e la transfobia sta per entrare nel vivo e il tempo per un dibattito serio e approfondito, ma soprattutto non ideologico, sembra ormai ridotto. Questo nonostante nella scorsa legislatura, per ben due volte, su un provvedimento analogo la Camera abbia riconosciuto pregiudiziali di costituzionalità (in altre parole, la proposta di legge è stata dichiarata incostituzionale prima dell’approvazione). Ma evidentemente c’è molta urgenza di approvare questo provvedimento, anche a rischio di dividere il Parlamento e far tremare il governo, anche senza aprire un serio dibattito sociale e affrontando con leggerezza tutte le possibili conseguenze.
L’omofobia va certamente combattuta sul piano giuridico e culturale, ma questo non mette al riparo da critiche il provvedimento in esame. Una delle criticità è contenuta nella definizione di orientamento sessuale e di identità di genere. Se sull’orientamento sarebbe possibile, in teoria, arrivare a una definizione giuridicamente valida, la definizione di identità di genere quale «percezione che una persona ha di sé come appartenente al genere femminile o maschile, anche se opposto al proprio sesso biologico» introduce un elemento di assoluta soggettività, difficilmente compatibile con il fondamentale principio della certezza del diritto. Proprio per questa soggettività, non condividiamo l’introduzione di una tutela rafforzata – appunto "soggettiva" – per le persone omosessuali o transessuali. L’articolo 3 della Costituzione saggiamente ci definisce tutti uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.
Ora, qualcuno vorrebbe imporre per legge che vi siano persone, in ragione del loro orientamento sessuale, "più uguali" delle altre. A nostro avviso, invece, gli strumenti di tutela per le persone omosessuali, come per altre categorie di soggetti "svantaggiati", sono già presenti nel nostro ordinamento. Non sentiamo dunque la necessità di introdurre questa tutela rafforzata per omosessuali e transessuali. Peraltro, gioverebbe sapere per quale motivo gli omosessuali e i transessuali sono da considerarsi – o si considerano – soggetti svantaggiati. Ma allora, non è forse soggetto svantaggiato la famiglia, che è costretta a subire maltrattamenti continui da parte dello Stato, dimenticata quando c’è da "dare" sostegno, ma sempre in prima fila quando c’è da "chiedere" e "incassare" tasse? Ecco, se c’è qualcuno di veramente discriminato, è la famiglia fondata sul matrimonio, tutelata a parole dalla Costituzione e nei fatti assente dall’azione di Parlamento e governo. C’è un altro, gravissimo aspetto già ampiamente segnalato da molti giuristi: l’approvazione di questa proposta di legge potrebbe comportare il divieto di esprimere il proprio giudizio etico, antropologico, sociale sul fenomeno "omosessualità". Inevitabile il contrasto con l’articolo 21 della Costituzione che garantisce a chiunque il diritto – questo sì – inviolabile di manifestare liberamente il proprio pensiero. Davvero vogliamo diventare come la Francia e la Spagna, dove l’ideologia ha colpito così forte al cuore il linguaggio che non si dice più "padre" e "madre", ma "genitore A" e "genitore B"? Infine, c’è una questione sociale e antropologica che riteniamo più importante di tutte: quale modello di società e di cultura deve promuovere lo Stato, quale etica e morale deve o non deve essere trasmessa alle future generazioni? Vale davvero la pena, su temi di questa portata, rispolverare un vecchio principio che ha guidato l’umanità per millenni e che in questi ultimi anni sembra diventato un’eresia: il principio di precauzione. Per queste ragioni ci rivolgiamo al Parlamento per chiedere che questioni così delicate e con così tante implicazioni siano adeguatamente approfondite e che il dibattito non rimanga una questione interna alle Commissioni parlamentari ma si apra anche al contributo di tutti i cittadini.
L’omofobia va certamente combattuta sul piano giuridico e culturale, ma questo non mette al riparo da critiche il provvedimento in esame. Una delle criticità è contenuta nella definizione di orientamento sessuale e di identità di genere. Se sull’orientamento sarebbe possibile, in teoria, arrivare a una definizione giuridicamente valida, la definizione di identità di genere quale «percezione che una persona ha di sé come appartenente al genere femminile o maschile, anche se opposto al proprio sesso biologico» introduce un elemento di assoluta soggettività, difficilmente compatibile con il fondamentale principio della certezza del diritto. Proprio per questa soggettività, non condividiamo l’introduzione di una tutela rafforzata – appunto "soggettiva" – per le persone omosessuali o transessuali. L’articolo 3 della Costituzione saggiamente ci definisce tutti uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.
Ora, qualcuno vorrebbe imporre per legge che vi siano persone, in ragione del loro orientamento sessuale, "più uguali" delle altre. A nostro avviso, invece, gli strumenti di tutela per le persone omosessuali, come per altre categorie di soggetti "svantaggiati", sono già presenti nel nostro ordinamento. Non sentiamo dunque la necessità di introdurre questa tutela rafforzata per omosessuali e transessuali. Peraltro, gioverebbe sapere per quale motivo gli omosessuali e i transessuali sono da considerarsi – o si considerano – soggetti svantaggiati. Ma allora, non è forse soggetto svantaggiato la famiglia, che è costretta a subire maltrattamenti continui da parte dello Stato, dimenticata quando c’è da "dare" sostegno, ma sempre in prima fila quando c’è da "chiedere" e "incassare" tasse? Ecco, se c’è qualcuno di veramente discriminato, è la famiglia fondata sul matrimonio, tutelata a parole dalla Costituzione e nei fatti assente dall’azione di Parlamento e governo. C’è un altro, gravissimo aspetto già ampiamente segnalato da molti giuristi: l’approvazione di questa proposta di legge potrebbe comportare il divieto di esprimere il proprio giudizio etico, antropologico, sociale sul fenomeno "omosessualità". Inevitabile il contrasto con l’articolo 21 della Costituzione che garantisce a chiunque il diritto – questo sì – inviolabile di manifestare liberamente il proprio pensiero. Davvero vogliamo diventare come la Francia e la Spagna, dove l’ideologia ha colpito così forte al cuore il linguaggio che non si dice più "padre" e "madre", ma "genitore A" e "genitore B"? Infine, c’è una questione sociale e antropologica che riteniamo più importante di tutte: quale modello di società e di cultura deve promuovere lo Stato, quale etica e morale deve o non deve essere trasmessa alle future generazioni? Vale davvero la pena, su temi di questa portata, rispolverare un vecchio principio che ha guidato l’umanità per millenni e che in questi ultimi anni sembra diventato un’eresia: il principio di precauzione. Per queste ragioni ci rivolgiamo al Parlamento per chiedere che questioni così delicate e con così tante implicazioni siano adeguatamente approfondite e che il dibattito non rimanga una questione interna alle Commissioni parlamentari ma si apra anche al contributo di tutti i cittadini.
*presidente del Forum delle associazioni familiari
«Avvenire» del 18 luglio 2013
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