di Giuseppe Ghini
Esattamente cinquant'anni fa, con il fragore di uno sparo nella notte, fece la sua comparsa sulla scena letteraria mondiale un nuovo grande scrittore russo, Aleksandr Solzenicyn. Il suo primo racconto lungo, Una giornata di Ivan Denisovic, venne infatti pubblicato alla fine del 1962, dopo lunghe trattative, sulla rivista russa più liberale del tempo, il Novyj mir. La storia della pubblicazione, con il decisivo intervento di Chruscev che vi aveva visto un'esaltazione del lavoro socialista, è cosa nota. Altrettanto noto è il fatto che lo scrittore riuscì a pubblicare ancora un paio di racconti, tra cui La casa di Matrëna all'inizio del 1963, prima che l'onda della destalinizzazione spiaggiasse definitivamente nell'ultimo anno dell'era chruscioviana. Nel giro di pochi mesi, infatti, l'autore del primo testo di letteratura concentrazionaria venne messo al bando e la mannaia della censura calò su tutte le sue opere: in Urss non solo non vennero più stampate, ma vennero perfino ritirate per decreto dalle biblioteche pubbliche.
Può essere interessante chiedersi qual è stato il destino italiano di quei primi racconti che rivelarono al mondo la voce del più noto dissidente russo. Certo, il clima culturale italiano degli anni Sessanta e Settanta del '900 non era propriamente favorevole a Solzenicyn; certo, il conformismo sinistrorso impedì a tanti di leggere senza pregiudizi le sue opere, soprattutto l'Arcipelago Gulag costruito proprio sulla pietra angolare dell'Ivan Denisovic. Ma oggi, cosa ne è oggi? Un giovane italiano che volesse leggere questi primi racconti di Solzenicyn a cinquant'anni dalla loro pubblicazione cosa troverebbe disponibile sul mercato?La situazione è francamente poco consolante.
L'unica edizione attualmente in commercio è quella dell'Einaudi, la quale presenta le traduzioni di Raffaello Uboldi (Ivan Denisovic) e Vittorio Strada (La casa di Matrëna). Ora, pur riempiendo gli scaffali delle biblioteche italiane, nessuna delle due traduzioni corrisponde alla versione definitiva licenziata da Solzenicyn. Com'è comprensibile, infatti, non appena lo scrittore si liberò dal cappio della censura sovietica pubblicò versioni riviste e corrette di entrambi i racconti presso case editrici occidentali. Quando poi tornò in Russia, nel 1994, ne curò la versione definitiva. Di tutto questo, però, non è rimasta traccia nel mercato editoriale italiano che aspetta ancora le traduzioni dal testo non censurato.
Tanto per fare un esempio, la vicenda della Casa di Matrëna, che presentava un detenuto del GULag rilasciato nel 1956 - cioè, in piena epoca chruscioviana - venne retrodatata dai censori al 1953: insomma, era tutta colpa di Stalin! E la versione dell'Einaudi, che pure può contare su di un traduttore come Strada, presenta ancor oggi al lettore italiano queste interpolazioni dovute alla politically correctness chruscioviana. Peraltro, anche l'unica altra traduzione italiana del racconto, ad opera di Piero Panolo, oggi rintracciabile solo in biblioteca, è tratta dalla primissima versione poi rigettata dall'autore.
La situazione dell'Ivan Denisovic è perfino peggiore. Anzitutto, anche qui l'edizione Einaudi è tratta dalla prima versione del testo poi modificata dall'autore (ma lo stesso vale per le traduzioni di Chiara Spano e Giorgio Kraiski, le uniche altre versioni italiane del racconto). Modificata significa che Solzenicyn ha ripristinato la versione originale mediante decine e decine di interventi sul testo. Alcuni di questi, per esempio, restituiscono la visione negativa dei carcerieri che i censori avevano purgato.Si parla, ad esempio, dell'obbligo di togliersi il berretto incontrandoli nel campo. «Quanti ne avevano mandati in cella di punizione per quel berretto, cani maledetti!» - è la versione autentica. «Quanta gente è andata in cella per via del berretto!» - troviamo invece nella traduzione Einaudi. Anonimo e debole. Costringono Ivan Denisovic a lavare il pavimento della stanza delle guardie. «Lavori per le persone, lo fai per benino; lavori per il capo, lo fai per finta» - sentenzia Ivan nella versione autentica. «Per la gente fai le cose bene, per gli stupidi fai solo finta» - è la versione Einaudi. «Capo» invece di «stupidi»: sostituzione non banale. Nella famosa scena della costruzione del muro, scena che portò Chruscev a equivocare il senso dell'intero racconto, incontriamo un detenuto di origine lèttone. Nella versione ripristinata da Solzenicyn si legge: «Kil'digs diventò cattivo. Non amava le sfacchinate. Da loro in Lettonia, diceva, lavoravano tutti lentamente, ed erano tutti ricchi». La versione Einaudi, attribuisce al Lettone un altro nome e perde un'intera frase censurata: «Kilgas diventò rosso di rabbia. Non gli piaceva lavorare a quel ritmo diabolico».
Il problema più grave, però, è che lo stile del testo è stato largamente modificato dal traduttore. Solzenicyn adotta una prosa ellittica, spigolosa, con frasi coordinate indipendenti tra loro (paratassi) e piena di espressioni di registro basso. Molto spesso, invece, la prosa di Uboldi è ampia, rotonda, elegante, con frasi subordinate complesse (ipotassi). «Adesso - tirar su il muro, non c'è via d'uscita: se non vuoti la cassa, domani tutta la cassa finisce ai porci, la calcina diventa pietra, non la cavi neanche col piccone» - scrive Solzenicyn. E Uboldi traduce: «Ormai non c'era altro da fare che continuare ad alzare il muro: se non si vuotava la cassa, il giorno dopo la calcina sarebbe diventata dura come pietra, e non l'avrebbero cavata fuori neppure col piccone». Tutta un'altra cosa.«Ech, glaz - vaterpas» scrive Solzenicyn in tre parole. «Aveva un occhio che era meglio di una bolla d'aria», traduce Uboldi, invece di un più aderente «Eh, che occhio: una livella!».Fermiamoci qui con gli esempi e iniziamo a celebrare Solzenicyn. Sarebbe meglio però se potessimo celebrarlo con una nuova traduzione dei suoi testi sulle versioni definitive approvate dall'autore.
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