Attacco alla libertà religiosa in Occidente
di Carlo Cardia
Tra le notizie degli ultimi giorni merita rilievo quella diffusa e approfondita da Avvenire, per la quale negli Stati Uniti si moltiplicano le iniziative legali per contrastare la normativa che impone l’obbligo anche a organizzazioni religiose di finanziare pratiche contrarie ai princìpi della propria fede, con grave violazione della libertà religiosa, come non avveniva in un Paese occidentale da tanto tempo. È un buon segno che i cittadini si organizzino per far cambiare una legge ingiusta. Ma è un cattivo segno che leggi ingiuste siano approvate dopo decenni dalla proclamazione dei diritti umani, proprio nei Paesi che sono stati la culla e la patria della libertà religiosa e nei quali si susseguono le mortificazioni per i credenti, i cristiani, le rispettive Chiese. Sembra quasi di tornare indietro nella storia, si vede riemergere qualcosa del principio della pace di Westfalia del 1648 per il quale la religione dello Stato era quella del principe (cuius regio eius et religio) mentre i cittadini potevano esercitare altri culti solo in privato: non si potevano vantare altri diritti, non vi era spazio pubblico per tutte le fedi.
La situazione di oggi è molto diversa rispetto a Westfalia, ma dobbiamo constatare che si va estendendo in Occidente il tentativo di restringere spazi essenziali della libertà religiosa, garantiti dalle Carte internazionali dei diritti umani. A volte la restrizione riguarda semplici manifestazioni del proprio credo mediante simboli religiosi d’uso quotidiano, vietati oggi in Francia, osteggiati in Gran Bretagna con effetti discriminatori verso chi li indossa. In modo assai più grave, negli Usa si impone alle Chiese e alle loro strutture di finanziare pratiche abortive e contraccettive per i propri dipendenti, mentre in Inghilterra si obbligano le strutture di sostegno dell’infanzia abbandonata ad affidare i minori a coppie omosex che ne chiedano l’adozione. Neanche v’è traccia del diritto di obiezione di coscienza, per la prima volta disconosciuto, contrastato esplicitamente. La strategia ha effetti perversi, perché genera una sorta di timore di manifestare la propria fede, viola l’identità religiosa delle Chiese, giunge a provocare la chiusura di strutture assistenziali che non vogliano assoggettarsi alle imposizioni di una legge ingiusta.
Questa lenta erosione dei diritti delle Chiese si sta realizzando mediante la formazione e la stratificazione di una nuova ideologia di Stato che deforma alcuni diritti umani, ne inventa altri mai codificati da norme internazionali, trasforma l’aborto e la contraccezione in pretese che devono essere soddisfatte anche da chi non le condivide. Questa stratificazione assurge a valore di legge generale, e chi segue altri princìpi o pratiche è lentamente emarginato, chiuso nel privato, costretto a violare i dettami della propria fede. Si realizza così la previsione di Giovanni Paolo II, il quale ha parlato a lungo di una visione nichilista che mira a combattere il diritto alla vita ed esercita violenza sui più deboli. Mentre si diffonde quel male sottile del relativismo individualista denunciato da Benedetto XVI, che ha più volte messo in guardia gli Stati contro il progressivo svuotamento di una delle più grandi conquiste della modernità, i diritti inalienabili riconosciuti a ogni persona.
Di fronte alle tragedie del totalitarismo, Hannah Arendt dichiarò che «la dignità umana ha bisogno di una nuova garanzia, che si può trovare soltanto in una nuova legge sulla terra per l’intera umanità». Questo nuovo decalogo, che può identificarsi nelle Carte dei diritti universali, rischia oggi di scolorarsi, stemperarsi, veder compromessi i suoi presupposti teorici. Siamo di fronte a una svolta regressiva, occorre riflettere e interrogarsi su come fare per riaffermare quel diritto di libertà che è alla base dell’intera costruzione dei diritti umani. Le iniziative avviate negli Stati Uniti in difesa dell’identità delle Chiese (come la lettera inviata lunedì dai vescovi Usa al Congresso contro gli obblighi sulla contraccezione e l’aborto previsti dalla riforma sanitaria) sono importanti. Ma forse è necessario pensare a una più vasta azione che, a livello nazionale e internazionale, operi in difesa della libertà religiosa in ogni sua dimensione, perché i credenti – cristiani e uomini di ogni religione – non si sentano emarginati, quasi sopportati dallo Stato, e possano manifestare con piena dignità la fede, vivendo in coerenza con le proprie convinzioni.
La situazione di oggi è molto diversa rispetto a Westfalia, ma dobbiamo constatare che si va estendendo in Occidente il tentativo di restringere spazi essenziali della libertà religiosa, garantiti dalle Carte internazionali dei diritti umani. A volte la restrizione riguarda semplici manifestazioni del proprio credo mediante simboli religiosi d’uso quotidiano, vietati oggi in Francia, osteggiati in Gran Bretagna con effetti discriminatori verso chi li indossa. In modo assai più grave, negli Usa si impone alle Chiese e alle loro strutture di finanziare pratiche abortive e contraccettive per i propri dipendenti, mentre in Inghilterra si obbligano le strutture di sostegno dell’infanzia abbandonata ad affidare i minori a coppie omosex che ne chiedano l’adozione. Neanche v’è traccia del diritto di obiezione di coscienza, per la prima volta disconosciuto, contrastato esplicitamente. La strategia ha effetti perversi, perché genera una sorta di timore di manifestare la propria fede, viola l’identità religiosa delle Chiese, giunge a provocare la chiusura di strutture assistenziali che non vogliano assoggettarsi alle imposizioni di una legge ingiusta.
Questa lenta erosione dei diritti delle Chiese si sta realizzando mediante la formazione e la stratificazione di una nuova ideologia di Stato che deforma alcuni diritti umani, ne inventa altri mai codificati da norme internazionali, trasforma l’aborto e la contraccezione in pretese che devono essere soddisfatte anche da chi non le condivide. Questa stratificazione assurge a valore di legge generale, e chi segue altri princìpi o pratiche è lentamente emarginato, chiuso nel privato, costretto a violare i dettami della propria fede. Si realizza così la previsione di Giovanni Paolo II, il quale ha parlato a lungo di una visione nichilista che mira a combattere il diritto alla vita ed esercita violenza sui più deboli. Mentre si diffonde quel male sottile del relativismo individualista denunciato da Benedetto XVI, che ha più volte messo in guardia gli Stati contro il progressivo svuotamento di una delle più grandi conquiste della modernità, i diritti inalienabili riconosciuti a ogni persona.
Di fronte alle tragedie del totalitarismo, Hannah Arendt dichiarò che «la dignità umana ha bisogno di una nuova garanzia, che si può trovare soltanto in una nuova legge sulla terra per l’intera umanità». Questo nuovo decalogo, che può identificarsi nelle Carte dei diritti universali, rischia oggi di scolorarsi, stemperarsi, veder compromessi i suoi presupposti teorici. Siamo di fronte a una svolta regressiva, occorre riflettere e interrogarsi su come fare per riaffermare quel diritto di libertà che è alla base dell’intera costruzione dei diritti umani. Le iniziative avviate negli Stati Uniti in difesa dell’identità delle Chiese (come la lettera inviata lunedì dai vescovi Usa al Congresso contro gli obblighi sulla contraccezione e l’aborto previsti dalla riforma sanitaria) sono importanti. Ma forse è necessario pensare a una più vasta azione che, a livello nazionale e internazionale, operi in difesa della libertà religiosa in ogni sua dimensione, perché i credenti – cristiani e uomini di ogni religione – non si sentano emarginati, quasi sopportati dallo Stato, e possano manifestare con piena dignità la fede, vivendo in coerenza con le proprie convinzioni.
«Avvenire» dell'8 agosto 2012
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