Omosessuali: rispetto per la persona, no al matrimonio
di Mauro Cozzoli
Legata a diversi eventi di cronaca politica in questi giorni, torna a proporsi la questione omosessuale, centrata sul matrimonio gay, rivendicato come diritto. La questione, prima che giuridica, è antropologica e morale. È su queste basi – umane ed etiche – che essa va inquadrata, altrimenti anche il diritto diventa "liquido".
Invece un diritto per essere tale deve avere consistenza oggettiva, altrimenti non esiste e non c’è opinione prevalente o trend demoscopico o maggioranza parlamentare che possa legittimarlo. La consistenza oggettiva dei diritti è data da una fenomenologia della persona che ne rileva l’essere al mondo e le dinamiche relazionali, nella loro consistenza naturale prima che nelle loro trasposizioni culturali.
È su questa base epistemologica che la sapienza antropologica ed etica dell’umanità ha conosciuto e codificato un solo istituto matrimoniale, dato dall’unione piena, stabile e pubblica tra un uomo e una donna. Non attribuendo, per ciò stesso, dignità di matrimonio a unioni poligamiche, di mera convivenza e omosessuali. Con particolare riferimento a queste ultime, a contrassegnare il matrimonio sono due qualità che si implicano a vicenda: la complementarietà e la fecondità. Il matrimonio non è dato dalla somma degli uguali, ma dalla integrazione dei diversi, sulla base della dualità e reciprocità sessuale, costituita dal maschile e dal femminile. L’essere uomo e l’essere donna nell’amore coniugale non sono delle variabili ad libitum.
Sono fattori costitutivi ed essenziali: appartengono all’esse, senza i quali il matrimonio non c’è. Non c’è fictio iuris che possa cambiare le cose. Dall’unione, in totalità di donazione, del maschile e del femminile fluisce la complementarietà dei soggetti: l’uomo è la pienezza della donna e la donna dell’uomo. E da questa complementarietà consegue la fecondità del matrimonio, generatore della vita, procreatore dei figli.
L’unione omosessuale manca dell’una e dell’altra qualità. È un’unione sommatoria: manca della dualità e reciprocità sessuale. Perciò è e rimane sterile. Sterilità che nessun espediente procreatico riesce a rimediare o anche solo mascherare. Il ricorso a gameti estranei e uteri mercenari è un artificio surrogatorio e posticcio che mette a nudo la contraddizione ontologica. L’educazione dei figli, continuazione e prolungamento dell’atto procreativo, esige anch’essa la compresenza differenziale e complementare del padre e della madre, quale reale e autentico diritto del figlio. Azzerare questa ontologia, depotenziarne la forza normativa, è abbandonare il matrimonio e la famiglia alle volubilità dei desideri e delle aspettative soggettive, con cui sempre più spesso è fatto coincidere il diritto. È la cosiddetta emotivizzazione del diritto.
Malgrado questa deriva emotivistica, il matrimonio è e resta un bene in se stesso, con una grammatica e una semantica che obbligano al riconoscimento e al rispetto. Si è liberi di sposarsi o no. Ma se ci si sposa si assume uno status di vita che non è fatto dai soggetti. È fatto prima, dall’ordine della natura e, per il credente, dalla sapienza creatrice divina, che ne è al principio. Altrimenti si diventa demiurghi di tutto, artefici di diritti arbitrari, la cui propagazione non rende più liberi, ma libertari; non promuove diritti, ma appaga desideri.
Questa constatazione, nulla toglie alla dignità di persona dell’omosessuale e ai legittimi diritti individuali a essa legati. Alla persona omosessuale sono dovuti il rispetto, la tutela e l’accoglienza propri di ogni uomo e di ogni donna. Tanto più quanto la condizione omosessuale sia fatto oggetto, ancora oggi, di discriminazioni e discredito. Questa concezione e fondazione personalistica del diritto riflette l’insegnamento della Chiesa cattolica, che – come leggiamo nel Catechismo – distingue tra gli atti omosessuali ritenuti «intrinsecamente disordinati» e la persona omosessuale, da «accogliere» con rispetto e delicatezza.
Invece un diritto per essere tale deve avere consistenza oggettiva, altrimenti non esiste e non c’è opinione prevalente o trend demoscopico o maggioranza parlamentare che possa legittimarlo. La consistenza oggettiva dei diritti è data da una fenomenologia della persona che ne rileva l’essere al mondo e le dinamiche relazionali, nella loro consistenza naturale prima che nelle loro trasposizioni culturali.
È su questa base epistemologica che la sapienza antropologica ed etica dell’umanità ha conosciuto e codificato un solo istituto matrimoniale, dato dall’unione piena, stabile e pubblica tra un uomo e una donna. Non attribuendo, per ciò stesso, dignità di matrimonio a unioni poligamiche, di mera convivenza e omosessuali. Con particolare riferimento a queste ultime, a contrassegnare il matrimonio sono due qualità che si implicano a vicenda: la complementarietà e la fecondità. Il matrimonio non è dato dalla somma degli uguali, ma dalla integrazione dei diversi, sulla base della dualità e reciprocità sessuale, costituita dal maschile e dal femminile. L’essere uomo e l’essere donna nell’amore coniugale non sono delle variabili ad libitum.
Sono fattori costitutivi ed essenziali: appartengono all’esse, senza i quali il matrimonio non c’è. Non c’è fictio iuris che possa cambiare le cose. Dall’unione, in totalità di donazione, del maschile e del femminile fluisce la complementarietà dei soggetti: l’uomo è la pienezza della donna e la donna dell’uomo. E da questa complementarietà consegue la fecondità del matrimonio, generatore della vita, procreatore dei figli.
L’unione omosessuale manca dell’una e dell’altra qualità. È un’unione sommatoria: manca della dualità e reciprocità sessuale. Perciò è e rimane sterile. Sterilità che nessun espediente procreatico riesce a rimediare o anche solo mascherare. Il ricorso a gameti estranei e uteri mercenari è un artificio surrogatorio e posticcio che mette a nudo la contraddizione ontologica. L’educazione dei figli, continuazione e prolungamento dell’atto procreativo, esige anch’essa la compresenza differenziale e complementare del padre e della madre, quale reale e autentico diritto del figlio. Azzerare questa ontologia, depotenziarne la forza normativa, è abbandonare il matrimonio e la famiglia alle volubilità dei desideri e delle aspettative soggettive, con cui sempre più spesso è fatto coincidere il diritto. È la cosiddetta emotivizzazione del diritto.
Malgrado questa deriva emotivistica, il matrimonio è e resta un bene in se stesso, con una grammatica e una semantica che obbligano al riconoscimento e al rispetto. Si è liberi di sposarsi o no. Ma se ci si sposa si assume uno status di vita che non è fatto dai soggetti. È fatto prima, dall’ordine della natura e, per il credente, dalla sapienza creatrice divina, che ne è al principio. Altrimenti si diventa demiurghi di tutto, artefici di diritti arbitrari, la cui propagazione non rende più liberi, ma libertari; non promuove diritti, ma appaga desideri.
Questa constatazione, nulla toglie alla dignità di persona dell’omosessuale e ai legittimi diritti individuali a essa legati. Alla persona omosessuale sono dovuti il rispetto, la tutela e l’accoglienza propri di ogni uomo e di ogni donna. Tanto più quanto la condizione omosessuale sia fatto oggetto, ancora oggi, di discriminazioni e discredito. Questa concezione e fondazione personalistica del diritto riflette l’insegnamento della Chiesa cattolica, che – come leggiamo nel Catechismo – distingue tra gli atti omosessuali ritenuti «intrinsecamente disordinati» e la persona omosessuale, da «accogliere» con rispetto e delicatezza.
«Avvenire» del 25 luglio 2012
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