di Rino Cammilleri
Insomma, c’è o non c’è questa egemonia laicista sulla cultura (e, dunque, sulle mentalità, che equivale a dire su tutto)? È stato autorevolmente osservato che nei grandi quotidiani italiani, per esempio, gli opinionisti cattolici sono completamente assenti. Il sottoscritto, che per mestiere li legge (o almeno scorre) quasi tutti ogni giorno (più, le riviste e i settimanali), deve ammettere che le cose stanno proprio così.
Se togliamo don Gianni Baget Bozzo e Antonio Socci, cosa rimane? Certo, c’è «Avvenire», ma l’eccezione, peraltro unica, non fa che confermare la regola. Sì, i giornalisti di fede cattolica, anche direttori di testata, sono sparsi qua e là e si può dire che sono praticamente presenti un po’ dappertutto, televisioni comprese. Ma di editorialisti autorevoli, di quelli invitati una sera sì e l’altra pure nei salotti televisivi, nisba.
Socci e Bozzo, e nulla più.
Il primo, poi, lo si chiama quando “serve” qualcuno che faccia la parte del cattolico, avendo cura di predisporre adeguati contraltari affinché risulti ben chiaro che il conduttore è pluralista e, pensate, invita anche un cattolico. Sì, so bene che il nostro Messori collabora tranquillamente con il «Corriere della Sera», maggior quotidiano nazionale e punto d’arrivo per ogni carriera nella carta stampata. Ma non come editorialista. E avendo avuto cura di bilanciare la sua presenza con quella di un altro cattolico di tutt’altre vedute, Alberto Melloni. Nemmeno l’altrettanto nostro Introvigne, pur essendo nel suo campo un’autorità internazionale, ha lo spazio dell’editoriale sui grandi quotidiani nazionali: lo si interpella solo per quel che strettamente concerne le sue specializzazioni.
Mancano i politologi e i pensatori sull’attualità in campo cattolico? Assolutamente no. Allora sono tutti degli asini, o almeno dei mediocri che non val la pena stare a sentire? Nemmeno. D’altronde, se per fare l’editorialista su un grande quotidiano bisogna essere un genio e un produttore di capolavori stilistici, non si vede cosa ci stiano a fare quelli che già ci sono, visto che di geni non ce n’è, di mediocri c’è pletora e di asini ce ne sono anche troppi.
No, l’egemonia culturale laicista esiste, eccome, e i cattolici devono essere molto, molto, prudenti e circospetti, pena la disoccupazione o peggio. Prendiamo il caso di un’altra firma del «Timone», la Pellicciari. Naturalmente, non fa l’editorialista né l’opinionista, figurarsi, e pubblica libri per il semplice fatto che li vende, sennò neanche questo potrebbe. No, fa solo l’insegnante, e anche questo con grave rischio, visto quel che le è successo.
Inchieste, ispezioni ministeriali, genitori e presidi contro, linciaggi sui giornali. Grazie alla benevolenza di due “laici” che contano, Battista sul «Corriere» e Ferrara nella sua trasmissione, ha potuto dire la sua e difendersi. Ma ha dovuto squadernare il suo metodo d’insegnamento, fin nei minimi dettagli, davanti a tutti, dimostrando all’Inquisizione laicista di non avere infranto le regole per cui un cattolico può essere «tollerato».
Proprio negli stessi giorni, un altro insegnante di liceo è finito alla ribalta per una sua candidatura alle elezioni. È un trozkysta dichiarato che per giunta ha espresso apprezzamenti discutibili (ed è dir poco) sui nostri morti di Nassirya. Tanto discutibili che gli stessi comunisti rifondati ne sono rimasti imbarazzati. Epperò non risulta che comitati di genitori e di presidi ne abbiano chiesto la rimozione dal liceo in cui insegna. Per lui nessuno ha chiesto ispezioni, né ha preteso che rendesse conto di quel che insegna. Forse smette di essere trozkysta quando lavora? Non credo che qualcuno sia capace di una dissociazione simile.
No, semplicemente il clima è questo: un cattolico deve stare molto, molto attento, deve essere molto, molto prudente, deve misurare le parole, camminare sul filo senza rete, avere perfino una vita privata specchiatissima, attraversare solo sulle strisce pedonali e pagare le tasse al centesimo. Deve essere coerentissimo in quel che fa in privato e il più incoerente possibile in pubblico.
Altrimenti arriva l’Inquisizione Laica, che lo sorveglia con mille occhi (anche, ahimè, con gli occhi di quelli che Lenin chiamava, giustamente, «utili idioti») e, a differenza dell’Inquisizione storica, non ammette appello né difesa né perdono. Per essa esiste una sola pena: la morte civile. Anche per un semplice sospetto. Anche per una semplice diceria.
Perciò, scordiamoci gli opinionisti cattolici, almeno per il momento.
Tuttavia, c’è uno spiraglio. Unico e arduo, ma pur sempre spiraglio. La mentalità corrente idolatra il successo e il denaro, ed è disposta a perdonare perfino la cattolicità a chi riesce a “sfondare”. Ovviamente, un cattolico deve correre in salita, nudo e senza scarpe, perché non può certo prodursi in opere alla «melissa p», né compiacersi in torbidi intrecci, voluttuosi adulteri, efferatezze gratuite o insulti alla Chiesa (tutti gli ingredienti che, oggi come oggi, possono fare il bestseller, insomma).
Ma Tolkien e Lewis hanno dimostrato che si può fare. Anche il nostro Messori. Mi direte che i geni sono rari. È vero, purtroppo. Ma non c’è altra via, per ora.
Preghiamo perché il Signore ce ne mandi non uno per generazione, come ha fatto finora, ma tanti.
Ripeto quel che ho detto all’inizio: guardate che conquistare la cultura significa conquistare le menti e conquistare le menti vuol dire conquistare la mentalità corrente.
Cioè, tutto.
Se togliamo don Gianni Baget Bozzo e Antonio Socci, cosa rimane? Certo, c’è «Avvenire», ma l’eccezione, peraltro unica, non fa che confermare la regola. Sì, i giornalisti di fede cattolica, anche direttori di testata, sono sparsi qua e là e si può dire che sono praticamente presenti un po’ dappertutto, televisioni comprese. Ma di editorialisti autorevoli, di quelli invitati una sera sì e l’altra pure nei salotti televisivi, nisba.
Socci e Bozzo, e nulla più.
Il primo, poi, lo si chiama quando “serve” qualcuno che faccia la parte del cattolico, avendo cura di predisporre adeguati contraltari affinché risulti ben chiaro che il conduttore è pluralista e, pensate, invita anche un cattolico. Sì, so bene che il nostro Messori collabora tranquillamente con il «Corriere della Sera», maggior quotidiano nazionale e punto d’arrivo per ogni carriera nella carta stampata. Ma non come editorialista. E avendo avuto cura di bilanciare la sua presenza con quella di un altro cattolico di tutt’altre vedute, Alberto Melloni. Nemmeno l’altrettanto nostro Introvigne, pur essendo nel suo campo un’autorità internazionale, ha lo spazio dell’editoriale sui grandi quotidiani nazionali: lo si interpella solo per quel che strettamente concerne le sue specializzazioni.
Mancano i politologi e i pensatori sull’attualità in campo cattolico? Assolutamente no. Allora sono tutti degli asini, o almeno dei mediocri che non val la pena stare a sentire? Nemmeno. D’altronde, se per fare l’editorialista su un grande quotidiano bisogna essere un genio e un produttore di capolavori stilistici, non si vede cosa ci stiano a fare quelli che già ci sono, visto che di geni non ce n’è, di mediocri c’è pletora e di asini ce ne sono anche troppi.
No, l’egemonia culturale laicista esiste, eccome, e i cattolici devono essere molto, molto, prudenti e circospetti, pena la disoccupazione o peggio. Prendiamo il caso di un’altra firma del «Timone», la Pellicciari. Naturalmente, non fa l’editorialista né l’opinionista, figurarsi, e pubblica libri per il semplice fatto che li vende, sennò neanche questo potrebbe. No, fa solo l’insegnante, e anche questo con grave rischio, visto quel che le è successo.
Inchieste, ispezioni ministeriali, genitori e presidi contro, linciaggi sui giornali. Grazie alla benevolenza di due “laici” che contano, Battista sul «Corriere» e Ferrara nella sua trasmissione, ha potuto dire la sua e difendersi. Ma ha dovuto squadernare il suo metodo d’insegnamento, fin nei minimi dettagli, davanti a tutti, dimostrando all’Inquisizione laicista di non avere infranto le regole per cui un cattolico può essere «tollerato».
Proprio negli stessi giorni, un altro insegnante di liceo è finito alla ribalta per una sua candidatura alle elezioni. È un trozkysta dichiarato che per giunta ha espresso apprezzamenti discutibili (ed è dir poco) sui nostri morti di Nassirya. Tanto discutibili che gli stessi comunisti rifondati ne sono rimasti imbarazzati. Epperò non risulta che comitati di genitori e di presidi ne abbiano chiesto la rimozione dal liceo in cui insegna. Per lui nessuno ha chiesto ispezioni, né ha preteso che rendesse conto di quel che insegna. Forse smette di essere trozkysta quando lavora? Non credo che qualcuno sia capace di una dissociazione simile.
No, semplicemente il clima è questo: un cattolico deve stare molto, molto attento, deve essere molto, molto prudente, deve misurare le parole, camminare sul filo senza rete, avere perfino una vita privata specchiatissima, attraversare solo sulle strisce pedonali e pagare le tasse al centesimo. Deve essere coerentissimo in quel che fa in privato e il più incoerente possibile in pubblico.
Altrimenti arriva l’Inquisizione Laica, che lo sorveglia con mille occhi (anche, ahimè, con gli occhi di quelli che Lenin chiamava, giustamente, «utili idioti») e, a differenza dell’Inquisizione storica, non ammette appello né difesa né perdono. Per essa esiste una sola pena: la morte civile. Anche per un semplice sospetto. Anche per una semplice diceria.
Perciò, scordiamoci gli opinionisti cattolici, almeno per il momento.
Tuttavia, c’è uno spiraglio. Unico e arduo, ma pur sempre spiraglio. La mentalità corrente idolatra il successo e il denaro, ed è disposta a perdonare perfino la cattolicità a chi riesce a “sfondare”. Ovviamente, un cattolico deve correre in salita, nudo e senza scarpe, perché non può certo prodursi in opere alla «melissa p», né compiacersi in torbidi intrecci, voluttuosi adulteri, efferatezze gratuite o insulti alla Chiesa (tutti gli ingredienti che, oggi come oggi, possono fare il bestseller, insomma).
Ma Tolkien e Lewis hanno dimostrato che si può fare. Anche il nostro Messori. Mi direte che i geni sono rari. È vero, purtroppo. Ma non c’è altra via, per ora.
Preghiamo perché il Signore ce ne mandi non uno per generazione, come ha fatto finora, ma tanti.
Ripeto quel che ho detto all’inizio: guardate che conquistare la cultura significa conquistare le menti e conquistare le menti vuol dire conquistare la mentalità corrente.
Cioè, tutto.
«Il Timone», n. 51 - anno VIII - deò marzo 2006
Nessun commento:
Posta un commento