06 febbraio 2012

Le lingue inventate e salvate dalla rete

L'ambizione di docenti e ricercatori internazionali: un'enciclpoedia digitale delle parlate in via d'estinzione
di Federica Colonna
Rama, jacuto, myaamia: le parole rivivono online
La Jacuzia non è solo una terra disegnata sulla mappa di Risiko. È anche il posto dove i bambini vanno a scuola su Skype. Figli di comunità nomadi, hanno due scelte: frequentare gli istituti dei villaggi più grandi, dove studiare il russo, oppure seguire i propri genitori, parlando la lingua della famiglia e imparando a immaginare il mondo con le parole dei propri avi. Con un laptop in mano per collegarsi con le insegnanti coinvolte nel processo di rivitalizzazione della lingua delle comunità nomadi della regione.
«Bambini e tecnologia salveranno le lingue in via di estinzione», spiega la linguista Leonore Grenoble, docente presso l’Università di Chicago. La sua attività di ricerca sul campo, soprattutto tra i popoli del profondo nord, riguarda proprio i processi di rivitalizzazione linguistica. Si tratta di metodi per riportare in vita tra i più giovani membri delle comunità le lingue native che rischiano la scomparsa. Secondo l’Unesco si tratta del 50% delle seimila lingue del mondo, la maggior parte delle quali ha un futuro breve, lungo circa 10 anni. «Per salvarle costruiamo archivi audio e video con interviste ai parlanti — continua Grenoble — e produciamo grammatiche e dizionari. Le nuove tecnologie sono uno strumento prezioso: permettono la rinascita digitale di lingue in pericolo, la loro nuova diffusione».
Computer e cellulari sono fondamentali per «connettere individui che parlano la stessa lingua e ricreare un ambito di esistenza idiomatica», puntualizza Grenoble, secondo la quale una lingua è in salvo finché ci sarà un bambino a parlarla e, magari, a ridiffonderla sul web.
È il caso della nuova generazione dei Rama, comunità stanziale che vive sulle coste del Nicaragua. «I più giovani stanno imparando la lingua nativa attraverso un vocabolario online che contiene finora tremila parole. È pubblicato insieme ai calendari lunari e ai manuali sulla coltivazione delle piante autoctone sul sito Turkulka (www.turkulka.net), che in Rama significa parola», spiega la professoressa Colette Grinevald che lavora da venticinque anni al Rama Language Project ed è tra i redattori dell’Atlante Linguistico delle Lingue in pericolo (http://www.unesco. org/culture/languages-atlas/) dell’Unesco. Il sito Turkulka.net è frutto del suo intenso lavoro tra i Rama. Come Leonore Grenoble, pur riconoscendo le grandissime difficoltà dei processi di rivitalizzazione linguistica, è ottimista: il web e le madri possono davvero salvare una cultura.
Compito della Grinevald è la costruzione di archivi e lo studio delle dinamiche linguistiche nelle comunità a rischio di estinzione dell’America del Sud. «In Nicaragua — racconta — ho avuto la fortuna di conoscere Mujer Tigre, donna tigre, così era chiamata Miss Nora Rigby per la grinta con cui difendeva la sua gente. È stata la prima a voler essere registrata tra i Rama. Riascoltandosi, temeva che la sua lingua fosse sbagliata, distorta. I parlanti delle lingue a rischio si vergognano, ma quando, come nel caso di Mujer Tigre, amano davvero il proprio popolo allora non hanno più paura». E diventano fonti per i progetti di digitalizzazione.
Gli esempi sono diventati negli ultimi anni numerosi. Il più grande archivio di vocabolari online è Elar (www.hrelp.org/archive), realizzato dagli studiosi della School of Oriental and African Studies (Soas) di Londra. «È la più grande mappa linguistica digitale — racconta Grenoble — ricca di documenti audio e video in costante evoluzione, simile a Ailla, l’archivio delle lingue indigene dell’America Latina, realizzato dall’Università del Texas». Il progetto di digitalizzazione che ha avuto più successo negli Stati Uniti è però un’altro: the Myaamia Project (www.myaamiaproject.org), nato per far conoscere la lingua della tribù degli indigeni Oklahoma dell’area di Miami. I ricercatori hanno realizzato un gioco online per conoscere il nome di tutte le parti del corpo in myaamia, oppure per imparare tutta la numerazione con le parole dei nativi.
Il sito più bello e divertente da navigare è Isuma Tv (www.isuma.tv): una piattaforma professionale che pubblica video, interviste, filmati e brevi clip nelle lingue inuit e in inglese. «I nostri strumenti — scrivono gli autori del sito — permettono agli indigeni di potersi esprimere con la loro voce. Visioni del passato, paure sul presente e speranze per un futuro più onorevole». Nonostante sforzi nobili come Wikipedia in dialetto siciliano, non sempre la tecnologia è utile. Michele Gazzola, ricercatore in economia linguistica a Berlino e presidente dell’associazione Nitobe racconta che un’organizzazione non governativa attiva in Africa aveva spedito computer in un villaggio credendo di favorire l’alfabetizzazione informatica. Ma di fronte a questi oscuri apparecchi gli abitanti finirono per usarli come sedie.
Per evitare figuracce poco accademiche, i ricercatori e i linguisti hanno deciso di mettere in comune esperienze e dubbi per rispondere alla fatidica domanda: quali sfide possiamo davvero accettare e vincere grazie ai nuovi media? Mary Jones, professoressa associata di linguistica francese dell’Università di Cambridge non ha dubbi: «Dobbiamomettere insieme le nostre idee e darci risposte comuni». Per questo il 6 luglio si svolgerà la seconda conferenza di Cambridge sull’estinzione linguistica. Il collegio Peterhouse della prestigiosa università sarà la casa dei nuovi ricercatori con il sogno comune di creare l’enciclopedia digitale delle lingue. Un’ambizione perseguita dalla professore Grinevald e dai suoi collaboratori attraverso il progetto Sorosoro (www.sorosoro.org). L’obiettivo di Sorosoro, che in lingua araki, idioma parlato in alcuni villaggi Vanatu, nel Pacifico, significa parola, è codificare non solo la lingua locale, ma tutte le lingue producendo dizionari e grammatiche, riprendendo la vita quotidiana delle comunità, documentando la cultura e il modo di vivere quotidiano dei popoli che stanno perdendo le parole. Rischiando di non lasciare traccia.
«Corriere della Sera» - Supplemento "La Lettura" del febbraio 2012

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