11 dicembre 2011

Le reducciones gesuitiche del Paraguay

144.000 indios coinvolti. Una trentina di villaggi-modello, su un’area vasta più dell’Italia, retti da un sistema democratico. Grazie all’opera grandiosa dei gesuiti. Questo il fenomeno delle reducciones, durato circa due secoli. Che ebbe fine per colpa della propaganda protestante e illuminista
di Rino Cammilleri
La storia comincia nel 1576 e finisce nel 1768. Il film Mission ne dà solo una pallida idea: certe reducciones superavano i cinquemila abitanti. (Buenos Aires ne aveva meno di quattromila) e l'industria tipografica vi fioriva già nel 1695 (la prima stamperia della capitale è invece del 1780). Ludovico Antonio Muratori ne descrisse il «cristianesimo felice» e Voltaire nel Candide le definì «un trionfo dell'umanità» (però investì i suoi soldi nella Compagnia del Maranhao che contribuì a distruggerle). Le missioni stavano proprio al confine tra gli imperi coloniali spagnolo e portoghese, nella provincia gesuitica del Paraguay (il bacino dei tre grandi fiumi Parana, Uruguay e Paraguay). Gli indios erano i guarani, l'etnia più numerosa. Le reducciones nacquero per proteggere i battezzati dalle razzie dei creoli portoghesi (cosiddetti paulistas o bandeirantes) aiutati dai tupi, nemici tradizionali dei guarani. Ne facevano schiavi per le piantagioni e le miniere, a dispetto delle leggi protettive della corona spagnola (è stato osservato che il minore sviluppo economico del Sudamerica rispetto al Nord e la nascita della tratta degli schiavi africani furono conseguenza dell'impossibilità legale di sfruttamento degli indios). Prima dell'arrivo dei missionari i guarani non erano che selvaggi preistorici. Tutti i membri di un clan, in promiscuità totale, vivevano in un'unica grande capanna. L'agricoltura era elementare e a esclusiva base di maniaca. Il capo, cacique, li guidava in continue guerre che culminavano nello sterminio totale degli abitanti di un villaggio nemico (i superstiti venivano mangiati ritualmente). Lo stregone, payé, sottostava al caravié, il grande sciamano che incitava a un incessante nomadismo alla ricerca della Ywy mara ey, mitica «terra senza il male». Il risultato erano il fatalismo e una mancanza di iniziativa individuale che rendeva i guarani facile preda dei razziatori schiavisti (come si è detto, creoli portoghesi, perché l'accesso alla regione era più facile a loro che agli spagnoli).
Nel 1750, col trattato ispano-portoghese detto «dei confini», la «repubblica dei guarani» gesuitica passò sotto il dominio portoghese. Quest'ultimo, la cui economia era divenuta dipendente da quella inglese, cancellò i privilegi che la Spagna aveva accordato ai gesuiti: il primo ministro, l'illuminista marchese di Pombal, li espulse da tutto l'impero portoghese. Ma i gesuiti avevano addestrato militarmente gli indios (molti padri erano ex militari di carriera), e per la distruzione totale delle reducciones ci vollero vent'anni, durante i quali la propaganda antipapista - illuminista e protestante britannica – le dipinse come lager teocratici. Alla fine, l'unica vincitrice fu l'economia «moderna», basata sul commercio inglese e lo schiavismo nelle piantagioni.
Tutto ebbe inizio per via della difficoltà per gli spagnoli di accedere ai territori dei guarani, che il precedente trattato di Tordesillas aveva loro assegnato: per legare gli indios a sé contro i portoghesi, diedero mano libera ai missionari. In pochi anni i gesuiti riuscirono a «ridurre» a vita sedentaria circa 144.000 persone in una trentina di villaggi-modello retti da un sistema democratico. Fondati solo nel 1540, quasi tutti i gesuiti erano di vocazione adulta e molti erano stati architetti, militari, professionisti nelle più disparate competenze. Poiché Domenico Zipoli, per esempio, era stato uno dei massimi musicisti del suo tempo, le reducciones si riempirono di cori e mastri liutai. Ma ci si doveva continuamente difendere. Le reducciones del Guayra finirono distrutte dagli schiavisti: gli indios furono messi in salvo con una marcia di centinaia di chilometri verso l'interno, attraverso foreste impenetrabili e immani cascate come quella dell'lguazu; solo quattromila su dodicimila sopravvissero. Altro esempio: una rivolta fomentata dal payé Nezu uccise due missionari prima di venir repressa dai guarani fedeli. Nel 1638, poiché le richieste di aiuto alle autorità spagnole cadevano nel vuoto, i gesuiti organizzarono un esercito guarani e fabbriche di armi da fuoco. Nel 1639, sotto il comando del gesuita Diego de Alfaro, questa armata sconfisse un assalto di paulistas. Nel 1641, al Rio Mbororé, i guarani, forniti anche di un cannone, sbaragliarono cinquecento paulistas e duemilacinquecento tupi che attaccavano su novecento canoe: fu una battaglia epica che fece duemila morti e garantì pace per più di settant'anni.La trentina di reducciones si stendeva su un'area vastissima, superiore a quella dell'Italia. In esse operarono circa milleseicento gesuiti di ogni nazionalità. Ventisei di loro caddero uccisi. Servita da un acquedotto, ogni famiglia india aveva un suo appezzamento di terra, e le tecniche di coltivazione erano all'avanguardia; il resto era di proprietà comune, attorno alla quale c'erano i pascoli per il bestiame. Per dare un'idea dell'estensione, basti pensare che nella reducci6n di San li'iigo Mini si allevavano ben 33.000 vacche. Ogni reduccion aveva laboratori (gli indios divennero rinomati anche come scultori), lavanderie, tintorie, perfino un teatro. Si coltivava il mais, il cotone, il tabacco, la canna da zucchero; si confezionavano arazzi, merletti, arredi da chiesa. E poi c'erano tipografie, fabbriche di orologi a suoneria, fonderie per campane eccetera. Ogni reduccion era una comunità autosufficiente e in grado di provvedere anche all'esportazione dei prodotti. Il sistema politico era, come si è detto, democratico: l'assemblea eleggeva il corregidor e due giurati che lo assistevano, poi quattro magistrati di quartiere e sei commissari di rione. Non c'erano carceri né ospedali (i malati venivano assistiti in famiglia da infermieri addestrati). Non c'erano neanche negozi, perché non si usava denaro: ognuno traeva dalla sua attività quanto gli serviva o, se inabile, gli veniva assegnato nella redistribuzione.
Lo «stato gesuitico del Paraguay» aveva creato dal nulla una civiltà invidiabile, pacifica e quasi priva di sistema penale (ciò lo ha fatto paragonare alle utopie letterarie dell'umanesimo: Franco Cardini ha commentato che «senza dubbio l'esperienza delle reducciones e dei loro villaggi-modello molto deve all'utopia di Platone, di Tommaso Moro e dello stesso Campanella»). Davvero un esperimento unico nella storia della colonizzazione europea, quasi miracoloso se si pensa alle difficoltà che dovettero affrontare i gesuiti: l'ostilità degli stregoni, l'ubriachezza continua e collettiva, la promiscuità sessuale e le orge ricorrenti, la poligamia, l'infanticidio, l'abbandono dei vecchi e dei malati, gli infiniti tabù religiosi, il cannibalismo rituale, l'incoercibile nomadismo, la tirannia dei capi e l'insofferenza al lavoro organizzato di quelle tribù di selvaggi tatuati. La lezione è valida ancora oggi: solo una preventiva opera di evangelizzazione poté sgombrare il campo da tutto ciò; uno stile di vita subìto per motivi esclusivamente religiosi (la ricerca disperata e perenne della «terra senza il male») poteva essere mutato solo dietro motivazioni altrettanto forti. Si aggiungano le vere e proprie guerre di difesa che lo «stato dei gesuiti» dovette combattere contro gli schiavisti e le tribù ostili. E l'invidia dei coloni spagnoli per l'efficiente prosperità delle reducciones: insinuarono che la sovranità spagnola era insidiata perché i gesuiti avevano trovato l'oro in quelle terre e lo sottraevano alla corona. Le propagande antigesuite protestante e illuminista completarono l'opera e, quando al potere giunsero l'Aranda in Spagna e il Pombal in Portogallo, i soldati vennero spediti ad arrestare tutti i gesuiti delle colonie. La Compagnia di Ge-sù venne espulsa dall'impero portoghese nel 1759. Nel 1773 il papa çlemente XIV, su pressione dei governi europei, la soppresse. Le reducciones, prive di guida, furono abbandonate e caddero in rovina.
L'inizio della fine fu il già citato Tratado de Limites firmato da Spagna e Portogallo il13 gennaio del 1750 su iniziativa del governatore portoghese di Rio de Janeiro, Gomez Freire de Andrade. Il motivo: sia portoghesi che spagnoli avevano necessità di sfruttare il gigantesco estuario del Rio de la Plata per poter risalire verso Nord tramite i due grandi affluenti, il Parana e l'Uruguay; così, i portoghesi potevano evitare il difficile attraversamento dell'interno per raggiungere Bahia, e gli spagnoli arrivavano al Perù, cuore del loro impero, senza dover circumnavigare il continente. Gli spagnoli su quell'estuario avevano addirittura fondato Buenos Aires. Nel 1679 i portoghesi, proprio davanti a quest'ultima, sull'altra sponda, eressero la fortezza di Colonia del Sacramento. Cominciò così una lunga serie di guerre di confine, cui parteciparono anche contingenti di guarani delle reducciones, richiesti dal governatore spagnolo e concessi dai gesuiti. Gli spagnoli edificarono la cittadella di Montevideo e ottennero col Trattato dei Confini la cessione di Colonia del Sacramento. I portoghesi poterono spostare il loro confine più a Sud, incamerando un territorio immenso: colpa dell'insipienza del primo ministro spagnolo José Carvajal y Lancaster, che aveva avuto in cambio solo quella piccola fortezza. I portoghesi misero così le mani su sette reducciones con i loro trentamila abitanti. Questi ultimi, però, non volevano diventare sudditi degli schiavisti che avevano più volte incendiato i loro villaggi e massacrato la loro gente; né erano disposti ad abbandonare tutto per ricominciare da capo a centinaia di chilometri di distanza. Nel 1752 sbarcò a Buenos Aires l'incaricato per la demarcazione dei nuovi confini, Gaspar de Munive marchese di Valdelirios, assieme al gesuita Lope Luis Altamirano, commissario inviato dal generale Ignazio Visconti. L'Altamirano doveva convincere gli indios ad assoggettarsi ai portoghesi o trasferirsi altrove. Ma l'ordine da lui dato ai gesuiti di lasciare le reducciones venne vanificato dagli indios che impedirono con la forza ai missionari di andarsene. Allora fu inviata una spedizione congiunta di duemila soldati spagnoli e mille portoghesi: li attesero i guarani in assetto di guerra. Lo scontro terminò con la sconfitta di questi ultimi. Un'altra battaglia si svolse a Caibatf ma gli indios vennero dispersi. Metà degli abitanti delle reducciones accettarono di trasferirsi, gli altri fuggirono nelle foreste. Il nuovo governatore spagnolo, Pedro Caballos, ebbe l'ordine, dal ministro Ricardo Wall, di punire i gesuiti, ritenuti responsabili della ribellione, e rastrellare gli indios fuggitivi. Ma incontrò solo lungaggini messe in opera dal vecchio governatore Andrade. Questi aveva scandagliato il territorio delle reducciones e, constatato che di oro non c'era traccia, non intendeva più applicare il Trattato. Trascorsero cinque anni, il re spagnolo Ferdinando VI morì e sul trono andò suo fratello, Carlo 111, già re di Napoli e contrario al Trattato. Nel 1760 ancora le dispute e i bracci di ferro su quel Trattato continuavano: si protrassero fino al suo definitivo naufragio. Ma ormai il danno era fatto e, nel 1767, anche il re di Spagna espulse i gesuiti. Più di duemila di loro, caricati sui galeoni, vennero deportati in Europa. Come sappiamo, nel 1773, cedendo alle pressioni internazionali, il papa Clemente XIV soppresse la Compagnia di Gesù. Venne ripristinata solo nel 1814, dopo la bufera napoleonica, da Pio VII.

BIBLIOGRAFIA
Eugenio Pellegrino s.j., La fine delle Riduzioni del Paraguay, Collana la Compagnia di Gesù e le Missioni, s.d.
Enrico Padoan s.j., Le Riduzioni del Paraguay, (ibidem).
Aldo Trento, Il cristianesimo felice, Marietti 2004.
«Il Timone» n. 38, anno VI, dicembre 2004

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