23 aprile 2011

Vade retro test

Gli studenti finlandesi, presunti primi della classe europei nella matematica, non capiscono più né algebra né geometria

di Giorgio Israel

E’ ormai un luogo comune indicare la Finlandia come un modello di scuola innovativa, di successo e che riesce a conquistare le prime posizioni nelle classifiche internazionali Ocse-Pisa (Programme for International Student Assessment), in particolare nella matematica; e quindi come un modello da seguire per avere successo nelle valutazioni. Ma proprio questo esempio dimostra quanto lo slogan delle “valutazioni oggettive” e della “misurazione delle qualità” sia fondato sulla sabbia.
Diverse recenti analisi sviluppate da matematici e studiosi di problemi dell’insegnamento finlandesi (tra cui ricordiamo articoli pubblicati dal 2006 in poi da G. Malaty, E. Pehkonen, O. Martio e altri) mettono in luce una realtà molto diversa. Come intitola un appello firmato nel 2006 da Kari Astela, professore all’Università di Helsinki, e da più di altri duecento professori, “le classifiche Pisa dicono soltanto una verità parziale circa le abilità matematiche dei bambini finlandesi”, mentre, di fatto, “le conoscenze matematiche dei nuovi studenti hanno subito un declino drammatico”. I matematici K. Tarvainen e S. Kivelä, in un articolo intitolato “Gravi difetti nelle abilità matematiche finlandesi” hanno sottolineato che gran parte dei firmatari dell’appello di Astela sono professori di politecnici o università tecniche e quindi non insegnano una matematica “accademica”, bensì una matematica richiesta nelle pratiche tecniche e nelle scienze dell’ingegneria.
Da parte sua, George Malaty ha osservato che “in Finlandia sappiamo che non avremmo avuto alcun successo in Pisa se i test avessero riguardato la comprensione dei concetti o delle relazioni matematiche”. Da più parti è stato severamente osservato che le varie riforme introdotte in Finlandia hanno finito col generare un “oggetto didattico” che con la matematica propriamente detta ha in comune soltanto il nome e che serve a superare bene i test Ocse-Pisa ma ha avuto effetti disastrosi sulla cultura matematica diffusa, oltre che su un declino accertato della conoscenza superiore nelle università e nei politecnici.
L’insegnamento della matematica in Finlandia ha conosciuto varie riforme. In sintesi: la riforma “New mathematics” implementata dal 1970 al 1980, la “Back-to-Basics” (1980-1985), seguita da altre due riforme che hanno prodotto un orientamento sempre più deciso verso un approccio pratico, e cioè “Problem solving” (1985-1990), e la più radicale, “Everyday mathematics” (1990-95).
La tendenza è stata quindi verso un approccio concreto ispirato a una visione puramente operativa della matematica, rivolta a scopi pratici e tendente a gravitare attorno al calcolatore, per giunta visto in un senso molto radicale, e cioè non come ausilio bensì come modello di riferimento. Ciò ha condotto, come vedremo, a sostituire le procedure di calcolo codificate nell’aritmetica e nell’algebra con quelle ideate ad hoc per far funzionare la macchina.
Sintetizziamo rapidamente le caratteristiche dell’“oggetto didattico” detto “matematica” che queste riforme hanno man mano costruito.
In primo luogo, non si fanno quasi più dimostrazioni. L’insegnante si limita a trasmettere i risultati come manuali d’istruzioni senza proporne quasi mai la prova logica. E’ superfluo dire che questa scelta, oltre a produrre un tipo di insegnamento nozionistico – che soltanto un estremo semplicismo rende accettabile – atrofizza le capacità logico-deduttive dello studente. Inoltre, insegnare la matematica senza dimostrazione è come pretendere di addestrare uno scultore senza mai mettergli in mano uno scalpello.
In secondo luogo, la geometria è quasi sparita dall’insegnamento, il che non stupisce perché la geometria senza dimostrazioni non ha senso. Questa sparizione produce un’altra conseguenza molto negativa: l’atrofizzazione delle capacità di intuizione spaziale che sono stimolate in modo decisivo dal pensiero geometrico.
Veniamo ora agli effetti dell’esasperata tendenza a vedere la matematica come un insieme di procedure di “problem solving”.
Per inchiodare nella testa all’allievo questo approccio, fin dalle elementari le operazioni dell’aritmetica sono introdotte in modo puramente grafico, ovvero strettamente pensate come un procedimento di incolonnamento delle cifre e di applicazione di regole meccaniche. E’ noto come la tendenza a concepire le operazioni in termini di “incolonnamento” si è fatta strada anche nel nostro insegnamento primario, con effetti pessimi. Difatti, identificare un’operazione con una rappresentazione grafica impedisce di comprenderne il concetto e svilisce il ruolo del calcolo mentale. Ma nella scuola finlandese questa discutibile tendenza è arrivata al punto di escludere il simbolo “=” a favore della lettera “V” che sta per “Vastaus”, in finlandese “Risultato”. L’alunno è chiamato a incolonnare i dati e a scrivere il risultato in un apposito riquadro denotato con il simbolo “V”. Come osservano gli autori citati, alla fine del percorso primario un bambino finlandese non conosce il simbolo e il concetto di uguaglianza e concepisce pertanto ogni espressione matematica come la richiesta di ottenere un “risultato”.
La sostituzione del simbolo “=” con quello di “risultato” implica quindi l’identificazione del concetto di “uguaglianza” con quello di risultato, e questo è talmente volgare e ignorante da non meritare commenti, se non l’osservazione che così vengono cancellati più di duemila anni di matematica e di logica per tornare allo stadio della matematica pratica, approssimata e puramente operativa dei babilonesi. Con tutto il rispetto per le conquiste di questi ultimi, straordinarie in relazione con i tempi, far fuori il grandioso impianto concettuale della matematica da Euclide in poi non è un progresso, bensì un autentico imbarbarimento.
Viste queste premesse “anti concettuali”, era inevitabile che nella scuola finlandese venisse smantellata anche l’algebra. Così, non si insegnano più le proprietà fondamentali dell’aritmetica: associatività, distributività, commutatività, ecc. Al loro posto viene somministrato un insieme di istruzioni per l’uso detto “Ordine delle operazioni”, chiaramente copiato dalle procedure usate dai computer. Prima occorre calcolare le espressioni tra parentesi, poi moltiplicare, poi dividere, infine sommare o sottrarre da sinistra a destra. Come osserva Malaty, il risultato è che uno studente non è in grado di scrivere correttamente un testo matematico e questo produce problemi gravissimi all’università. Di fatto, l’“Ordine delle operazioni” mette in mora l’algebra. Difatti, non si saprebbe come operare con espressioni del tipo 2x + 3y + 3x + y, visto che non sono date regole per associare e distribuire i termini. Il modo di cavarsela (e di smantellare l’algebra) è il seguente. Dapprima si osserva come l’esperienza suggerisca che la somma di due mele e di tre mele sia cinque mele, ovvero 2 mele + 3 mele ha come risultato 5 mele. Analogamente 2 kg + 3 kg ha come risultato 5 kg e 2 metri + 3 metri valgono 5 metri. Insomma, l’esperienza suggerisce che è possibile sommare grandezze omogenee e quindi in generale calcolare 2x + 3x ottenendo 5x. Ma, in tal modo, x non è più il simbolo algebrico di un numero bensì il simbolo di un oggetto. Pertanto, immaginando che nell’espressione di partenza x sia una mela e y una banana, se ne conclude che l’espressione 2x + 3y + 3x + y vale 5x + 4y (5 mele + 4 banane). Inutile dire che in tal modo l’algebra è completamente distrutta, sostituita da un insieme di procedure pratiche basate su analogie empiriche di valore assai inferiore alle manipolazioni che venivano fatte prima degli Arabi. Tralasciamo, per non entrare in tecnicismi, molte altre scelte che, nell’intento esasperato di rendere tutto molto “concreto”, introducono veri e propri errori.
Lo smantellamento non si ferma qui e investe direttamente anche l’aritmetica. Abbiamo già parlato del modo di pensare le operazioni. Ma il disastro peggiore di tutti è la sostanziale abolizione del concetto di frazione. Difatti, nell’insegnamento finlandese della matematica i numeri sono concepiti soltanto in espressione decimale, e questo per ovvi motivi, in quanto è soltanto in questa forma che possono essere digitati su un calcolatore. Ma questo rappresenta un’autentica catastrofe, perché il concetto di numero non si identifica con la sua espressione decimale che, nella maggior parte dei casi ne rappresenta soltanto un’approssimazione: 1/3 non è la stessa cosa di 0,3333333… La forza incomparabile della matematica sta nel poter manipolare in modo esatto dei numeri dati al di là della loro rappresentazione numerica decimale (per lo più approssimata) ed è questo che permette alla matematica di ottenere formulazioni generali che servono a rappresentare le leggi naturali. Si tratta quindi di qualcosa che ha un valore eminentemente “concreto”: la fisica e le nostre scienze applicate non esisterebbero senza la matematica “esatta”, cui è subordinato il calcolo numerico approssimato. I Greci si attennero alla geometria per perseguire l’ideale di esattezza che non riuscivano a realizzare nei numeri. Ci sono voluti secoli per sviscerare la struttura dei numeri e riuscire a pensare “numeri” come 1/3 al di là della loro approssimazione decimale. Ora si propone nientemeno che cassare tutto questo.
Racconta Martio (in un suo articolo pubblicato sul “The Teaching of Mathematics nel 2009) che chi entri oggi in una macelleria finlandese e chieda 3/4 di kg di carne non viene capito: occorre dire 750 grammi. E osserva: “La matematica non riguarda soltanto i professionisti. La matematica è usata sempre di più nelle professioni ordinarie e i problemi connessi sono diversi da quelli dei test Pisa. In Finlandia, come in molti altri paesi, il curriculum matematico include concetti e abilità che vi sono stati messi perché qualcuno ha ritenuto che fossero utili. Nella maggior parte dei casi il tempo ha dimostrato che queste abilità speciali non corrispondono più alle richieste della società. L’architettura del curriculum finlandese e le pratiche di insegnamento richiedono considerevoli cambiamenti per venire incontro alla sfida”. Come spesso accade, confondendo la concretezza con l’empirismo si distruggono le basi stesse di ciò che rende una scienza come la matematica efficace sul piano concreto. Così l’“Everyday mathematics” rischia di diventare poco utile, salvo per operazioni di livello minimo, come quelle alla cassa del macellaio.
Nel 2003 sono state svolte ricerche per valutare gli effetti del curriculum matematico finlandese proponendo a ragazzi di 15-16 anni alcuni test (diversi da quelli Ocse-Pisa) che erano stati già proposti nel 1981. Ecco alcuni risultati.
La moltiplicazione (1/2)·(2/3) che il 56,4 per cento riusciva a fare nel 1981, veniva eseguita correttamente nel 2003 soltanto dal 36,9 per cento. Ancor più impressionante il crollo relativo alla corretta esecuzione della divisione (1/5):5 : si passa dal 49,2 per cento al 27,5 per cento. Mentre nel 1981 il 55,1 per cento riusciva a giustificare il fatto che (592)3 = (593)2, nel 2003 soltanto 31,7 per cento riusciva a farlo. Potremmo continuare. Ma forse il risultato più devastante è l’esito (nel 2003) delle risposte alla domanda “spiegate con parole vostre il significato di (4/5)·5”. Soltanto il 6,5 per cento rispose correttamente a questa domanda e il 5,4 per cento “quasi correttamente”. Il restante 88,1 per cento diede risposte sbagliate o gravemente sbagliate.
Concludiamo qui con alcune osservazioni generali.
Sarebbe bene smettere una volta per tutte con il metodo di prendere come “prova scientifica” i test Ocse-Pisa in modo cieco e acritico, senza preoccuparsi della loro sostanza, e su questa base fragile imbastire in modo apodittico considerazioni generali e impartire ricette e comandamenti. Gli “esperti” di didattica e di istruzione che non sono in grado di entrare nel merito farebbero bene a tacere una volta per tutte: il loro chiacchiericcio è una delle fonti principali dei guai dei vari sistemi dell’istruzione.
Inoltre, questo esempio – e moltissimi altri se ne potrebbero dare – dovrebbe suggerire di accantonare l’inconsistente slogan della “misurazione oggettiva” basata sui test. I test contengono una fortissima componente soggettiva di arbitrarietà, derivante dalle scelte e dalle visioni di chi le formula. In questo caso, come si è visto, derivante da una visione molto particolare della matematica, che nessuna persona competente potrebbe avallare.
Riempirsi la bocca delle parole “oggettivo” e “misura” dà un tono molto scientifico ma non è una cosa seria. L’autentica valutazione è qualcosa di infinitamente più complesso della misurazione della superficie di un appartamento. Essa coinvolge una gran quantità di aspetti qualitativi, spesso non quantificabili ma che possono essere analizzati e giudicati seriamente senza numeri, e tra i quali ha un posto centrale il contenuto della disciplina in oggetto. La valutazione ha senso soltanto se è concepita come un processo interattivo volto a produrre una cre scita culturale. Ma se è gestita da “esperti” incompetenti a entrare nel merito si traduce in un autentico disastro.

«Il Foglio» del 23 aprile 2011

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