09 marzo 2011

Ma le «dinamiche» non surrogano la famiglia

Ancora a proposito di adozioni e di «single»
di Francesco D'Agostino
Con un comunicato stampa, l’Associazione italiana di psicologia prende posizione in merito a una recente sentenza della Corte di Cassazione, in un passo della quale emerge un auspicio a che il legislatore possa «provvedere nel concorso di particolari circostanze, ad un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola persona anche con gli effetti dell’adozione legittimante». Agli psicologi poco interessa, ovviamente, valutare il portato di questa sentenza, che giustamente Giuseppe Anzani ha considerato poco più che un’«uscita maldestra» (Avvenire del 16 febbraio scorso); essi colgono l’occasione per criticare coloro che, nel dibattito seguito alla sentenza, hanno ribadito che i bambini, per crescere bene, avrebbero bisogno di una madre e di un padre. Queste sarebbero affermazioni «che non trovano riscontro nella ricerca internazionale sul rapporto fra relazioni familiari e sviluppo psico-sociale degli individui».
Secondo i risultati delle ricerche psicologiche, continua il comunicato, sarebbe assodato che «il benessere psico­sociale dei membri dei gruppi familiari non sia tanto legato alla forma che il gruppo assume, quanto alla qualità dei processi e delle dinamiche relazionali che si attualizzano al suo interno». In conclusione, non sarebbero «né il numero né il genere dei genitori – adottivi o no che siano – a garantire di per sé le condizioni di sviluppo migliori per i bambini, bensì la loro capacità di assumere questi ruoli e le responsabilità educative che ne derivano».
Attendo che queste affermazioni (che sono palesemente finalizzate a legittimare aperture normative a forme di familiarità 'alternative') siano corroborate da prove adeguate e condivise. La questione rilevante, però, non è questa, ma piuttosto il fatto che l’affidamento dei bambini non è in prima battuta un problema psicologico, bensì antropologico, perché volto a tutelare prima ancora che la felicità soggettiva dei singoli, l’ordine delle generazioni. È evidente che a nessuno è preclusa la possibilità 'crescere bene' e di realizzarsi nella vita, per quanto drammatiche possano essere le sue esperienze familiari. Le risorse dell’animo umano sono sconfinate e riescono a bilanciare le vicende più tragiche e umilianti; l’amore (non c’è bisogno di ricordare le biografie di tanti piccoli eroi di Dickens) può farsi strada nei modi più imprevisti e ottenere risultati straordinari. Ismaele viene abbandonato da suo padre Abramo e ciò non di meno diviene progenitore di un 'grande popolo'. Non si tratta di negare «che ciò che è importante per il benessere dei bambini è la qualità dell’ambiente familiare che i genitori forniscono loro, indipendentemente dal fatto che essi siano conviventi, separati, risposati, single, dello stesso sesso» (come sostiene il comunicato degli psicologi). Non su tutto, ma su una parte di questa affermazione (che non è integralmente suffragata da prove adeguate) potremmo anche concordare, almeno in linea di principio. Ma ciò che dovrebbe piuttosto stare a cuore a tutti è riaffermare che ogni società, o almeno certamente la 'nostra' società, si fonda su strutture familiari stabili e riconosciute, dotate di una potenziale e naturale fecondità, di un fondamento morale personale (il reciproco impegno dei coniugi) e di un riconoscimento giuridico pubblico (il matrimonio). Non a caso la Cassazione, quale che sia il giudizio che si voglia dare della sua sentenza, elabora un auspicio di allargamento della normativa sull’adozione solo «nel concorso di particolari circostanze». Dovrebbe essere chiaro agli occhi di tutti che la cura e la protezione cui hanno diritto i bambini vanno ordinariamente garantite da una coppia genitoriale e da un 'normale' contesto familiare e non da una mera 'buona volontà' psicologica di adulti disposti generosamente a prendersi cura di loro. È la famiglia la struttura istituzionale che garantisce l’ordine delle generazioni, come prova il fatto che lo garantisce, per dir così, spontaneamente e non certo per osservanza di un obbligo legale.
Concludendo il suo comunicato, l’Associazione italiana di psicologia «invita i responsabili delle istituzioni politiche, sociali e religiose del nostro paese a tenere in considerazione i risultati che la ricerca scientifica ha prodotto sui temi in discussione». Auspico, con pari fermezza, che, oltre ai risultati di ricerche psicologiche, si tengano presenti quelli della riflessione antropologica e giuridica in materia e soprattutto del portato di quell’esperienza storica e morale plurisecolare, di cui siamo tutti gli eredi.
«Avvenire» del 9 marzo 2011

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