12 febbraio 2011

L’amore e la presunta follia di Lucrezio

Brano tratto da Antiquam matrem ... (pp. 760-761)
di Roncoroni
II fervore con cui Lucrezio nel libro IV stigmatizza le nefaste conseguenze della passione d’amore si intreccia con gli aspetti più misteriosi dell’unica notizia biografica che possediamo sul suo conto. L’amore è visto da lui come insania, come un eccesso sentimentale che sconvolge l’animo allontanandolo dal suo equilibrio razionale. Questa concezione estremamente pessimistica dell’amore si sovrappone alla notizia di san Girolamo sulla ‘follia’ (cioè appunto insania) che avrebbe colpito il poeta in seguito all’assunzione di un filtro d’amore. Dando fiducia alla notizia, si avrebbe quindi un Lucrezio che si scaglia con tanto livore contro l’esperienza amorosa proprio perché toccato personalmente dai malefici effetti di essa, sfogando nevroticamente il proprio risentimento. La connessione tra la ‘condanna’ dell’amore e la notizia biografica è ancora accettata, anche se con riserva, da commentatori moderni come Lachmann, Giussani e Stampini. Gli studiosi più attenti tendono tuttavia a dare scarso peso a questo aspetto della testimonianza di san Girolamo, e a considerare la storia della follia una leggenda nata in ambito cristiano al fine di screditare l’autore del poema materialista ed epicureo, presentandolo appunto come il vaneggiamento misto a lucidità di un folle: Lucrezio avrebbe scritto il De rerum natura per intervalla insaniae, «negli intervalli della follia».
Il dettaglio del filtro d’amore non deve stupire eccessivamente: questi ritrovati appartengono infatti al corredo che accompagnava l’immaginario erotico romano; la lex Cornelia de veneficiis li proibiva severamente e, secondo Svetonio, Caligola ne era stato avvelenato, compromettendo così il proprio equilibrio psichico (Caligula 50; la stessa tradizione si trova in Giovenale 6, 614-617). Può essere interessante notare che proprio Svetonio è considerato la fonte di Girolamo per i dati biografici su Lucrezio, e la coincidenza con la notizia del filtro di Caligola può far pensare a una particolare sensibilità dello storico per questo genere di tradizioni, poi strumentalmente riproposte dal cronachista cristiano. Per quanto riguarda invece l’insania, è evidente che la struttura e il contenuto del De rerum natura non recano traccia di alcun atteggiamento schizofrenico o paranoide, né il poema consente, più di qualunque altra opera poetica, l’interpretazione di alcun elemento di esso come segno inequivocabile di una sindrome depressiva. Lucrezio anzi persegue con coerenza e precisione i suoi presupposti dottrinali, pur dotandoli di una veste poetica significativa e ben caratterizzata. Al tema del suicidio poi si accenna nel poema stesso (III 79-84) presentandolo come estrema possibile conseguenza delle paure irrazionali che attanagliano l’uomo. Il suicidio per terrore di fronte alle angosce dell’esistenza è quindi la manifestazione ultima dell’ignoranza e della mancanza di razionalità, contro cui la filosofia epicurea fornisce l’unico baluardo. Questa concezione così negativa della rinuncia alla vita (tante volte invece difesa dalle filosofie antiche, dallo stoicismo in particolare, come scelta estrema di libertà) non spinge certo a pensare che il poeta stesso fosse particolarmente incline al suicidio. Nessun elemento interno al poema, in definitiva, porta conferma alle notizie fornite da Girolamo: esse sono con ogni probabilità da ritenere una leggenda risalente forse a Svetonio e opportunamente rivalutata dallo scrittore cristiano in chiave antiepicurea.
I versi di Lucrezio sull’amore, dunque, non saranno da leggere, romanticamente, come il riflesso di drammatiche esperienze personali, ma piuttosto come un monito, realistico e ironico, contro un sentimento i cui eccessi allontanano il filosofo dalla serenità del proprio equilibrio.
Postato il 12 febbraio 2011

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