12 febbraio 2011

G. Marino, Sonetto dedicato ai biondi capelli della sua donna

Sonetto tratto dalla Lira
di Giambattista Marino
Il componimento è tratto dalla Lira (1614), la raccolta che assicurò a Marino la notorietà. Lo spunto petrarchesco è elaborato in modo decisamente originale, divenendo pretesto di associazioni metaforiche “argute “. Metro: sonetto, secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, DCD.
A l’aura il crin ch’a l’aura il pregio ha tolto, sorgendo il mio bel Sol del suo oriente, per doppiar forse luce al dì nascente, da’ suoi biondi volumi avea disciolto. Parte scherzando in ricco nembo e folto piovea sovra i begli omeri cadente, parte con globi d’or sen gia serpente tra’ fiori or del bel seno or del bel volto. Amor vid’io, che fra i lucenti rami de l’aurea selva sua, pur come sòle tendea mille al mio cor lacciuoli ed ami; e nel sol de le luci uniche e sole intento e preso dagli aurati stami, volgersi quasi un girasole il sole 1. A l’aura ... tolto: all’aria la chioma, che ha tolto all’oro il suo pregio. 2. il mio bel Sol: la donna che amo; del suo oriente: dal luogo da cui sorge (per la donna: il letto). 3. doppiar: aggiungere, raddoppiare. 4. volumi: intrecci (dal latino volumen: “tutto ciò che viene rotolato, avvolto in giro”). 5. nembo: nuvola. 6. cadente: cadendo. 7. globi: propriamente, sfere; qui, riccioli, boccoli. Sen ... serpente: se ne andava serpeggiando. 10. l’aurea selva sua: la “selva d’oro” (i biondi capelli) della donna. Sòle: suole. 12. e ... sole: (io vidi) il sole, che aveva rivolto la sua attenzione verso di lei (intento) ed era stato catturato dagli aurati stami (i biondi capelli) di lei, volgersi, e seguire, come se fosse (quasi) un girasole, il sole (la lucentezza sfolgorante) degli occhi (luci), unici e soli (che non trovano paragone al mondo), della donna.
ANALISI DEL TESTO
Sorprendenti sviluppi degli spunti petrarcheschi Il riferimento al famoso luogo comune, derivato da Petrarca e vivo nella poesia petrarchista del Cinquecento dei «capei d’oro a l’aura sparsi» (sonetto XC) è da Marino proposto con chiarezza attraverso due evidenti allusioni («l’aura» e «l’auro») immediatamente prospettate al lettore nel primo verso del sonetto. Ma i versi successivi ci allontanano ben presto dal modello, per impostare il componimento sulla descrizione, nella seconda quartina, degli effetti di luce provocati dallo sciogliersi della capigliatura sulle spalle e sul petto della donna. Mentre la metafora del sole e dell’oro trova il suo culmine nell’arguta iperbole dell’ultimo verso, rivelando la funzione galante del componimento, un’altra serie di metafore («rami» e «selva») e una personificazione (Amore intento a tendere lacci nella selva) complicano la raffigurazione, arricchendola di elementi inattesi e “meravigliosi”. Trasfigurazione attraverso la costruzione metaforica «I capelli d’oro, insieme ad altri elementi tipici, quali le labbra di rubino, i denti di perla, ecc., verranno introdotti non più per formare il solito figurino della bellezza superlativa e astratta ma per creare, attraverso l’eccesso metaforico insistente su quella materia preziosa, una ricca decorazione, per dar luogo a un processo di trasfigurazione mediante il quale la donna, secondo una maniera propria del Marino, tende ad assumere quasi una realtà minerale, d’aurea e gemmea e perlacea essenza, a diventare un lussuoso e raffinato gioiello» (Getto). Funzione dei rimandi fonici L’impressione del ridursi dell’immagine femminile a un barbaglio d’oro e di sole (di una sostanza preziosa, luminosa e vitale, indispensabile) è rafforzata e ribadita al livello fonologico del testo dall’estensione degli echi legati alla metafora dell’oro (a titolo d’esempio, solo nella prima quartina, «AURa», «AURO», «sORgendo», «ORïente», «fORse» ); a questa serie si collega e si intreccia per affinità di significato, ma anche di suono, la rete di rimandi fonici che fa capo a «SOL». Presente fin dal secondo verso, essa si infittisce dal v. 10 in avanti: alle tre rime equivoche «sòle: sole: sole» corrisponde infatti il richiamo interno «sol» al 12 e «girasole» al v. 14. La costruzione fonica potenzia le metafore prevalenti e rafforza l’arguzia concettuale della conclusione.
Analisi tratta da Baldi-Giusso, Dal testo alla storia. Dalla storia al testo.
Postato il 12 febbraio 2011

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