07 febbraio 2011

Cari aspiranti scrittori, tenete nel cassetto il vostro manoscritto

Per chi vuole pubblicare è inutile (e dannoso) mendicare l’aiuto degli esperti. Anche perché farsi leggere costa caro ...
di Massimiliano Parente
Non ho idea di quanti mano­­scritti ci siano nei cassetti degli italiani, ma io ho la mail e l’ac­count di Facebook intasati da aspiranti scrittori. Questa è, per ogni scrittore, una disgrazia quotidiana simile alle emorroi­di, o a una biblica invasione di cavallette. Tanti hanno tentato di risolvere il problema, nessu­no ci è riuscito, e io devo trovare una soluzione, non esistendo nessun articolo della Conven­zione di Ginevra al riguardo, ho controllato. In genere basta leggere le let­tere di presentazione per dover­si sforzare anche solo per dare una risposta gentile con cui to­gliersi d’impaccio. Senza conta­re le letter­e che mi vengono gira­te dalla fin troppo premurosa se­greteria del Giornale , l’ultima della quali inizia con «Gentilissi­mo dottor Parente», si profon­de in dichiarazioni di stima, mi chiede di leggere «un libro sco­modissimo », e dopo essermi sciaguratamente incuriosito e preso l’incombenza di prende­r­e in visione tale libro scomodis­simo, al mio disinteressato con­sigli­o di smettere di scrivere e co­minciare a leggere, eccomi tra­sformato in «pezzo di merda, pallone gonfiato, infimo essere presuntuoso, orribile scracco di verme schifoso». Non date mai retta a chi dice di stimarvi, la stima dichiarata è la più alta forma di disprezzo umano, chi vi stima ve lo dimostra dimo­strandovi di avervi riconosciu­to. Invece c’è chi crede di andare sul sicuro proponendomi di leg­gere riscritture bianciardiane, come se a me fosse mai fregato niente dello stesso Bianciardi originale, o richiamandosi a Fla­vio Santi, il quale a sua volta mi fa scrivere da un De Santis, che a sua volta per consigliarmi San­ti si richiama di nuovo a Bian­ciardi, incredibile.C’è chi crede di commuovermi proponendo­mi i libri di una che scrive in una foresta e lascia i suoi libri di poe­sia nel tronco cavo di un albero, ignorando quanto io odi la natu­ra e la poesia.C’è chi mi manda romanzi di destra prendendo­mi per uno scrittore di destra, chi romanzi di sinistra prenden­domi per uno scrittore di sini­stra, mai nessuno che scriva a me perché abbia letto i miei li­bri e abbia almeno una ragione letteraria per rivolgersi a Paren­te e non, per esempio, a Lagioia. C’è perfino chi mi manda libri spirituali, buttando lì, per am­miccare, il nome di Vito Mancu­so o Antonio Socci, non sapen­do ch­e odio a tal punto la super­stizione religiosa da smettere di leggere qualsiasi libro che con­tenga la parola «anima»,figuria­moci se ce l’ha già stampata nel titolo. L’aspirante tipico ti chiede udienza genericamente, non sa­pendo niente di te a torto, ma se gli rispondi genericamente, non sapendo niente di lui a ra­gione, si offende. In sostanza gli aspiranti scrittori vogliono esse­re letti ma non sono neppure tuoi lettori, anzi in genere non hanno mai letto niente di impor­­tante, per questo scrivono. È inutile specificargli che non sono un editore, né un agente letterario, né un consulente edi­­toriale, perché dovrei occupar­mi di loro? È inutile spiegare di essere già occupato, molto oc­cupato, a scrivere le mie opere, a leggere i libri che mi interessa­no, e mi servono appunto per scrivere le mie opere. È inutile precisare che il tempo rimanen­te scrivo per il Giornale , e non ne resta altro libero neppure per vivere, solo per le minime at­tività vitali, giocare alla X-box, comprare applicazioni per l’iPhone, misurarmi la pressio­ne, non procreare, prendere far­maci per prevenire le malattie, andare sui siti porno e mandare sms feticisti a Barbara D’Urso, così gentile da rispondermi sempre («Problemi grossi, eh?»). È pur vero, cari e odiati aspiranti, che non potendo es­sere i nuovi me, perché sono an­cora vivo, ci sarà almeno una possibilità su un miliardo che voi siate il nuovo Proust, e nel ca­so vi leggerei di corsa e farei di tutto per farvi pubblicare inven­tandomi un po­tere editoriale ol­tre le mie scarse possibilità. Seb­bene, attenzione, quando legge­te per sbaglio un mio articolo in cui parlo male del triste mondo editoriale e cito i geni rifiutati, da Kafka a Morselli a Moresco, statisticamente non identifica­tevi, non sto parlando di voi. Sappiate che essere respinti non è prova di niente, solo del­l’essere stati respinti, e quasi sempre a ragione, non a torto. Tuttavia, per venirmi incontro e tutelare la mia salute mentale venendo incontro anche a voi e alla vostra salute mentale, ho escogitato questa modesta pro­posta: volete essere letti? Paga­temi. Se siete così convinti di voi o così masochisti, se proprio non potete resistere, mandate­mi quello che volete desiderate farmi leggere, e vi prometto che lo leggerò. Ho fissato il costo di una mia lettura a venti euro a cartella, per dattiloscritti di mi­nimo cento cartelle. Non sono caro, credetemi, e se ritenete di sì almeno avrete un buon motivo per iniziare la vostra lettera con: caro Parente. Mi sembra comunque più eco­nom­ico di un set di creme dima­granti di Wanna Marchi che non fanno dimagrire, di un fil­tro d’amore che non farà inna­morare nessuno, di una pubbli­cazione a pagamento che non andrà da nessuna parte, e è quanto chiedo, quando capita, per andare a parlare dieci minu­­ti in televisione, e sottratte le spe­se, le tasse e la ritenuta d’accon­to alla fine non p­osso permetter­ci neppure una notte con Patri­zia D’Addario. È anche quanto vi chiedereb­be, più o meno,un’agenzia lette­raria, la quale vi manderà un’anonima scheda dilettura e non una mia lettera autografa che, se letterariamente non sie­te niente, come feticcio da con­servare per i posteri è meglio di niente. Inoltre, avendo pagato, non sarete così propensi a insul­tarmi dopo, nel caso probabile di un giudizio negativo, e anche se doveste farlo il vostro esbor­so mi avrà messo di buon umo­re, insultatemi pure, lo metterò in conto. Nel caso in cui invece voi fo­ste davvero gli eredi Proust o Sterne o Faulkner o i miei stessi eredi e volete seppellirmi vivo, se insomma avrete davvero pro­dotto un’opera d’arte­e non l’en­nesimo spreco di carta e medio­cri ambizioni, mi impegno a re­s­tituirvi subito il denaro con gli interessi e a fare di tutto per farvi pubblicare. Se avete un mini­mo di buon senso tenete tutta­via presente, in linea di massi­ma e di principio, che nella mag­gior parte dei­casi il posto miglio­re dove possa stare il vostro ma­noscritto nel cassetto è proprio lì, nel vostro cassetto, per que­sto si chiama manoscritto nel cassetto.
«Il Giornale» del 7 febbraio 2011

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